Quasi quasi intitolavo, che ne so, "Ho incontrato Ibrahimović". Avrei fatto qualche visualizzazione di più.
Spero solamente che i miei amici di questo blog arrivino a leggere cosa c'è oltre la mia firma, sotto. Perché ho pensato tanto a come comunicare la novità in questione su questo blog, il link che mi ha dato tanto-tanto: e sono giunto alla conclusione che sia meglio lasciare il messaggio nei commenti. In "Vivoperlei", chiunque entra deve poter leggere il mio articolo, anche non conoscendo la mia firma, comprensibilmente. Non voglio incentrare un articolo su me, me e me soltanto. Incomincio (sarò breve, queste prossime righe hanno un significato simbolico).


NBA Finals, 2-2 e stanotte gara 5. Io vedo verde Celtics ovunque. Nello sport vince la mentalità del gruppo, più del talento individuale. Non è successo in gara 4. Il tiro da 3 di Curry è stato un'arma come lo è stata la somma delle cabezas dei nipotini di Larry Bird, dal Massachusetts. Ma Curry deve essere imparentato con gli extraterrestri vulcaniani... è un discorso a parte.

Io vedo difesa competitiva. Klay Thompson fatica su Horford e passa il quarto quarto sul trascinatore dei quarti quarti, Jaylen Brown. Lo trascina fuori dal gioco offensivo con la forza della posizione, mancante nei 36' prima. Guarda Robert Williams con il problema al piede o Derrick White leprechaun version. Guarda Marcus Smart che versa gin sui graffi dei californiani da San Francisco, ricercatori d'oro.  

Io guardo Al Horford. Trentasei anni dominicano, mai stato alle Finals. Le ha rincorse tipo come un cappello col vento, che va via. Come i fogli di papiro egiziano trascinati in Libano da una marea. Tipo il mio amico con poca forza nelle gambe che un giorno cade dal pero e quello dopo dal Perù ed atterra nello Stretto di Magellano, ed io che lo vado a cercare. Tipo l'anello del re che va sotto il divano. Lo so, non ha senso. Lo so. È che non trovo nulla di razionale neppure "nella ricerca del perché Al Horford sia così fenomenale".
Negli ultimi anni era calato. Una parabola discendente. Oggi emerge dal Golfo di Samanà e dice "datemi un anello". Trentasei anni, ed era finito, invece si ritrova leader emotivo e capobranco e sciamano dai riti propiziatori, tra i giovani Boston Celtics.  
Ha imparato a sparare triple quando manca l'ossigeno ai Celtics, immersi nel Golfo dominicano di Samanà, bis. Era impossibile che lui potesse segnare tiri da 3, tempo fa. Tagliafuori, posizione, difesa dal perimetro, come se avesse l'età di un Tutankhamon piccoletto e con pochi giorni di vita. Non ne ha diciotto, ma trentasei primavere.
Era stato ai Boston Celtics dal 2016 al 2019, era stato lontano, è stato tra Philadelphia ed Oklahoma City, è ritornato nella squadra degli irlandesi da giocatore molto più marginale. Ha dimostrato a tutti che le carote diventano pomodori, che i babà si sanno tramutare in pastarelle piccanti, che i topi ballano di mercoledì sera.  
Perché non c'è un perchè nella natura delle cose, della vita. C'è forse allenamento, c'è convinzione. E le cose possono accadere. È solo il tempo che scandisce, divide, pone dubbi sulla vita. Ma le cose ri-accadono, cambiano e risuccedono. Così. Come mulini che girano e rigirano e Sancio Panza che emergono e scompaiono.
Noi, che tra di noi, ci allontaniamo, ci riavviciniamo, ci allontaniamo e ci ritroviamo, ci abbracciamo e ci separiamo, ci perdiamo di vista e ci fronteggiamo, litighiamo non ci troviamo, ci puntiamo il dito, ci ririritroviamo. Siamo simili e diversissimi due minuti dopo, ma siamo sempre lì.
Tipo Mont-Saint-Michel è un'isola prima ed è legata alla terraferma dopo ed è un'isola dopo ed è legata alla terraferma dopo. È come un cerchio che orbita sulla vita delle danzatrici circensi.
È come noi che siamo sempre lì e le ruote dello spettacolo che continuano a girare, le comparse entrano ed escono, alcuni rimangono e se ne vanno, i fari cambiano direzioni, i sipari si alzano e si allargano.
Ma siamo sempre protagonisti del nostro personalissimo cabaret.
E se non ride nessuno attenderemo che tutto, come sempre, cambi. E che Qualcosa succeda.  

Al Horford, magari, vincerà il titolo.  

(La vita è...)  
"Una favola raccontata da un idiota,
tutta piena di strepito e furore,  
senza alcun significato."  

William Shakespeare  

 

 

Damiano Fallerini