Francisco Coincecão, classe 2002 nato da Sergio, un papà oggi tecnico del Porto nonché ex centrocampista di Serie A con le maglie di Lazio, Parma e Inter, non sarà oggi uno dei talenti più noti al panorama del grande calcio. Ma lo diventerà, sicuramente.  

Per esprimere l'importanza di Francisco Coincecão nell'organico del Porto sarebbe riduttivo affidarsi ad un elenco di qualità da campo quasi illimitate, ammassate nel bagagliaio tecnico del figlio di Sergio: non si riassume l'utilità di uno sciroppo alla fragola entro il fatto che lo sciroppo abbia un sapore buono, di fragola. In realtà, nell'omertà dell'eterna Guerra fredda tra i settori giovanili europei, lo scippo del Porto a Francisco rappresentava l'origine di un piano destinato al futuro.  

"Francisco Coincecão trattino Porto" non era soltanto un giocatore, ma un progetto silenzioso ben gestito dai portoghesi: papà allenatore, una crescita progressiva senza eccessi di minutaggio e responsabilità per il semplice motivo che "Francisco fosse destinato a diventare un calciatorone", e poi, ultima considerazione, ovvero che questo esterno di destra appena diciannovenne dimostra delle abilità da predestinato nella gestione della palla, unite a delle progressioni in dribbling da scuola catalana e che, quindi, si tratti di uno di quei giocatori tanto moderni che conquisterebbero i cuori dei puritani convinti nelle manovre con interpreti palleggiatori: dall'ovvio Guardiola all'Emery in tessuto Villareal, dall'ingegnoso Arteta al rinnovatore Xavi.  
E poi, Coincecão può aver trascorso tanti mesi crescendo tra gli Sportinguisti di Lisbona, cioè quelli vestiti in verde e bianco che a Porto sono pazzamente detestati, ma se è vero che "non si dimentica da dove si viene", allora Francisco è nato in una famiglia di tradizione biancoblú marchiata Porto dove il coração batte a ritmo di "allez Porto, allez allez Porto", e dove le arterie dividono il sentimento calcistico con gli insegnamenti del cattolicesimo (Sergio affrontò così il lutto del padre in età ancora adolescenziale), dove i sentimenti si racchiudono nelle vesti pesanti del termine "coesione", magari dentro la famiglia. E proprio questa "unione" rappresenta il valore cardine del Porto di Coincecão, che per ovvie ragioni può essere "familiare" soltanto nella concezione più figurata del termine, perché il Porto del babbo è una grande famiglia.  

Quindi, Francisco Coincecão è "un bravo cristiano", questa volta nella concezione meno figurata del termine, che tifa Porto, che gioca nel Porto, che viene allenato nel Porto da un padre ex calciatore del Porto, che conclude una stagione individuale molto incoraggiante con il Porto, che incontra nel suo percorso un grande Porto, probabilmente il migliore degli ultimi anni, poi che vince il campionato e che supera un terribile girone di Champions League da secondo (quello che includeva Liverpool, Atletico Madrid e Milan) ed infine, che si trova oggi davanti ad un Porto, quello della prossima stagione 2022/23, che gli concederebbe un grosso spazio nelle gerarchie, naturale conseguenza di alcune recenti cessioni con protagonisti gli ex palleggiatori della stagione 2021/22: nel dettaglio, a gennaio Luis Diaz direzione Liverpool (47 milioni di euro) ed a luglio la partenza di Vitinha per il Paris Saint-Germain (41 milioni di euro) e Fabio Vieira (35 milioni di euro).  
Va bene che la vita non è semplice e pure che le scelte dei nostri percorsi sono tante e complicate, d'accordo che i cartoni animati mentono ai bambini mostrando biografie di strade rette, soleggiate e di semplice percorrenza secondo il CAI, ma credo che con l'aggiunta di uno stormo di unicorni sul fondo del panorama, la situazione calcistica di Francisco Coincecão sembrerebbe una serena visione collaterale causata da un frullato tossico con gusti "rose e fiori". Esternamente, davvero Francisco sembrerebbe avere tutto, a Porto. Ma un giorno poco lontano, improvvisamente, con la luna, spunta una clausola dal monte. Il tempo ci dimostra una cosetta: ovvero che noi, di questa storiella, non ci abbiamo capito proprio niente.  

Per l'affare Francisco Coincecao serve poco, molto poco: appena 5 milioni di euro come segna la clausola troppo antica, e sciagurata. E comprendo che, per un lettore, la domanda da porsi sarebbe "così poco?" Ebbene sì, così poco, ma la permanenza del figliol prodigio per la stagione seguente rimane un'ovvietà ed, anche di fronte ad un'offerta da 5 milioni, il ragazzo direbbe "no". No problem, resto in Portogallo. Prendiamolo per naturale, per ovvio, per banale. Invece si fa avanti l'Ajax ed il ragazzo dice sì.  
Da poco Gerry Hamstra, direttore tecnico dell'Ajax, ha dichiarato che "Coincecão è visto come il successore di Anthony". Quindi i lancieri garantiscono a Francisco, prossimamente, un posto da titolare sulla fascia destra, la partecipazione alla Champions League, l'opportunità di vestire la gloriosa maglia bianca con il logo dell'Ajax ma... tutto sommato, gli olandesi non hanno promesso nulla più del Porto, secondo il punto di vista di un figlio dei Dragões. Ed ecco che il benestare di Coincecão alla causa dell'Ajax appare inspiegabile agli occhi di tutto il Portogallo: ma tanto è deciso, il ragazzo partirà.  
In patria si dirà che, per un piccolo bullone di valore, l'etichetta di "figlio di Coincecão" sia soffocante. Perché il Porto ha vinto frequentemente ma, come è naturale, non sono mancati i commenti provocatori di qualche tifosetto che parla soltanto con la bocca, non con la testa, che fa "ha giocato perché è il figlio dell'allenatore" o che gli dà del "cocco del mister", "avvantaggiato" o peggio ancora del "raccomandato". Ma queste possono essere parole raccolte da una frazione infinitesimale della tifoseria biancoblú, e poi la realtà non è una somma di ipotesi per darsi una spiegazione, altrimenti daremmo per certissimo il Big Bang.  

Quel che è incontestabile, sicuramente, è che il Portogallo stava stretto e che il ragazzo ha voluto separarsi da un ambiente troppo comodo, un po' come una comfort zone, e che lui abbia scelto di allontanarsi dall'ombra del papà allenatore, preferendo i tulipani colorati alle piante di lavanda che odorano di casa ed i mulini a vento alle maestose cattedrali che riuniscono cattolici da ogni dove. Era semplicemente venuto il tempo di scrivere la storia da sè, perché un uomo diventa uomo solo lontano da casa, imparando a fare la lavatrice, a cucinare, a stendere il bucato e piegando le maglie stirate. E Francisco non vuole solo cambiare il proprio destino, vuole conquistarlo, e per farlo, deve separarsi da casa sua.
Il primo a capire che il momento di lasciare Porto fosse adesso, senza alcun dubbio, può essere stato soltanto Francisco e, poi, comunicarlo ad un padre non può non essere stato complicato: immagino la scena un po' come la celebre telefonata di Muhammad Ali dalla cabina telefonica, dove il boxer diceva "mamma, ho abbracciato i tuoi insegnamenti religiosi e non li discrimino, ma oggi ho scelto di abbracciare un'altra religione, tu aspettami e tornerò presto". Perché ora, per allontanarsi dalle sue tradizioni, il ragazzo deve voltare le spalle, almeno momentaneamente, alla famiglia portoghese, al papà Sergio, ed alla coesione del Porto. Questione di fede, calcistica o religiosa.  
Dall'altra parte, un padre non può avergli detto no. E fai come credi, orgoglioso. Dopotutto, si trovano anche agli antipodi dell'Europa, ma Porto ed Ajax condividono una filosofia calcistica molto simile, incentrata sulla gestione della palla e sulla qualità dei possessi, forse la prima si concentra più sul concetto di palleggio mentre la seconda maggiormente sulla reciprocità dei movimenti, pesante eredità del calcio totale, ma entrambe puntano alla stessa "coesione di squadra" sul campo.  

Come ha già scritto Francisco sui social: "La mia storia in questa casa che considero mia non finisce qui. Dal Futebol Clude do Porto non sarà mai un addio, ma un arrivederci a presto. Me ne vado ma il Porto non mi lascia. Grazie."  
Francisco imparerà e poi tornerà a casa, prima o poi, migliore di prima. Ma sarà sempre Francisco, figlio di Sergio.