A volte l'umanità dovrebbe essere più comprensiva e capire che ognuno è fatto a modo suo. Che siamo tutti diversi. Che, per dirla alla Benjamin Button:
"C'è chi nasce per star seduto sulla riva di un fiume, c'è chi viene colpito dal fulmine, c'è chi ha orecchio per la musica, c'è chi è artista, c'è chi nuota, c'è chi è esperto di bottoni, c'è chi conosce Shakespeare, c'è chi nasce madre e c'è anche chi danza."  

Nell'attimo in cui scrivo, la mia razza ricerca nuovi combustibili fossili tastando la Terra, ma senza avvicinarsi un minimo al microscopico pianeta Pat Beverley, colmo di carboni e risorse incendiarie-esplosive che nemmeno ci immaginiamo. Ecco, in realtà Beverley è un giocatore di basket che milita con i Timberwolves della città di Minnesota, in NBA, ma posso garantirvi che lui abbia plasmato un pianeta tutto suo, appena somigliante al nostro. Oggi non celebro un virtuosissimo Paco De Lucia della pallacanestro, non elogio l' estro d' uno straordinario pizzicatore di corde, non esalto il talento incosciente d' un idolo americano. No. Perché in realtà Beverley è il gesso che graffia la lavagna tremendamente, è la goccia d' acqua che, dall'alto dei panni stesi ad asciugare, cade sulla testa di chi passa in strada, è la zanzaraccia che si rigira zigzagando nel sonno e che non lascia dormire.
Insomma, Pat non è il fortunatissimo ragazzo californiano biondino dei Los Angeles Lakers, né quello delle standing-ovation facili o l' idolo dei ragazzini. In verità Patrick Beverley è solo un trentatreenne che ha fatto un' onorabile carriera, certamente non uno dei più famosi della NBA ma quantomeno uno dei più detestati nel gioco, non che lui se ne faccia un cruccio. Comunque, è il primo rappresentante d' un modello di vita dedito alla competività, nonostante una struttura fisica e delle qualità sportive non delle più vantaggiose. Pat crede che, per vincere, bastano le motivazioni che si hanno dentro, ed infine aggiungerci tante polemiche e battibecchi. Lascio a voi la scelta: se questa sia la strada giusta o no.
Dunque, già da piccolino Pat Beverley impara a conoscere il croccante della vita nella Chicago dell'asfalto cicatrizzato e dei palazzi graffiati ed, in una famiglia afroamericana, viene tirato su da una madre con un cuore grande così... ma non mi soffermerò granché sullo sviluppo personale del ragazzo. Vi riporto solo che già da bambino si esercitasse parecchio nel basket, che la scuola fosse la sua inutile distrazione, e che di certo non gli mancasse l' autostima. Ripensando alla sua infanzia, Pat sintetizzerà: "Senza la pallacanestro sarei stato il miglior spacciatore del mondo. Non avevo paura di niente, sapevo le regole della strada.”  Nient'altro da aggiungere, da parte mia.

Ripeto: non è che Beverley abbia il talento delle luminose star da teatro di Broadway e nemmeno l'atletismo d'un cavallo da gare di dressage, infine sembrerebbero troppo pochi i 185 centimetri e gli 82 kili di peso. Ma Beverley è un pianeta con rifornimenti di combustibile fossile che desiderano solo vincere e così, dopo una tournée didattica in Europa, Beverley entra nel roster NBA degli Houston Rockets. Succede che il ragazzo gioca bene ad alti livelli, ed in quanto a segnare punti o statistiche ha numeracci, accade che Pat si reinventa. Se al college, Pat poteva sembrare una mente criminale del gioco, l' NBA è altro. E così, Beverley, che il talento da superstar NBA non l' ha rinvenuto sotto il cuscino alla caduta del primo dentino da latte, si trasforma in un semplice tormento, anche per sopravvivenza. Da allora sono passati dieci anni, ed oggi non lo adora... nessuno, ad eccezione dei suoi tifosi!  

Il lavoro di Beverley è di trovare il campione della squadra avversaria e di entrargli nella testa, chiacchierando e toccandolo ovunque. Troppo facile infastidire le percentuali al tiro dei ragazzini più timidi, Beverley ha una competività assoluta ed un amore viscerale per il basket, ma ha capito che, per essere utile alla sua squadra, la cosa migliore è ronzare intorno al campionissimo avversario prescelto, come una mosca, e di aprire la bocca come una radio, per il gusto d' innervosirlo dentro la partita. Così, le multe NBA da contare per falli tecnici sono diventate del numero dei granelli di sabbia sabbia deserto. Naturalmente, a questo abbina un posizionamento difensivo eccellente, delle mani vorticose nel recupero dei palloni ed una mentalità da far esplodere i palazzetti interi, con una spinta motivazionale da "ha quel qualcosa in più", almeno in quello sì. Qualità che, però, mai gli sono state unanimemente riconosciute, anche a causa del comportamento fastidioso, che tante volte ha portato Beverley ad apparire come un villain senza parte.

Chiariamolo subito: almeno nel gioco (siccome nel privato non lo conosco) Beverley non è un giocatore "cattivo". Ma ne ha combinati di guai nella sua carriera. Per esempio ha detto che dopotutto, per lui, marcare LeBron James non è tanto complicato, oppure ha specificato che la popolarità della sua carriera è stata distrutta nel momento in cui Russell Westbrook lo ha definito: "uno che non sa assolutamente difendere, corre e basta chiacchierando per il campo", o ancora, vedendo Anthony Davis perdere una scarpa, si è alzato dalla panchina per "rubare" l' oggetto, nascondendolo tra i sedili vicini. Beverley ne ha combinate di cose ambigue. Beverley si è posto davanti a Kevin Durant, di 30 centimetri più alto, agitando le braccia: quello ad inizio partita rideva, quello a fine partita, nervosissimo, veniva espulso insieme a Pat per un battibecco esagerato. È anche vero che, quella volta, i Golden State Warriors di Durant vinsero. Ricordo Beverley esagerare con falli tecnici ingenui o Beverley strappare palla delle mani di Curry, a gioco fermo, divincolandosi alla "non ero io". C' è quella volta in cui Beverley, pessimo attaccante, affronta in uno contro uno Ja Morant, astro nascente e fuoriclasse della lega. Stranamente segnando uno dei pochi punti della serata, Pat ha fatto segno con la mano a Morant (191 centimetri): "sei troppo basso per marcarmi! Sei troppo basso!"

È giusto considerare un tipo del genere, competitivo e valorizzatore del gioco, un antagonista assoluto o un antipatico Tremotino? Beverley non è un perdente, Beverley ha già vinto. Ha trovato quell' autostima dentro di sé che non basterebbe una vita intera a qualunque comune mortale! Ed io pensavo a lui qualche giorno fa, quando si è preso la sua personalissima rivincita sui Los Angeles Clippers, la squadra dove ha militato per 5 anni. Per loro ha dato dentro con un agonismo inenarrabile, ed eliminando i suoi traditori, si è lasciato andare straordinariamente. I suoi gesti racchiudono le più sincere emozioni che potrete vedere nello sport, oggi. Le trovate qui sotto.

Tutto questo per scrivere che... se manca il combustibile fossile e petrolio e tutte le risorse, beh umani, il logorroico pianetino Beverley è consapevole di contenere tutto! No problem, abbiamo tutto racchiuso là sotto, da qualche parte... ed in fondo anche a voi piacerebbe essere dei cattivi Beverley!

Damiano Fallerini