Fino a qualche tempo fa, ponendo la domanda sulla posizione geografica della regione del Nagorno Karabakh, si avrebbe ricevuto la quasi totalità di risposte negative, dovute all'ignoranza che alberga nella preparazione geografica di molti concittadini. Se poi, si fosse aggiunta la circostanza del conflitto interetnico scoppiato sul terrritorio citato, soltanto una ristretta minoranza dell'opinione pubblica avrebbe avuto contezza dei fatti. Chi conosce la storia di quel fazzoletto di terra sa anche orientarsi nell'attualità, dove occupa un rilevante posto nella sezione esteri degli organi d'informazione, proprio la recrudescenza registrata nella Repubblica di Artsakh, l'istituzione politica che governa la regione al centro di un'aspra contesa. La vicenda considerata segue un preciso ordine cronologico, senza la conoscenza del quale si avrebbe difficoltà a intendere le ragioni della guerra. Bisogna perciò risalire alle origine storiche per capire l'escalation odierna. La genesi della questione è collocabile nella fase discendente dell'Urss, quando si avviava lentamente al disfacimento politico e territoriale. Il processo di unificazione di realtà nazionali profondamente diverse tra loro, quando non in aperto contrasto, era fallito divenendo la principale causa della nascita di microconflitti in tutta l'orbita sovietica, dimostrazione inequivocabile dell'incapacità della classe politica di contemperare le esigenze di tutti. L'etereogenità del quadro favoriva le rivendicazioni più disparate complicando la risoluzione unitaria delle controversie. Si passò celermente dalle parole ai fatti più sanguinosi in diversi scenari, anche nel Nagorno Karabakh. La disputa diplomatica assunse carattere militare, contrapponendo Armenia ed Azerbaigian, entrambe decise ad imporre la propria sovranità con mezzi leciti e non, fino alle estreme conseguenze di combattere per prevalere sul nemico, colpendo anche civili inermi che hanno l'unica colpa di vivere in una zona fortemente instabile. Il Caucaso infatti è la spina nel fianco della stabilità regionale, territorio caratterizzato da profonde contraddizioni, che periodicamente riesplodono generando disordine generalizzato sull'intera area mediorientale. Un tratto distintivo del conflitto azero - armeno, alla base del riacutizzarsi delle recenti tensioni, è la sofferta convivenza tra popolazioni che rivendicano il legittimo controllo dello stesso territorio, supportate dalle istituzioni politiche di riferimento che interpretano le istanze popolari in senso conflittuale, per estirpare le ragioni contrarie addotte dagli avversari regionali attraverso l'uso intensivo della forza militare di cui dispongono.
L'autonomia unilaterale proclamata nel 1988 dalle istituzioni politiche locali, denominandosi Repubblica di Artsakh, non ha interrotto le schermaglie, creando nuovi dissapori tra le fazioni contrapposte, che si fronteggiano sul campo contando morti e feriti nella ripresa sporadica, ma intensa, dei combattimenti che si protraggono ormai da molto tempo. A più riprese tregue parziali vengono violate fin dal 1994, anno degli accordi di Bischkek che sancirono un fragile cessate il fuoco, non accettato completamente dalle parti. Il triste bollettino delle perdite umane diramato dalle autorità locali, segna una ripresa acuta del conflitto dal mese scorso, intervallato da brevi pause, presto superate dal fragore delle esplosioni che investono villaggi e città, colpendo indiscriminatamente apparati militari e strutture civili. Sembra lontana la prospettiva di accordo che ponga fine alle violenze e riporti una distensione dei rapporti tra Armenia ed Azerbaigian finalizzato alla pace durevole. E' evidente che serva quanto prima l'intervento coordinato delle potenze internazionali per evitare ulteriori spargimenti di sangue e la destabilizzazione estesa dall'area caucasica a quella mediorientale.

La gravità della situazione ha mobilitato una folta schiera di personalità che cercano di assumere una posizione netta sulla vicenda. Nella diversità di opinioni da ricondurre alla dicotomia fondamentale, tra filoarmeni e filoazeri, si è creata una convergenza assai particolare fondata su basi incontrovertibili. Il calciatore armeno della Roma, Henrikh Mkhitaryan, è coinvolto in prima persona dalle vicende belliche del suo paese, non risparmiando il proprio contributo alla causa armena scrivendo una lettera ai più importanti leader mondiali. Sin dai primi giorni della rinnovata tensione, esasperata dai venti di guerra, egli ha espresso chiaramente il forte sostegno alle rivendicazioni di Yerevan, "che traggono origine dal passato per resistere nel presente, minacciate più che mai dalla prepotenza azera che costituisce un grave pericolo all'integrità territoriale dello stato armeno". Conclude con un accorato appello "alla cessazione delle belligeranze per trovare una soluzione pacifica ed avviare una stagione di dialogo".

Nelle ultime ore ha preso forma l'alleanza inedita con il leader della Lega, Matteo Salvini, che ha dato visibilità nel dibattito italiano alle violenze perpetrate ai danni della popolazione armena, sollecitando la presa di posizione del governo guidato da Giuseppe Conte. Il ringraziamento di Mkhitaryan è arrivato con la condivisione di un post Facebook che ritraeva Salvini partecipante a un sit in della comunità armena in Italia davanti Montecitorio.
La frase scritta dal calciatore sul post condiviso recitava: "Grazie Senatore Salvini per aver alzato la voce per la giustizia e per il diritto alla vita del popolo di Artsakh". Nessuna risposta è arrivata dal leader leghista, che dunque non sappiamo come abbia preso il singolare episodio. Senza prendersi troppo sul serio, anche se le vicende trattate lo richiederebbero, soffermandosi al livello politico, è stata avviata un'embrionale convergenza nazionalista italo-armena che non ha precedenti, permessa dall'utilizzo politico dei social network in chiave di politica estera da parte di un calciatore armeno e politico italiano. Nuovo materiale da integrare all'intersezione tra calcio e politica che è sempre esistita.