Essere tifosi della Roma non è affatto semplice, si vive nella costante sensazione di precarietà rispetto alle sfide che la squadra si trova ad affrontare, soprattutto nei momenti di stagione più complicati. Si rischia molte volte di cadere nel sentimento negativo della frustrazione che può portare alla rassegnazione totale. La squadra del cuore dovrebbe evocare emozione, passione, spirito di appartenenza che crescono proporzionalmente ai successi raggiunti sul campo e si consolidano nel tempo, passando anche attraverso delusioni cocenti che tuttavia non scalfiscono l'amore originario ma lo rendono più solido di fronte alle avversità future.
Naturalmente questo discorso è estendibile ad ogni tifoso, senza eccezioni. Nel caso della Roma, alla quale sono affettuosamente legato, è rilevabile una certa tendenza generale a non valorizzare pienamente la squadra quando le cose girano bene, mentre ci si affanna a giudicarla nelle fasi di maggiore difficoltà. E' un'impressione che mi sento di confermare vista anche l'attualità. Mi riferisco in particolare alle recenti dolorose sconfitte subite dalla Roma, la prima corrisponde al derby di campionato in cui la Lazio ha dominato in lungo e in largo, infliggendo una punizione davvero insostenibile per l'ambiente romanista, che ha assistito in televisione alla prova tutt'altro che positiva della loro squadra, apparsa in chiara inferiorità nel difendersi dalla ferocia agonistica dei biancocelesti. Le tre reti subite fanno male a ciascuno dei tifosi giallorossi, che come me ogni anno aspettano il doppio impegno stracittadino per vedere la propria squadra primeggiare sull'eterna rivale. Il secondo passo falso è arrivato in Coppa Italia, dove il clamore della sconfitta contro lo Spezia è stato anche peggiore, in quanto il risultato in campo è stato appesantito da un grave errore nella gestione dei cambi, che ha determinato come previsto dal regolamento, la seconda sconfitta stagionale a tavolino dopo quella di campionato alla prima giornata affrontando l’Hellas Verona. Capita di non restare soddisfatti della prestazione specie quando il risultato volge nettamente a favore degli avversari, come già diverse volte è accaduto quest'anno. L'eco delle disfatte ha effetti potenzialmente distruttivi sulla capacità della squadra di reagire, mantenendo unità al suo interno rispetto alle veementi reazioni esterne. In effetti, era prevedibile che una pioggia di critiche si sarebbe riversata sulla guida tecnica, che come accade spesso nel calcio, è la prima accusata di aver conseguito risultati negativi.
La situazione di Roma è poi diversa da quella di altre importanti piazze, dove l'attenzione rivolta ai club cittadini attraverso radio e giornali locali, non è paragonabile all'impegno giornaliero delle decine di emittenti radiotelevisive e dei giornali sportivi e non, che fondano la propria ragione editoriale sulla cronaca delle vicende calcistiche relative a Roma e Lazio. Il racconto è affidato a commentatori selezionati dalla piazza romana, che discutono delle controversie del campionato proponendo il proprio punto di vista, all'interno di un contesto fondamentalmente amichevole. Il coinvolgimento degli ascoltatori reso possibile attraverso messaggi e chiamate in diretta rende l'atmosfera molto accogliente e aperta alle opinioni di tutti, tra goliardia e spirito di sana rivalità condensati in analisi tattiche semiserie.
Chi vive a Roma sa bene cosa intendo e ne ha fatto concreta esperienza. Personalmente, avendo la spiccata passione per il giornalismo, seguo con molta attenzione il dibattito svolto sui mezzi di comunicazione, inclusa la radio. Potrebbe diventare una reale opportunità di lavoro da considerare, dopo aver concluso l’università. L’accompagnare le persone durante la giornata con notizie relative alla propria squadra del cuore, elaborando continui aggiornamenti sulla preparazione alle partite e i retroscena di mercato, è uno degli scopi perseguiti con grande efficacia dalle attivissime radio romane. Tuttavia, il loro operato nel caso della Roma non sempre viene apprezzato dalla maggioranza dei tifosi, i quali non fanno mistero del loro forte disappunto spiegato con la motivazione secondo la quale il compito giornalistico di ricerca delle notizie è portato alle estreme conseguenze di rompere equilibri nei periodi di maggiore criticità, causando gravi conseguenze sulla tenuta complessiva della squadra. Ovviamente il mestiere del giornalista è finalizzato anche a far emergere fatti scottanti che resterebbero limitati nell’ambiente in cui avvengono, ed invece vengono diffusi all’esterno creando non poco scompiglio tra chi è coinvolto personalmente e ne subisce quindi le relative conseguenze sul piano dell’immagine. A Roma questa situazione è come detto amplificata e rende complicata una gestione virtuosa del rapporto tra media e squadra. I giocatori, essendo innanzitutto uomini, non restano indifferenti al contesto ambientale in cui si trovano a svolgere la propria attività e soprattutto per chi arriva da fuori città, è abbastanza complesso relazionarsi con la potente macchina comunicativa che circonda le vicende del club in maniera quasi oppressiva. Si vive sotto la pressione continua di vincere ad ogni costo per assicurarsi il favore della gente, più esigente e severa di altre piazze dove regna una sostanziale serenità. Per chi nasce a Roma e ha anche la bravura/fortuna di passare attraverso le categorie giovanili per approdare ai vertici della As Roma, possibilità concessa a pochissimi, fin dalle prime volte in cui ha tirato un calcio al pallone comincia ad immaginare la prospettiva grandiosa di far parte un giorno della squadra cittadina . Avverte con il tempo l’importanza che deriverebbe dal rappresentare oltre mezza città e una numerosa platea di tifosi sparsi in ogni parte del mondo, che sostengono con estrema passione la squadra e vorrebbero il massimo impegno dei giocatori che la compongono. Alcuni esempi illustri del recente passato, come Totti e De Rossi, dimostrano che conquistare l’affetto della piazza per chi è originario della stessa, può rivelarsi nel lungo termine questione difficile per i diretti interessati, che si trovano soltanto inizialmente in una condizione di vantaggio rispetto ad altri che arrivano da fuori. Si può pensare teoricamente che qualsiasi romano che arrivi ad indossare l’ambita maglia giallorossa riceva il sostegno scontato dei tifosi, che per lui avrebbero un’attenzione particolare in quanto visto come simbolo perfetto dell’unione ideale tra squadra e città, invocata da molti che sono legati all’idea più romantica di calcio, e non si arrendono alla commercializzazione dei tempi moderni. In questa situazione in cui la ricerca di profitto domina incontrastata nella grandissima maggioranza delle società calcistiche, che devono far quadrare i bilanci come qualsiasi altra azienda privata operante sul mercato, anche gli stessi giocatori hanno sviluppato una concezione diversa del club, scegliendo molte volte in base al beneficio economico che essi ricaverebbero dalla scelta di un determinato club più ricco piuttosto di un altro che offrirebbe un ingaggio meno corposo. La priorità del guadagno economico ha preso il sopravvento sulle ragioni di cuore con la conseguenza di inaridire globalmente il significato del gioco del calcio, mettendone in discussione il tratto di forte popolarità che ha sempre contraddistinto questo sport. I protagonisti, ancora considerati idoli da migliaia di persone, di ogni età ed estrazione sociale, si sottopongono piacevolmente al giudizio di spettatori che ammirano le loro gesta in campo e fuori, rese accessibili oltre che dai mezzi tradizionali, dai social network che accorciano sensibilmente le distanze e rendono possibile l’interazione diretta, superando limiti spaziali e temporali. Queste nuove possibilità comunicative sono percorse illimitatamente creando non pochi pasticci agli atleti coinvolti che spesso maneggiano con troppa disinvoltura gli strumenti offerti dalla tecnologia, e si mettono in evidenza per episodi incresciosi che minano la loro credibilità personale e reputazione sportiva. Non bisogna generalizzare e supporre che tutti i calciatori siano inghiottiti dai cambiamenti in corso nella sfera delle relazioni sociali e dei rapporti economici, come fossero pedine manovrabili in direzioni preordinate da forze superiori. Il ruolo dell’uomo-calciatore è assolutamente dirimente, perché taluni processi abbiano o meno il successo influenzato da altri che svolgono una precisa funzione finalizzata a raggiungere determinati obiettivi, non sempre coincidenti con le aspirazioni del giocatore, che perciò ha la facoltà di opporsi e affermare la sua importanza quale ultimo decisore del futuro professionale che personalmente lo riguarda.

In questa prospettiva si inserisce la vicenda umana e sportiva di Lorenzo Pellegrini, uno dei nomi più importanti nella As Roma di oggi. Nelle ultime settimane è diventato il protagonista assoluto delle cronache giallorosse, occupate da euforici commenti di esaltazione delle sue gesta in campo, in contrapposizione ad alcuni giudizi ingenerosi apparsi non tantissimo tempo fa che avevano preso di mira le incostanti prestazioni del calciatore. Fu quello il momento più difficile per Pellegrini, circondato da forte malcontento che trovò concreta evidenza nei fischi arrivati dalla tribune dello Stadio Olimpico per opera di una parte della tifoseria rumorosa, ma numericamente poco rilevante, che sapeva di far male all’animo del giocatore, come avviene per tutti coloro i quali subiscono tale trattamento negativo dal fronte amico. Per chi veniva celebrato come prosecutore perfetto della tradizione romana, erede naturale di Francesco Totti, che lo aveva designato in questi termini in tempi non sospetti trovarsi al centro di una campagna di dissenso verso la sua figura è stato umanamente complicato da affrontare. Per iniziativa di pochi, Pellegrini si è sentito abbandonato dall’appoggio della gente a cui ha sempre dimostrato riconoscenza, ricavando l’energia giusta per fare bene in campo e contribuire ai successi ottenuti dalla squadra. A causare lo strappo tra giocatore e gruppi sparuti di tifosi è stato il calo di rendimento in campo, causando immediati effetti sulla qualità del gioco decisamente più sbiadita di quanto si fosse stati abituati a vedere fino a quel periodo. Questa situazione, come si poteva immaginare, ha indotto a dare credibilità a voci perlopiù speculative che ponevano Pellegrini in via d’uscita da Roma verso destinazioni estere prestigiose. Le smentite hanno tardato ad arrivare e anche il diretto interessato ha esitato a dare conferme sul suo futuro, a riprova della reale condizione di malessere che lo riguardava. La svolta comincia a intravedersi, almeno a parole, dalla nuova presidenza americana Friedkin, che espone chiaramente la forte intenzione di blindare Lorenzo Pellegrini, considerato pilastro della squadra nel presente e anche per il futuro, quindi assolutamente incedibile. Da questo messaggio di fiducia, il centrocampista trae la spinta giusta e migliora di molto la sua utilità in campo, assumendo  maggiore consapevolezza del valore che rappresenta per l’unità della squadra. La scelta di indicarlo capitano, prendendo il posto di Edin Dzeko, non è casuale e lo proietta verso i più grandi che hanno intrecciato l’origine romana con la scelta di passare gran parte della carriera calcistica nella squadra da sempre e per sempre amata, contro tutto e tutti, perchè Roma è anche questa.