Sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco. La Coppa delle Fiere non è l’antesignana della Coppa UEFA. Sì certo, è stato un trofeo internazionale che ha preceduto la UEFA, ma oggi non viene riconosciuto come tale. Differente il discorso della Coppa delle Coppe, poi sostituita dall’Europa League all’inizio del terzo millennio. La Coppa delle Coppe, competizione riservata alle squadre vincitrici nel proprio Paese della Coppa nazionale, non esiste più ma è comunque riconosciuta. Dunque la A.S. Roma assomma una fortuna e una sfortuna al tempo stesso: è l’unica formazione italiana ad avere vinto (e con merito) la Coppa delle Fiere (la Juventus è stata battuta per due volte in finale), ma quello che ha vinto è un trofeo bello ma fine a se stesso. Avviene l’11 ottobre 1961 e le vittime della doppia finale sono gli inglesi del Birmingham City. Come andò quell’edizione e perché l’UEFA ha poi deciso di non riconoscere quel trofeo come titolo internazionale. Mettendo nero su bianco la decisione, nel 2005.

IL CALCIO AI TEMPI DELLA GUERRA FREDDA. La Coppa Internazionale delle Città di Fiere Industriali, abbreviata in Coppa delle Fiere, ha avuto nel dopoguerra una funzione essenzialmente politica. Metteva di fronte squadre di calcio delle città fieristiche al fine di fornire introiti utili al rilancio economico dopo i disastri causati dalla Seconda guerra mondiale. Il piano Marshall di aiuti statunitensi ai paesi europei, concordato al termine della guerra, prevedeva infatti l'allestimento di fiere campionarie internazionali in varie città del Vecchio Continente per favorire l'influenza del mercato statunitense in Europa. Il fine, nemmeno troppo nascosto, era quello di neutralizzare la possibile avanzata dei prodotti sovietici sui mercati continentali. Una guerra fredda in piena regola, di cui il calcio è stato per anni arma non convenzionale. Non ci si doveva qualificare, era un trofeo su invito. Il merito era un’attribuzione ancora da valorizzare. La prima edizione della Coppa delle Fiere si svolge nel 1955, l’ultima nel 1971. Poi viene introdotta la Coppa UEFA, ma tra i due trofei non esiste correlazione. Tutto questo però, non toglie nulla all’impresa della Roma, che, esattamente 57 anni fa diventa l’unica formazione italiana ad avere mai alzato al cielo quello specifico riconoscimento.

FORMULA DA RIVEDERE. L'idea iniziale è quella di creare un torneo di lunga durata, tre anni. Un tempo oggi inconcepibile. Viene poi istituita un'altra regola: le squadre iscritte alla competizione devono schierare in campo unicamente giocatori nativi delle città alle quali i club partecipanti appartengono. Grandi centri come Londra o Francoforte, avendo molte squadre importanti ma con pochi indigeni, prendono al riguardo una decisione radicale: fondere momentaneamente le formazioni delle varie squadre locali, dando luogo a vere e proprie selezioni cittadine. Londra e Barcellona prendono parte con formazioni create ad hoc per la Coppa delle Fiere. Non funziona benissimo, qualcosa va rivisto. Nella seconda edizione la durata del torneo viene infatti ridotta a due anni (dal 1958 al 1960), e la formula è resa più snella. È vero che le squadre di allora non hanno i ritmi frenetici di quelle di oggi, ma bisogna pur scadenzare gli impegni in modo razionale e condiviso. Dunque, abolizione dei gironi e introduzione dello scontro a eliminazione diretta, con partite di andata e di ritorno. I partecipanti continuano a essere squadre provenienti da città ospitanti fiere, vengono però soppresse le selezioni cittadine. A partire dalla terza edizione, la Coppa delle Fiere 1960-1961 che la Roma farà sua, il torneo assume scadenza annuale. Viene allargato il numero delle squadre partecipanti, fino ad arrivare alle 60 squadre dell'ultima edizione nel 1970-1971.

OTTOBRE 1960, SI PARTE. L’edizione 1960/61 della Coppa delle Fiere è dunque la prima a subire un restyling possente e per certi versi somiglia davvero a quella che sarà la Coppa UEFA. Al netto delle qualificazioni per merito, naturalmente. L’Italia è rappresentata dalla Roma e dall’Inter e la concorrenza non manca, nemmeno sul fronte delle formazioni dell’Est europeo, che in teoria non dovrebbero avere a che fare con un torneo funzionale alle direttive del Piano Marshall. Eppure, selezioni di Lipsia, Zagabria e Belgrado sono lì a giocarsela e, se possibile, a vincere in casa degli altri. Quattro ottobre 1960, le Olimpiadi romane sono terminate da poco ma il calcio non ne tiene conto. È una Roma arricchita dal talento dell’uruguaiano Juan Alberto Schiaffino quella che si presenta al primo turno della competizione nel 1960. Pur a 35 anni suonati, Schiaffino è un dispensatore di fantasia e di assist geniali. Ad avvalersene è soprattutto un terminale d’attacco che in quegli anni fa paura, l’argentino Pedro Waldemar Manfredini. Piedone, per i suoi tifosi. Completa il patrimonio tecnico della rosa un altro uruguaiano d’eccellenza, Alcides Ghiggia. Sembra un po’ un cimitero degli elefanti, la squadra giallorossa, eppure sono proprio gli anziani a elevare il tasso tecnico. Senza di loro sarebbe molto dura andare avanti. Né Inter né Roma hanno problemi a superare gli ottavi di finale: troppo poca cosa le rispettive avversarie, l’Hannover96 e l’Union St. Gilloise. Più complessi i quarti finale, soprattutto per la Roma. Se l’Inter ipoteca il passaggio già all’andata, imponendo un 5-0 al Belgrado, l’avversario dei giallorossi è di spessore diverso. È il Colonia, squadra tedesca di tutto rispetto. Ciascuna batte l’altra per 2-0 fuori casa. Sul piano algebrico è perfetta parità, dunque serve “la bella”. 4-1 per i giallorossi e Roma avanti. Nella seconda delle 3 partite con il Colonia (o Köln, per gli esterofili) fa l’esordio un ragazzo diciassettenne: si chiama Giancarlo De Sisti e quella sera c’è chi giura di aver visto all’opera un campione ancora in fasce.

LA FASE FINALE. Ad aprile del 1961, a giocarsi la Coppa delle Fiere sono rimaste in quattro: le due italiane, gli inglesi del Birningham City e gli scozzesi dell’Hibernian. I primi toccano in sorte all’Inter, che viene malamente eliminata grazie a un doppio 2-1. La quarta incognita si scontra con la Roma. È il 19 aprile e a Edimburgo la temperatura non è affatto mite. Finisce 2-2 e a risolvere i problemi della Roma provvede un altro attaccante argentino. È Francisco Ramon Lojacono, ha grinta da vendere e in quel periodo è fidanzato con la futura signora Celentano, Claudia Mori. Ma una settimana dopo i giocatori scozzesi non vengono nella Capitale per fare i turisti. È partita durissima e finisce 3-3. Considerato il regolamento di allora, 2 pareggi in altrettante partite significano spareggio. Il 27 maggio le due squadre si affrontano per la terza volta ma qui non c’è storia. Finisce 6-0, Manfredini ne fa 4. Completano la lista dei marcatori Menichelli e Selmosson. Birmingham City e Roma si danno appuntamento in Inghilterra per la finale d’andata. 27 settembre 1961, St. Andrew’s Stadium. La prima è in casa dei britannici. La Roma gioca bene, mostra maturità tattica, pratica un calcio semplice ma efficace e non ha paura, né dell’avversaria né della cornice sugli spalti. A 12 minuti dalla fine sta vincendo per 2-0, Piedone ha bussato due volte. Poi, sette minuti di follia giallorossa, quanti ne bastano al Birmingham per pareggiare il conto con Hellawell e Orrit. Tutto è rimandato all’11 ottobre, la Roma è superiore all’avversaria ma alla fine quella superiorità deve pur tradursi in qualcosa di concreto.

LA COPPA DE NOANTRI. A concretizzare, suo malgrado, provvede un difensore inglese, Farmer, nella propria porta. È il minuto 56 della finale di ritorno della Coppa delle Fiere 1960/61 e lo Stadio Olimpico esplode di gioia. I giocatori giallorossi si abbracciano ma nel contempo si fanno la faccia scura, l’uno con l’altro. Non devono più distrarsi, stavolta l’impresa è possibile. Il Birmingham prova a riorganizzarsi ma la Roma chiude bene gli spazi. Non starà giocando un gran calcio quella sera, ma il risultato è troppo importante per preoccuparsi anche dell’estetica. E poi i 50 mila spettatori non smettono di tifare e di sostenere la squadra nella mezzora che resta. Alla fine il grande sollievo. Minuto 90, bisogna far passare il tempo con azioni di alleggerimento. Tenere palla e tirare in porta soltanto se necessario. Ma quando serve, piazzare la botta. Come fa Pestrin, centrocampista di contenimento dal tiro proibito, specie dalla distanza. Il gol della sicurezza, quello della gioia definitiva. Una liberazione. L’arbitro, il francese Schwinte, fischia la fine e in campo ha inizio una vera festa. A livello internazionale la Roma non aveva mai vinto nulla, non vincerà più nulla, pur andandoci vicino più volte. Finora, almeno.

L’UEFA SPECIFICA. La gioia di giocatori e tifosi romanisti è quanto di più legittimo e meritato. E’ Stanley Rous in persona, presidente della FIFA, a consegnare la Coppa al capitano Losi. Un trofeo bello e ancor oggi ricordato con affetto. Ma guai a confonderlo o anche ad accostarlo alla Coppa UEFA. Nel 2005 è stato anche reso noto il perché. Ecco le motivazioni. La manifestazione permetteva la partecipazione di squadre amatoriali e non venne organizzata direttamente dall'UEFA (che includeva soltanto formazioni professionistiche), bensì da un comitato indipendente alle organizzazioni sportive. La formula delle due prime edizioni, inoltre, favoriva la partecipazione di compagini semiprofessionistiche e non prevedeva l'accesso al torneo per meriti sportivi (ovvero attraverso il piazzamento in campionato) in quanto la partecipazione era consentita sia a rappresentative miste, sia a club di città nelle quali si tenevano fiere internazionali. Occhio dunque, a equivocare. Non si renderebbe un buon servizio alla verità storica.

Diego Mariottini