I trofei, il record di presenze con la Nazionale. La Juventus, Alena, la Coppa del Mondo. Ilaria, Boia chi molla e la controversa maglia numero 88, le presunte scommesse illecite. Per una volta, tutto questo non ci interessa proprio. Non ci interessa nemmeno l’arrivo a Parigi nel 2018. Ci interessa invece come Buffon diventa Buffon. A 40 anni Gigi è ancora il numero uno. Uno, in tutti i sensi: perché è un portiere, perché è IL portiere. Il suo è uno stile che non si inventa, le sue parate sono da sempre la somma di una reattività esplosiva e di un riflesso che solo un gatto può avere. Ma perlomeno i gatti non hanno i piedi buoni, lui invece sì, ha perfino quelli. La genesi di una storia calcistica, non ancora conclusa, di uno dei più grandi di sempre e non soltanto a livello europeo: Gianluigi Buffon. Una storia che inizia parecchi anni fa.

GIGI, OGGI GIOCHI TU, PREPARATI. La mattina del 19 novembre 1995, l’allenatore del Parma Nevio Scala ha un problema grosso da risolvere. Al “Tardini” sta per arrivare il Milan di Baggio e Weah e lui non sa chi mettere in porta. Il titolare Bucci si è fatto male e il secondo, Alessandro Nista, non gli dà molto affidamento. Se potesse, in porta ci andrebbe lui, per due motivi: da calciatore ha dato tanto alla squadra che oggi si trova contro e poi vorrebbe mantenere il primato in classifica. Un po’ per opinione favorevole sul ragazzo, un po’ perché si sente costretto dalle circostanze, Scala decide di puntare su un gigante non ancora maggiorenne con un cognome importante. Si chiama Gianluigi Buffon, suo zio era stato portiere della Nazionale negli anni 50 e a Parma già lo chiamano Gigi. Si dice che sia bravo, del resto nell’ambiente si sa chi vale e chi no, ma nelle partite che hanno importanza deve ancora dimostrare tutto. Soprattutto, deve fare un salto di qualità. Quando gli dicono “Gigi, oggi giocherai tu, vatti a preparare”, quasi non ci crede, ma non tradisce emozioni e va. Ha lavorato sodo per questo. Vuole diventare un portiere serio e la sorte gli dà una mano. Nella lingua italiana, “sorte” è una parola impegnativa e forse anche insidiosa. Gi antichi romani la definivano “vox media” perché in sé per sé non ha un significato positivo, ma neppure negativo. Sta al diretto interessato trasformare la parola in buona o cattiva sorte. Parma-Milan finisce 0-0 e sono in parecchi a notare che senza almeno un paio di interventi decisivi del ragazzino, il Milan porterebbe a casa i tre punti.

UN PREDESTINATO, O ALMENO COSI’ DICONO. La sua è una vita che comincia a Carrara nel gennaio del 1978. Fin da bambino Gigi capisce che lo sport è una cosa importante. Più importante di tutto il resto, almeno per lui. Del resto, in casa non mancano trofei e ritagli di giornale. Suo padre Adriano è stato un Azzurro nella Nazionale di atletica mentre la madre, Maria Stella Masocco, ha vinto per tre volte i campionati italiani di lancio del peso. Le sorelle esprimeranno il loro potenziale atletico grazie alla pallavolo. Un ambiente dunque, quello familiare, che spinge alla competizione agonistica. A 6 anni è uno di quei bambini che portano un pallone al parco o in pineta e danno vita a sfide che possono durare ore. Gigi non ha un ruolo definito, nel senso che li prova tutti, ma una cosa è certa: perdere proprio non gli piace. E non molla finché non vince.

IL CENTROCAMPISTA BUFFON. Proprio per il suo spiccato spirito agonistico, la famiglia lo iscrive alla Scuola Calcio Canaletto di La Spezia, dove un ruolo l’allenatore glielo trova subito. A centrocampo. Poi, non appena ha l’età da Pulcini va a giocare al Perticata. Il bambino se la cava, ha buoni piedi, ma ha il vezzo di girarsi indietro piuttosto spesso. Osserva con attenzione la porta della propria squadra e ne rimane affascinato. Anche se gioca molti metri più avanti, vorrebbe essere lì a difenderla. Gigi Buffon ha un certo occhio e gli capita spesso di intuire dove il tiro degli avversari andrà a finire. Ma tra il comprendere e l’agire la differenza può essere abissale, dunque bisognerebbe provare come si fa a impedire un gol. Nel frattempo gli accade qualcosa che può raccontare con onore ai compagni di scuola. Il 5 marzo del 1989, 11 anni compiuti da poco, gioca a San Siro. È una sfida fra i migliori bambini della Toscana e quelli del Veneto. Un'emozione incredibile, quella che si consuma a rilascio graduale prima di Inter-Verona, nella stagione dello scudetto nerazzurro 1988-89. Gigi Buffon è il centrocampista dei bambini toscani, mentre la partita degli adulti la vince l'Inter per 1-0 con gol di Nicola Berti. Passa un anno e l’occasione di giocare tra i pali si presenta. Il bambino Gianluigi è passato al Bonascola Calcio. Quello è insieme un passo all’indietro e uno in avanti. Indietro, perché è tornato a Carrara, la sua città. Avanti, perché l’allenatore Piserini e il preparatore dei portieri Marconi fanno di lui un portiere. Vedono in quel tipetto buone potenzialità, ma i due non immaginano ancora fino a che punto possano avere ragione. In camera di Gigi troneggia il poster di un estremo difensore che lui ammira per stile, senso della posizione e reattività. È Thomas N’Kono, il numero uno della Nazionale del Camerun fra gi anni 80 e il decennio successivo. Il portiere dei Leoni d’Africa non è più giovanissimo, ha ancora pochi anni di carriera davanti a sé, ma da lui c’è molto da imparare.

SENZA FALSA MODESTIA. In effetti il giovane Buffon dimostra grandi riflessi, una tecnica forse da affinare, ma anche una voglia di far bene che convince sempre chi ha deciso di dargli fiducia. E in effetti la sua crescita, fisica e professionale, non passa inosservata agli occhi di gira i campi d’Italia in cerca di potenziali campioni. “Intanto – racconta Buffon stesso - osservatori di tante società importanti mi stavano tenendo d'occhio perché, senza falsa modestia, stavo facendo davvero bene. In particolare mi seguivano Parma, Milan e Bologna. Per un certo periodo il Milan fu la società più vicina a me, non nego di aver pensato diverse volte a come sarebbe stato il mio arrivo a Milanello, visto che si era nel pieno dell'era dei tre olandesi e dei tanti altri campioni. Ma poi insieme alla mia famiglia scelsi il Parma, la squadra più vicina a casa. Ci andai da solo, nell'estate del 1991, avevo 13 anni. Venni affidato alle cure di due grossi personaggi: l'allenatore Ermes Polli, un mito a Parma, con oltre 300 partite giocate in varie categorie e l'allenatore dei portieri Ermes Fulgoni. Proprio Fulgoni mi diede da subito grandissima fiducia. Dopo 6 mesi che ero lì già diceva che sarei arrivato in Serie A. Andando avanti nelle giovanili Fulgoni continuò a seguirmi come preparatore specifico. Come allenatore dopo Polli arrivò Rabitti. Siamo arrivati agli Allievi Nazionali. Un bellissimo settore giovanile quello del Parma, mi sono rimaste amicizie con tanti ragazzi, alcuni dei quali sono anche diventati professionisti di fama come Morello, Falsini, Barone, Franceschini. Intanto ero entrato nel mirino della prima squadra, stiamo parlando del 1995, avevo 17 anni e qualche mese”.

QUANDO UNA STELLA NASCE. Nella rosa ci sono tre portieri d’esperienza, come il vicecampione del mondo Bucci, poi Galli e Nista, ma fin da subito Nevio Scala ha l’occhio attento proprio su quel ragazzo, che nel frattempo è diventato altissimo e che sul piano tecnico migliora ogni giorno. Proprio in quel periodo Gigi Buffon trova un procuratore, Silvano Martina. Si viene a creare un rapporto che il tempo non ha scalfito. Il feeling tra i due scatta durante un torneo a Viareggio, sarà che anche Martina è stato un portiere. Un buon portiere. Ma per l’esordio di Buffon bisogna attendere, le gerarchie sono chiare e Scala ha parlato altrettanto chiaro. Fino a quando, contro il Milan, il 19 novembre 1995, l'allenatore decide che è arrivato il suo turno. L’apparente assenza di emozione di cui si diceva all’inizio si trasforma in felicità, una sensazione strana per un debuttante di 17 anni. Entra in campo e già dal piglio che ha, sembra un veterano. I compagni non lo trattano come normalmente si tratta l’ultimo arrivato, buon segno. La partita finisce 0-0 e cominciare senza subire reti è già un grande inizio. Durante la stagione 1995/96 il giovane Buffon totalizza 9 presenze, il titolare resta comunque Bucci. Nella stagione seguente cambia l'allenatore, al Parma arriva Carlo Ancelotti. Non è un inizio di stagione semplice, malgrado una rosa che fa invidia alle avversarie più forti A Novembre Gianfranco Zola non tollera più il dualismo con il bulgaro Stoichkov e va al Chelsea a predicare calcio di un altro livello per gli inglesi. Poi, quasi sotto Natale, inizia una sequenza di partite esaltante. Il Parma chiude il campionato al secondo posto, alle spalle della Juventus. Buffon colleziona 27 presenze con solo 16 reti al passivo. È nata una stella e ormai se ne sono accorti tutti. Anche Cesare Maldini, allora CT della Nazionale italiana.

Diego Mariottini