L’11 giugno non è mai stato un giorno qualsiasi per Jean Alesi. Il proprio compleanno non lo è mai. Ma dopo l’impresa di 23 anni fa del ferrarista francese quella data assume un significato ancora più importante. Vincere un Gran Premio è un’impresa notevole, ma farlo per l’unica volta nella propria carriera proprio in concomitanza di un evento così importante equivale a vivere una sorta di favola nella favola. Compie 31 anni quell’11 giugno il pilota della Rossa di Maranello e in un giorno come quello non bisognerebbe essere lì, ma festeggiare con parenti e amici. Tuttavia un professionista non può lasciarsi andare a simili considerazioni, dunque quella domenica Alesi è in pista come se fosse una data qualsiasi.

NATURAL BORN DRIVER. Sembra nato con i ferri del mestiere in mano il piccolo Jean, figlio di Marcella e Franco, un meccanico di Alcamo emigrato Oltralpe tanti anni prima. Classe 1964, il futuro ferrarista nasce ad Avignone, luogo che con l’Italia e con il potere temporale dei Papi ha qualcosa a che vedere. La prima passione televisiva è il rally ma le prime quattro ruote che il ragazzo guida sono quelle del kart. Del resto molti dei grandi campioni si sono formati gareggiando in miniatura, è normale che anche lui e suo fratello comincino da lì. Ha 20 anni il giovane Jean quando si cimenta nella Formula Renault. È una categoria abbastanza particolare e poco conosciuta, in Italia. Tramite la Formula Renault i piloti possono imparare sul campo i segreti delle gare prima di passare a formule superiori come la Formula 3, la GP2 Series, o la stessa Formula 1. È una sorta di stage importante ed è già lì che si comincia a capire chi ha la stoffa e chi può darsi tranquillamente ad altri sport. Superato l’esame degli osservatori, Alesi passa nel 1986 alla Formula 3, conseguendo una vittoria già l’anno successivo, alla guida delle vetture del team Oreca. Nel 1988 a 24 anni passa in Formula 3000, secondo un criterio di avvicinamento per tappe all’automobilismo che conta.

IL PRIMO ANNO non è particolarmente felice, perché il francese conclude al decimo posto giungendo soltanto due volte a podio. A seguito di una serie di problemi interni alla squadra, nel 1989 Alesi trova un accordo con la Jordan. Con la casa anglo-irlandese il pilota riesce a vincere il titolo internazionale di categoria vincendo tre gare. In quello stesso anno partecipa anche alla 24 Ore di Le Mans, in squadra con Dominic Dobson e Will Hoy. Tuttavia non è un’esperienza fortunata perché non conclude la gara, costretto al ritiro per un incendio che nasce all’interno della vettura. Ma le capacità per gareggiare ai livelli più alti il ragazzo le possiede e chi per mestiere deve avere occhio e fiuto di scout non si fa sfuggire certi dettagli. È versatile, tenace, cerca sempre di migliorarsi e sa analizzare con cura tutti gli aspetti migliorabili, di se stesso e del mezzo. Forse dovrebbe concentrare meglio le proprie energie ma la stoffa, quella stessa stoffa che cercavano in Formula Renault, qui c’è. Sempre nel 1989, alla Tyrrell in Formula 1 hanno un problema con Michele Alboreto. Ci sono di mezzo gli sponsor, tanto per cambiare.

ESORDIO CON I FIOCCHI. La questione tra le parti non si risolve, dunque la scuderia inglese ha bisogno in fretta di un sostituto che si riveli all’altezza del pilota italiano. Saranno i tempi stretti, saranno forse le circostanze, la scelta cade sul francese Jean Alesi. E l’esordio è ottimo perché la matricola termina al quarto posto proprio in Francia, dopo essere stato secondo per lunghi tratti della gara. Durante la stagione il nuovo pilota della Tyrrell va a punti anche a Monza e in Spagna, a Jerez de la Frontera. Insomma, un esordio con i fiocchi e un Mondiale chiuso in nona posizione. Anche la stagione successiva, sempre con la Tyrrell, si chiude al nono posto, ma se la prima volta Alesi era stato una rivelazione, l’anno dopo serpeggia una certa delusione. Ci si attendeva di più. Ma non tutti i mali vengono per nuocere, perché alla Ferrari si sono fatti un’ottima opinione di lui e non esitano a ingaggiarlo per farne la seconda guida di Alain Prost. Nel 1992 il dissidio fra la casa di Maranello e Prost fa sì che diventi proprio Alesi la prima guida, affiancato da Ivan Capelli. Nel frattempo è comparsa nel Circus la stella di Michael Schumacher e non si tratterà certo di una cometa. In quegli anni, va detto, la Ferrari non è il massimo dell’affidabilità e se il francese non rende come tutti pensano che potrebbe, è più colpa della vettura che non sua. Tant’è che a 30 anni suonati si dice che sia bravo ma che – dati alla mano – non abbia ancora vinto un Gran Premio e che forse gli manchi il quid del campione. Si arriva così, illusione dopo illusione, al Mondiale 1995, con la Ferrari che monta un motore 12 cilindri e che alterna buone prestazioni a sortite più sfortunate che negative in sé.

L’11 GIUGNO 1995 si corre in Canada, a Montreal, sul circuito intitolato a Gilles Villenueve. Il francese è in terza fila con il sesto tempo assoluto, dietro a Schumacher, ai due della Williams, Damon Hill e David Coulthard, e al compagno di scuderia, l’austriaco Gerhard Berger. Tra il miglior tempo in prova ufficiale e quello di Alesi passano più di 8 decimi di secondo. Dopo la partenza, Michael Schumacher sembra il predestinato naturale al podio più alto, staccando tutti di parecchi secondi. Ma con il passare dei giri il fuoriclasse tedesco registra problemi al cambio che ne rallentano l’andamento. Alesi, che ha già sorpassato l’inglese Hill al “Tornante del Casinò”, comincia a crederci, perché sente che stavolta l’impresa si può fare. Così, quando il tedesco della Benetton si trova costretto a rallentare, il ferrarista numero 27 recupera pian piano lo svantaggio e passa primo, complice anche una fermata di troppo ai box per il pilota di testa. Per Shumi sembra una beffa, una di quelle che di solito capitano agli altri. In testa per tutto il tempo e poi, a 12 giri dalla fine, l’irreparabile.

A UNA VALUTAZIONE SUPERFICIALE Jean Alesi sembra un tipo freddo, un calcolatore, ma chi lo vede così sbaglia di grosso. Non stiamo mica parlando di Prost o di Lauda (e anche in quel caso si potrebbe discutere). Il francese di Avignone ha la scorza dura e quel che deve dire lo dice senza giri di parole. Tuttavia nasconde un’insospettabile emotività e quel temperamento viene fuori proprio il giorno del suo compleanno, a migliaia di chilometri da casa. Quando si rende conto che può vincere la corsa, Jean, sotto il casco, inizia a piangere. È l’incontrollabile eruzione di sentimenti contrapposti di chi tanto ha lavorato in attesa del momento giusto. Con gli occhi umidi e le lacrime a malapena trattenute, prosegue inesorabilmente verso la bandiera a scacchi con le tipiche mani posizionate alle 11 e 5 e il capo piegato verso l’interno di ogni curva: il suo stile inconfondibile. Nulla si contrappone a quella vittoria, tranne un potenziale problema: il consumo di benzina. Ma con il mestiere di chi sa gestire una situazione delicata, anche quell’impasse è alle spalle. Dietro non c’è più nessuno. E alla fine ecco la bandiera a scacchi girare su se stessa in segno di vittoria. Il pubblico è in delirio, nemmeno fosse risorto Gilles Villeneuve, e invade il circuito ancor prima che Barrichello e Irvine, secondo e terzo con le Jordan, taglino il traguardo. A Monza sarebbero stati più sobri nel festeggiare una vittoria della Rossa. Migliaia di tifosi che si accalcano all’altezza del podio, bandiere francesi, italiane e rosse Ferrari che acclamano Jean Alesi.

MENTRE NEI BOX i festeggiamenti hanno inizio, il vincitore, ancora quasi incredulo e in piena “trance agonistica”, prosegue a passo rapido il giro di rientro ma all’improvviso deve parcheggiare la sua Ferrari sull’erba. Del carburante non è rimasta goccia. È proprio Schumi a offrirgli un passaggio a destinazione. È un’immagine bella, potente e carica di significati. Il francese si sistema sulla carrozzeria della monoposto, senza immaginare che l’anno successivo colui che in quel momento sta guidando la Benetton sarebbe andato in Ferrari e che lui sarebbe passato proprio alla Benetton. Uno scambio in piena regola. Insomma, Alesi completa il suo giro d’onore da passeggero del campione del mondo in carica. Si siede di lato come un cowboy da rodeo: stringe tra le gambe l’airscope, con una mano si aggrappa al rollbar, con l’altra saluta i fan. Quando Alesi raggiunge i box, il team gli riserva un’ovazione. Dopo l’inno francese, suona l’inno italiano, accompagnato dal coro: “A-le-si!, A-le-si!, A-le-sì!”.Il vincitore fa il verso al coro, muovendo le braccia come il maestro di una banda musicale. Un’esultanza forse un po’ folkloristica, senz’altro fuori dagli schemi. Ma in una vittoria come quella c’è poco di normale se si pensa che quel giorno a Montreal, Canada, a casa di Gilles Villeneuve si compie l’unica vittoria in Formula 1 del ferrarista numero 27. 27 come Villeneuve. Proprio allora e proprio nel giorno del suo compleanno.

Diego Mariottini