Soffiò un vento di novità ma prima mandò un cortese avvertimento. È il 6 maggio 1970 e proprio quella sera si gioca la finale della Coppa dei Campioni. Tramite l’Eurovisione, l’Europa è collegata. Il Vecchio Continente si ferma davanti alla tv, la curiosità di sapere quale sarà la nuova regina del calcio non fa pensare ad altro, quel mercoledì. Si gioca allo stadio San Siro di Milano e sembra quasi un ideale passaggio di consegne. Il Milan campione in carica si è infatti fermato agli ottavi di finale e nell’occasione deve cedere lo scettro sul proprio terreno di gioco. Alla Scala del calcio si trovano faccia a faccia due buone squadre, ma non certo le più accreditate, a inizio stagione. Sono il Feyenoord di Rotterdam e il Celtic di Glasgow. Se il Celtic, squadra dei cattolici scozzesi (e con un nutrito seguito di irlandesi, sempre per senso di appartenenza religiosa), è già da anni una realtà di livello internazionale, la formazione olandese rappresenta una vera sorpresa. Ma soltanto per chi in quegli anni non segue le evoluzioni tecnico-tattiche del calcio continentale.

UN’ARIA DIVERSA. Nella terra dei tulipani il movimento calcistico sta producendo un tipo di gioco che non si era mai visto prima e che sta dando frutti forse non ancora maturi, ma già di ottimo sapore. Si va imponendo una visione evoluta del gioco a zona. Qualcuno in quegli anni conia una definizione che segnerà uno spartiacque fra epoche calcistiche e modi di stare in campo: si comincia a parlare di “calcio totale”. Non che prima si giocasse a scartamento ridotto, ma in Olanda si afferma una rivoluzione tattica secondo la quale tutti devono saper giocare – a buon bisogno e a seconda delle necessità – in qualsiasi ruolo. E non è tutto: chi pratica il calcio totale ha una visione del gioco e una concezione degli spazi del tutto inedita. La preparazione atletica (tutto parte da lì) deve supportare una capacità podistica (e tecnica) mediante la quale la squadra deve esercitare un possesso di palla insistito e martellante. Chi gestisce il gioco quasi sempre vince, pensano da quelle parti. Per fare questo bisogna correre più dell’avversario, arrivare per primi sul pallone. Bisogna saper variare gli schemi quando l’avversaria è schierata, accelerare quando si individua il varco buono, avere uomini spietati sotto porta. Poi c’è anche la fase difensiva: l’uso sistematico del fuorigioco è un’innovazione di fronte alla quale i tradizionalisti storcono il naso ma che impedisce al centrocampo avversario di ragionare e alle punte di ricevere palloni giocabili. Le distanze fra i vari reparti si accorciano e la compattezza fra difesa, centrocampo e attacco diventa la chiave principale per chiudere spazi e fare risultato. Si può rendere inevitabile il cosiddetto fallo tattico, ma il più delle volte non c’è bisogno di ricorrere alle maniere forti.

JURASSIC SOCCER. In pochi anni il calcio totale minerà le certezze dei difensivisti, dei fautori del “catenaccio”. La vittima principale è proprio il calcio italiano, invecchiato alla velocità del suono e che conoscerà – soprattutto a livello di Club, ma anche di Nazionale - il decennio più magro della sua storia. E pensare che il Feyenoord non è neppure la più temibile delle squadre olandesi. In particolare l’Ajax sta costruendo uno squadrone e il logo dei Lancieri di Amsterdam sta per incombere sull’Europa del pallone. Ma anche affrontare il PSV Eindhoven, la squadra del colosso tecnologico della Philips, o lo stesso Twente della città di Enschede non è comodo per nessuno.

LUCI A SAN SIRO. La sera del 6 maggio 1970 Feyenoord e Celtic si affrontano dunque per aggiudicarsi il massimo trofeo calcistico continentale. Ma come sono arrivate fin lì? Nel primo turno gli olandesi si sono sbarazzati degli islandesi del RK Reykjavik con facilità irrisoria (la partita d’andata finisce 12-2 per i biancorossi di Rotterdam), mentre il Celtic deve sudare un po’ di più contro gli svizzeri del Basilea. Negli ottavi di finale il sorteggio non sembra troppo benevolo, né con l’una né con l’altra. Al Feyenoord toccano in sorte i campioni in carica del Milan, mentre agli scozzesi si contrappongono i portoghesi del Benfica, una delle grandi titolate d’Europa. I rossoneri di Nereo Rocco vincono 1-0 in casa con una rete di Combin (gli avversari potrebbero pareggiare in almeno 3 occasioni e sul piano del gioco sembrano superiori a vista) ma in Olanda vengono sconfitti per 2-0. Devastanti risulteranno le ripartenze e la velocità di un avveniristico 4-3-3. In particolare quella sera brilla la stella di uno dei più grandi centrocampisti del suo tempo, Wim Van Hanegem. Il Celtic vince 3-0 in casa e perde con altrettanto scarto a Lisbona. Soltanto la monetina concede semaforo verde. Nei turni successivi il Feyenoord ha vita facile con Vorwarts Berlino e Legia Varsavia, mentre gli scozzesi devono eliminare avversari di ben altro peso come la Fiorentina e il Leeds United. La sera della finale di Milano tutti i pronostici sono a favore del Celtic Glasgow. Per di più agli olandesi mancano il portiere titolare Treytel e il bomber Geels, uno che a fine carriera avrà segnato quasi 400 reti nel campionato olandese. Ma i biancorossi possono contare su un altro attaccante di razza, lo svedese Ove Kindvall, una punta a tutt’oggi celebrata in chiave vintage dalla stampa scandinava al pari di Zlatan Ibrahimovic, se non di più. Malgrado la presenza di Kindvall, in lizza fino all’ultimo per il Pallone d’Oro 1969, quelli del Celtic sono convinti, fin troppo convinti, di essere i più forti. A distanza di anni il terzino e capitano Tony Gemmel ammetterà: «Sia­mo scesi in campo impreparati, il discorso prepartita dell’allenatore Stein ci aveva fatto credere che avremmo giocato contro una squadra di secondo piano».

EPPURE per i biancoverdi di Scozia la partita si mette bene. Alla mezz'ora l’arbitro, l’italiano Lo Bello, as­segna un calcio di punizione dal limite al Celtic per un fallo su Wallace. Murdoch allunga di tacco per Gemmell che lascia partire un tiro secco e potente sul quale l’estremo difensore olandese Graafland potrebbe anche arrivare. Lo Bello è però sul­la traiettoria del tiro e di fatto copre la visuale al portiere olandese. 1-0, c’est la vie. Ma l’outsider Feyenoord è tutt’altro che arrendevole e in 180 secondi pareggia il conto. L’azione è frenetica. C’è un batti e ribatti in area scozzese. Il difensore olandese Israel, solo sul limite dell'area piccola, si ritrova a mezza altezza la palla buona e pareggia di testa. La partita la stanno decidendo i gol di due difensori, due terzini per l’esattezza. Da quel momento però il Feyenoord assume il con­trollo della partita, guidato dal regista Wim Van Hanegem. Nel­la ripresa Hasil, mediano austria­co del Feyenoord, colpisce il pa­lo e il portiere Williams, decisamente il migliore, diventa protagonista. Altro che squadra di secondo piano. Il risultato però non si sblocca e per dare un nome alla squadra campione d’Europa sono necessari i tempi supplementari. A quattro minuti dal ter­mine un lungo rilancio del Feyenoord trova leggermente fuori tempo l'ultimo uomo scozzese, Billy Mc Neill, il capitano del Celtic. Nell'in­dietreggiare il difensore perde l’equilibrio e tenta di fermare la palla, che lo sta sopravanzando, con le mani. Il tentativo disperato di Mc Neill significherebbe rigore per gli olandesi ma il pallone arriva ugualmente sui piedi del centra­vanti del Feyenoord Kindvall, che batte con un pallonetto da posizione leggermente decentrata batte il portiere del Celtic. Sull’esultanza dei giocatori olandesi uno stuolo di fotografi entra in campo, tanto da far quasi pensare a un’invasione di campo. Non succede più nulla, ha vinto il Feyenoord, ha vinto l’allenatore biancorosso, un grande innovatore, l’austriaco Ernst Happel. Ha vinto soprattutto un nuovo modo di stare in campo e di concepire gli spazi. A settembre di quello stesso anno il Feyenoord vince anche la Coppa Intercontinentale contro gli argentini dell’Estudiantes, ma tutto questo non è ancora nulla rispetto a ciò che farà l’Ajax nel triennio successivo. Un trionfo globale per un calcio totale.

 

Diego Mariottini