Tutti ricordano Fred Perry per la sua linea di abbigliamento, non molti in realtà sanno chi fosse davvero. Per molti Perry è soltanto una maglietta con un logo d’alloro, pochi ricordano le gesta tennistiche del campione. Eppure è appena doveroso ricordare Frederick John Perry a tanti anni dalla sua morte, avvenuta a Melbourne, in Australia il 2 febbraio 1995 all’età di 86 anni. Nel 2013 (e poi di nuovo nel 2016) il tennista scozzese Andy Murray vince il Torneo di Wimbledon ed erano 77 anni che un britannico non si affermava in casa propria. L’ultimo a riuscire nell’impresa era stato proprio Fred Perry, nel 1936.

PERRY E’ STATO IL TENNISTA BRITANNICO ad aver vinto più tornei, dominando dal 1934 al 1936 e rimanendo consecutivamente numero uno del mondo nella classifica dei tennisti professionisti per quel triennio magico. Ma quella triplice impresa non racconta tutto di lui. Nella sua carriera, il campione inglese ha infatti vinto i quattro tornei del Grande Slam nel singolare maschile, nel doppio maschile e nel doppio misto. Si è aggiudicato anche gli US Open e ha contribuito a far vincere alla Gran Bretagna l’International Lawn Tennis Challenge (che dal 1945 si trasforma nella Coppa Davis), la massima competizione mondiale a squadre nazionali del tennis, dal 1933 al 1936. Ma come vedremo, la sua è una mano adatta a ogni tipo di racchetta. Fred Perry nacque a Stockport, una città pochi chilometri a sud-est di Manchester, nel 1909. Scopre fin da piccolissimo di avere talento e cerca di assecondare in ogni modo le sue naturali capacità. Prima di diventare un asso del tennis, nel 1929 a Budapest, 20 anni appena compiuti, Fred Perry si laurea campione mondiale di tennistavolo. È proprio grazie al tennistavolo (mai chiamarlo pingpong, per carità) che il futuro trionfatore a Wimbledon sviluppa il dritto “di polso”, il suo colpo migliore, il vero “marchio di fabbrica” ante litteram.

ANCHE SE IN ITALIA la sua è ancora una figura conosciuta e apprezzata soltanto dagli appassionati di tennis (e della moda), per gli inglesi Fred Perry è ancora l’icona più autentica del torneo di Wimbledon. Circa 30 anni fa, appena fuori dall’ingresso al campo centrale è stata eretta una statua ad altezza naturale che lo raffigura in azione. Da allora la tradizione vuole che chi non si fa riprendere o oggi non si fa un selfie al cospetto di quel monumento è come se a Wimbledon non ci fosse mai stato. L’immagine vuole celebrare la prima vittoria di Perry sull’erba londinese nel 1934. Se oggi la critica è d’accordo nel considerarlo un campione assoluto, va detto che 84 anni fa quella vittoria non fu gradita a tutti gli inglesi. L’affermazione in finale contro l’australiano Jack Crawford viene commentata con una “strana mancanza di eccitazione” tra gli spettatori, ricorda oggi la BBC. Finito il match e rientrato negli spogliatoi, Perry dovrebbe essere felice ma non lo è. In fondo è un inglese che ha vinto in casa sua ma si sente quasi uno straniero. Anzi, uno straniero sarebbe stato trattato con maggiore rispetto e questo lo molto arrabbiare. Uno degli organizzatori si lascia sfuggire di bocca che “non ha vinto il migliore”. Una rivista americana dell’epoca scrive: “Perry non è un campione popolare in patria”. Un’osservazione esatta e motivata.

A WORKING CLASS HERO (is somethimg to be), direbbe John Lennon. Nei confronti del vincitore c’è una strana diffidenza generale, difficile da comprendere, almeno per chi si è avvicinato al tennis nei decenni successivi. Ma un motivo in realtà c’è. In Gran Bretagna il tennis è uno sport di élite e lui proviene dal popolo. I suoi genitori appartengono alla working class dell’Inghilterra del nord. Perry inizia a praticare a tennis soltanto quando suo padre si crea uno spazio in politica, nei movimenti della sinistra londinese, altrimenti nessuno lo accetterebbe. Nel migliore dei casi, è un sopportato. Nei primi anni 30 il tennis sta cominciando a diventare uno sport aperto non soltanto all’aristocrazia, ma in certi ambienti l’origine è una discriminante fondamentale e l’estrazione proletaria è tollerata a denti stretti, quando è tollerata. Dal canto suo Perry ci mette un carattere a volte reattivo e poco incline al compromesso. Sta di fatto che già dopo le prime vittorie viene visto con diffidenza anche dai compagni di squadra nella Nazionale che partecipa all’International Lawn Tennis Challenge. In effetti, nei circoli di tennis il ragazzo, pur essendo apprezzato dal punto di vista agonistico, non è ben visto anche a causa dei i suoi comportamenti, talvolta in aperta opposizione allo stile da gentleman richiesto ai tennisti di allora. Perry, una sorta di John Mc Enroe innanzi tempo, non esita a criticare e a volte perfino offendere gli avversari quando perde le staffe. Non teme inoltre di entrare in conflitto anche con le autorità sportive della Lawn Tennis Association (LTA), l’Associazione britannica dei professionisti. Il 3 luglio del 1936, il proletario Fred Perry batte l’avversario tedesco, il barone Von Cramm, con un umiliante 6-1 6-1 6-0 e si aggiudica per la terza volta il torneo di Wimbledon. Quel giorno la classe operaia va in paradiso in diretta radiofonica, ma la frattura tra il campione e la federazione inglese è ormai insanabile. Per lui quella è gente antiquata, spocchiosa e perfino poco professionale. Il tennis sta andando in un’altra direzione e loro non lo capiscono. La decisione è consequenziale e drastica: preferisce aderire a un piccolo circolo negli Stati Uniti. La ritorsione non si lascia attendere. La LTA lo esclude sia dal torneo di Wimbledon sia dalla nazionale di Coppa Davis, gli ritira il prestigioso riconoscimento onorario di membro dell’All England Club e lo priva della possibilità di partecipare ai tornei organizzati in Gran Bretagna. Il diretto interessato non se ne dà per inteso e procede per la sua strada.

QUADROPHENIA. Terminata la carriera agonistica a fine decennio, Fred Perry si trasforma in un imprenditore e crea una linea di abbigliamento per il tennis e il polo che avrà successo soprattutto negli anni 60. Un boom soprattutto fra i giovani britannici che facevano parte del movimento conosciuto con il nome di Mods, i proletari inglesi eleganti e un po’ modaioli/modernisti. In sostanza, l’ex campione è il primo a comprendere che una maglia da tennis può trasformarsi in un normale capo d’abbigliamento anche fuori dal rettangolo di gioco. Lacoste, Ralph Lauren e Ben Sherman ci arriveranno dopo. La particolarità del logo Fred Perry sta nel fatto che, mentre il coccodrillo della Lacoste è cucito alla maglia, la corona d’alloro Perry è ricamata direttamente nel tessuto. L’imprenditore rimane comunque nel mondo del tennis, come allenatore e commentatore, sempre negli Stati Uniti. La sua riconciliazione con la Gran Bretagna avviene poco alla volta, a partire dal 1968, un anno forse non casuale. Gioca a favore dell’ex campione il fatto che nessun inglese sarà più riuscito a eguagliare le sue vittorie. Nel 1984, la pace è cosa fatta. Gli organizzatori di Wimbledon gli dedicano la più grande statua del circolo. Del resto, avere messo fine all’egemonia francese in quella che in seguito si chiamerà la Coppa Davis dovrà pure valere qualcosa Oltremanica. O è tutto dovuto?

Diego Mariottini