Gli anni ’70 rappresentano il decennio d’oro del calcio inglese, ma è c’è oro e oro. L’oro di Nottingham vale doppio. È la storia di una società che non aveva mai vinto nulla fino ad allora, è la storia di un uomo difficile ma capace di trasformare in oro qualsiasi metallo: Brian Clough. Nel gennaio del 1975 il management del Nottingham Forest, ancora relegato in seconda divisione, a sorpresa mette sotto contratto proprio lui, che in quel momento è disoccupato.

PERSONCINA A MODO. L'allenatore che pochi anni prima aveva portato al titolo il Derby County sta vivendo anni difficili. Nell'ottobre del 1973 Clough e il suo assistente Peter Taylor hanno avuto un contrasto con la dirigenza del Derby. Sono volate parole troppo grosse, la frattura è insanabile. A stagione in corso, i due passano alla guida del Brighton, squadra di terza divisione. L’avventura nell’East Sussex dura poco: poche partite, parecchie sconfitte e Clough fa di nuovo le valigie. Il tecnico è uomo duro e talvolta spietato, esigente e poco amato. Non ha un filo di diplomazia nell’esprimere un punto di vista ma, a parte qualche scivolone – più caratteriale che tattico - come allenatore ha la qualità più importante: sa vincere. Dopo una breve e (anche qui) burrascosa parentesi al Leeds, il club di Nottingham sceglie dunque Clough, il quale è chiamato, a metà stagione, a traghettare verso posizioni tranquille una squadra in crisi. Nonostante il cambio di allenatore, la stagione del Forest continua a non essere esaltante. Il tecnico è molto self confident e non se ne dà per inteso. Grazie all'occhio lungo di Taylor per i giovani talenti e per le figure funzionali, si muove bene sul mercato e poco alla volta forma il gruppo. Tempo 2 anni e tutto è pronto per il campionato 1977/78 con un Nottingham Forest neopromosso in First Division, che in teoria può anche fare un campionato tranquillo. Una stagione senza patemi, una salvezza alla portata, tutti pensano.

ALL I NEED IS A MIRACLE. Da squadra senza eccessive pretese, il NF si porta sorprendentemente in testa e mantiene sempre, giornata dopo giornata, un discreto vantaggio sulle inseguitrici. Tutti si aspettano che la bolla di sapone scoppi all’improvviso, ma passano le settimane e la squadra di Clough resta sempre lì, in vetta. Il tecnico dimostra di essere un grande motivatore del gruppo, oltre che un fine stratega in campo. La stagione 1977-78 si rivela perciò una cavalcata trionfale, un po’ come era avvenuto durante il campionato 1971-72 quando il manager era alla guida del Derby County. Vince lo scudetto con sette punti di vantaggio sulla seconda, il Liverpool. Quello stesso anno la squadra delle Midlands si prende anche la Community Shield (la Supercoppa d’Inghilterra) umiliando per 5-0 l’Ipswich Town, fresca vincitrice della Coppa d’Inghilterra. Per la prima volta nella storia del calcio inglese, una neopromossa fa suo il titolo d’Inghilterra, evento che a tutt’oggi non si è più ripetuto. Ma ciò che accade nei mesi successivi ha ancor più dell'incredibile, consegnando la squadra allenata da Clough e da Taylor direttamente alla leggenda del calcio mondiale.

EUROPEAN TOUR. Nella stagione 1978-79 il gruppo è impegnato su quattro fronti: campionato, FA Cup, League Cup e Coppa dei Campioni. L’esordio in Coppa avviene in casa, proprio – ironia della sorte - contro un'altra squadra inglese, il Liverpool detentore del titolo. Nei giorni che precedono il match non si fa altro che parlare di Clough e della sua squadra: i media temono che i ragazzi del Forest non riescano a reggere la tensione al cospetto di un’avversaria più esperta. Il 13 settembre arriva e il City Ground fa registrare il tutto esaurito. 38 mila spettatori sugli spalti, ben oltre la capienza dell’impianto. La squadra prende coraggio e parte all'attacco. Sono passati 26 minuti di gioco quando, con la sua consueta rapidità, Tony Woodcock, ricevuta palla dalla trequarti, s'insinua al centro della difesa del Liverpool, un paio di dribbling e poi salta il portiere Clemence in uscita, allungandosi troppo. Il pallone però finisce sui piedi dell’attaccante Garry Birtles, che deve solo appoggiare in rete. Il centrale difensivo del Liverpool Thompson non la prende bene, si avvicina spavaldo a Woodcock e gli dice a brutto muso:

“Ma dove pensate di andare? Un gol di vantaggio ad Anfield Road non basterà”.

Da quel momento inizia un monologo del Liverpool che costruisce occasioni su occasioni ma il portiere Shilton è insuperabile. Il risultato non cambia e intanto i minuti passano. E alla fine è l’apoteosi. Mancano 3 minuti: nel corso di una classica azione di alleggerimento, Bowyer mette al centro un pallone senza troppe pretese, sul quale Woodcock inventa un assist per il giovane difensore Barrett. Botta al volo e palla in rete. Non ci crede neppure lui: Barrett non ha piedi eleganti ma quella sera gli riesce un prodigio. Mentre i 22 giocatori rientrano esausti negli spogliatoi Birtles si avvicina a Thompson e, tanto per restituire con gli interessi, gli chiede:

“Che dici, due gol basteranno?”.

Il 27 settembre si disputa il ritorno allo stadio di Anfield Road. Il portierone del Nottingham Forest (e con lui tutta la difesa) ripete la stessa identica gara dell’andata aggiungendo, se possibile, qualche miracolo in più. Un palo e una traversa completano il complotto astrale, fornendo l’aiuto decisivo al Forest. Finisce 0-0 e Liverpool a casa. Sui newspapers del giorno dopo tutte le attenzioni sono ancora una volta su Brian Clough. Dopo quell’impresa tutto diventa possibile. La vittima successiva è l’AEK di Atene, poi ancora gli svizzeri del Grasshoppers.

MA CHE COS’HA di tanto speciale l’artefice di una simile impresa? Del resto, se oggi non esitano a chiamare Mr. Brian Howard Clough a football genius e se i tifosi delle squadre che ha allenato lo hanno sempre adorato, deve pur esserci un motivo. Il tecnico, classe 1935, proviene da Middlesbrough, città portuale del North Yorkshire, Inghilterra del nord-est, e ha un passato importante. Dal 1955 al 1961 nel ruolo di centravanti fa la fortuna della squadra della sua città con 197 gol in 212 presenze. Numeri alla mano, Clough è spaventoso: segna quasi un gol a partita. La sua carriera prosegue nel Sunderland: in tre anni segna 51 volte in 64 partite. Quando “Cloughy” lascia il calcio agonistico deve ancora compiere 28 anni. E’ il giorno di Santo Stefano del 1962. Gli inglesi lo chiamano il “Boxing Day” perché è tradizione in quel giorno scambiarsi i pacchi natalizi. Nel pacco per Brian c’è una pessima sorpresa: il portiere avversario gli frana addosso nel tentativo di evitare un gol quasi sicuro. L’impatto è devastante, ma non per il portiere. Smette controvoglia di giocare uno dei peggiori incubi delle difese avversarie. Il tipico centravanti britannico, con buoni fondamentali e grande fisicità. Un tiro micidiale, un colpo di testa che non lascia scampo (malgrado una statura assolutamente media), una velocità di esecuzione non comune, una grinta tale da preoccupare – e molto - chi è addetto alla sua marcatura.

IN PANCHINA. Inizia a fare l’allenatore e pian piano i risultati arrivano. Rispetto agli altri manager inglesi del suo tempo Clough pone un’attenzione maggiore alla fase difensiva, ma anche al dinamismo del centrocampo, presupposto fondamentale per le ripartenze in attacco. Con lui in panchina, lo schema “cross in mezzo e tutti avanti” viene superato. Si punta molto di più sul gioco palla a terra, con l’incessante ricerca degli spazi d’inserimento necessari a prendere d’anticipo le difese avversarie. Insomma, Clough non sarà un mostro di simpatia, ma viene riconosciuto come un grande stratega e come un “progressista” tattico in un Paese di solito molto conservatore, specie se si tratta di argomenti come il football.

MA TORNIAMO immediatamente in campo. Dopo un’appassionante doppia semifinale contro il Colonia, il 30 maggio 1979 l’Olimpiastadion di Monaco che pullula di Union Jack e di Cross of S. George fa da cornice all’impresa della squadra che due anni prima giocava nella serie B inglese. Comunque andrà, sarà un successo, ma Brian Clough non è persona da accontentarsi della medaglia d’argento. Dall’altra parte ci sono gli svedesi del Malmoe. La partita non ha storia e i reds vincono 1-0 contro un’avversaria chiusa in difesa. Gli uomini della Contea di Nottingham sono Campioni d’Europa. Una piccola città delle Midlands Orientali che non arriva a 200mila abitanti è dunque la regina del Vecchio Continente per l’annata 1978-79. Nottingham, al di qua e al di là del fiume Trent, può dunque esplodere di gioia e festeggiare. La squadra di Brian Clough vincerà anche la Coppa dei Campioni dell’anno successivo in finale contro l’Amburgo. Ma in questo caso la ripetizione di un evento inaspettato (e la conferma è più difficile dell’affermazione imprevista) avrà per assurdo il potere di raddoppiare “l’effetto-miracolo”, come se la seconda affermazione in campo europeo fosse stata una prima volta a tutti gli effetti. Forse è vero: ai fatti straordinari non ci si abitua mai o più probabilmente non si crede abbastanza. Dopo avere vinto anche la seconda Coppa dei Campioni, nel 1980, l’uomo di Middlesbrough diventa un’istituzione locale e siederà sulla panchina del Nottingham Forest fino al 1993.

LA FINE. Negli ultimi anni la salute lo abbandona poco alla volta. Seguono ai trionfi internazionali stagioni scialbe e sporadiche soddisfazioni, a parte qualche Coppa d’Inghilterra vinta e qualcun’altra persa anche in modo rocambolesco. Brian Howard Clough muore all’età di 69 anni il 20 settembre 2004. Al di là di simpatie o antipatie personali, tutti gli riconosceranno una personalità forte e un pragmatismo calcistico non comune. Forse a Nottingham la popolarità di Robin Hood è stata soppiantata dalla sua. Il nome di Brian Clough entra così nella Hall of Fame del calcio britannico. La sua figura rimane quella di un allenatore che ha saputo vincere nel modo più difficile, ovvero con squadre di secondo livello. Ma il Nottingham Forest ha una particolarità ulteriore. È l’unica formazione ad aver vinto più Coppe dei Campioni (due) che scudetti (uno). Trovare un corrispettivo in tal senso su scala mondiale non è soltanto un’impresa difficile: è proprio impossibile.

Diego Mariottini