Qualche settimana fa si è ritirato dal calcio giocato Gianluigi Buffon, uno dei più grandi portieri della storia. Sicuramente tra i miglior portieri che la gloriosa scuola italiana abbia mai prodotto. 

 

Inciso commemorativo: Riposa in pace, GINULFI

Scuola italiana che, tra l’altro, in questi giorni piange la morte di Alberto Ginulfi, storico portiere della Roma con cui vinse due Coppe Italia e un Anglo-Italiano, passato alla storia per aver parato un calcio di rigore a Pelé. Era il 3 marzo del 1972, quando all'Olimpico scese in campo il mitico Santos per un’amichevole di lusso. O’ Rei a fine partita, dopo avergli stretto la mano per la parata (soltanto altri due portieri erano riusciti in una simile impresa), andò nello spogliatoio della Roma e regalò a Ginulfi la sua maglia. 

Ma torniamo a Buffon, oggi capo delegazione della Nazionale italiana, di cui ha scritto le più belle pagine di storia calcistica. Quale miglior modo di celebrarlo, se non ricordando i nostri migliori dieci portieri? 

Avvertenza: nessuna classifica.
L’eccellenza non ha, non può avere scale di valore e, comunque, stilare una classifica tra i 10 sarebbe far torto al talento di alcuni di questi sublimi estremi difensori. Meglio quindi affidarsi alla cronologia.  Sono tutti portieri che ovviamente hanno indossato la maglia della Nazionale, seppur con alterne fortune, e collettive e personali. 

Glossa in premessa: GEORGE BEATON
Eppure, non tutti sanno che il primo portiere della “Nazionale italiana”, rectius, di una rappresentativa italiana fu un inglese: George Beaton, il quale non entra nel nostro novero, non fosse altro che per ragioni, appunto, di nazionalità, ma che mi pare opportuno qui menzionare. La sua esperienza tra i pali "azzurri” (si fa per dire) risale agli albori del calcio. Il primo tentativo di dar vita a una selezione italiana si ebbe già nel 1899, quando la FIF (Federazione Italiana Foot-ball, antenata della FGCI) selezionò undici giocatori che militavano nel campionato italiano, per giocare un’amichevole a Torino, presso il Velodromo Umberto I, contro una rappresentativa svizzera. Di questi calciatori selezionati solo tre erano italiani. La partita si disputò il 30 aprile con una selezione svizzera, che s’impose per due reti a zero. In quell'occasione la rappresentativa italiana indossò una divisa biancoblù, che era quella del Genoa, campione d’Italia. La Gazzetta del Popolo ne diede notizia, raccontando come la squadra svizzera <<ebbe ragione della squadra italiana, alla quale le contese abilmente e valorosamente la palma del trionfo>>. A fine partita ci fu anche il terzo tempo, con tanto di banchetto fraternizzante e foto di gruppo.

George Beaton iniziò a giocare nel nostro Paese (dove si trovava probabilmente per ragioni lavorative) tra le file del Torino FCC, sin dall'anno di sua fondazione, cioè nel 1887. Il club poi si fonderà, nel 1891, con il Nobili Torino, dando origine all'Internazionale Torino, squadra con la quale disputò il primo campionato italiano di calcio, che perse in finale contro il Genoa. Raggiunse la finale di campionato anche nella stagione seguente, perdendola nuovamente col Genoa. Nel 1900, a causa di una crisi finanziaria, l'Internazionale Torino fu costretta a fondersi con il Torinese, di cui Beaton diventerà il keeper titolare. Con il suo nuovo club raggiunse la sua terza finale di campionato, che perse per la terza volta consecutiva contro il Genoa. Rimase con gli arancio-neri (era questa la maglia dei torinesi) sino al 1904.


GIANPIERO COMBI
Juventus-Bologna. Angelo Schiavio, fuoriclasse del Bologna, si presenta da solo davanti al portiere; lo stadio piomba in un silenzio angoscioso, i due si guardano negli occhi e Schiavio, con una finta, indirizza la palla nell’angolo, alla sinistra dell’estremo difensore juventino, il quale intuisce il tiro e, con un gran balzo, respinge a pugni chiusi; l’attaccante felsineo è di nuovo sul pallone e, senza aspettare un istante, tira ancora, esattamente nello stesso angolo di prima, dove il portiere scaltramente è però rimasto ad aspettare la palla, per bloccarla comodamente; a Schiavio, gran signore oltre che gran calciatore, non rimane che alzarsi da terra e correre subito a stringergli la mano. Quel portiere è Gianpiero Combi. 

Fu il portiere e capitano delle Nazionale  campione del mondo nel 1934. Fu il portiere della Juventus dei 5 scudetti, di cui 4 consecutivi.

Nato a Torino il 20 novembre del 1902, Combi formò, assieme ai terzini Virginio Rosetta e Umberto Caligaris, tutti e tre compagni di squadra e Nazionale, quella che è ritenuta dalla stampa specializzata la miglior linea difensiva di tutti i tempi, espressa nel calcio italiano e tra le migliori nel mondo. Insieme a Ricardo Zamora e František Plánička è ritenuto, sia dal giornalismo che dalla storiografia sportiva, il miglior estremo difensore dell'anteguerra, nonché uno dei più forti portieri europei del XX secolo.

Ha inoltre detenuto per novanta anni (dal 1926 al 2016) il record assoluto d'imbattibilità (934') nella storia della massima serie italiana: rimase imbattuto per più di 9 partite, dal 25 ottobre del 1925 (Juventus-Milan 6-0, 4ª giornata) al 28 febbraio del 1926 (Parma-Juventus 0-3, 12ª giornata); è stato proprio Buffon a battere il record, con 973'.

Tutto questo a discapito del metro e settantaquattro di statura, compensata da uno straordinario senso della posizione e un’agilità che gli valsero il Soprannome di Fusetta (lampo, in dialetto piemontese). Era uno specialista nel bloccare i calci di rigore, pare intuendo la direzione della palla dopo avere fissato negli occhi il tiratore.

Un grandissimo portiere, i cui due esordi da titolare lascivano presagire tutt’altro. In ciascuno dei suoi due debutti (Juve e Italia), subì ben sette reti: il 5 marzo del 1922, in seguito a un malanno del portiere titolare dell'epoca, Emilio Barucco, esordì in serie A contro la Pro Vercelli, che batté la Juventus con un sonante 7-1; due anni più tardi, il 6 aprile del 1924, giocò la sua prima partita in azzurro contro l'Ungheria, che in un match amichevole sconfisse l'Italia con un identico 7-1.

Ma la sua carriera avrebbe poi registrato altri numeri.

Al suo attivo si contano 351 presenze in campionato, dal 1922 al 1934 e 47 in Nazionale, con la quale vinse una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Amsterdam (1928), due edizioni della Coppa Internazionale (1927/1930, 1933/1935) e la Coppa Rimet del 1934.

A questo torneo avrebbe dovuto inizialmente prendere parte solo come portiere di riserva, ma il portiere titolare, Carlo Ceresoli, dell'Ambrosiana-Inter, durante la preparazione sul campo sportivo di Roveta, in una parata un po' azzardata si ruppe un braccio a causa di uno scontro con Pietro Arcari. Il commissario tecnico, Vittorio Pozzo puntò quindi sul trentunenne Combi, ormai a fine carriera per gli standard del tempo, pare dopo un colloquio di cinque minuti, avvenuto nella stessa stanza d’ospedale dove il Ceresoli giaceva dolorante. Pozzo gli parlò in dialetto piemontese, come faceva sempre nei momenti cruciali, rivolgendosi a un suo conterraneo, e gli disse: “Piero, souta, touca a ti” (Piero, sotto, tocca a te). In meno di due settimane Combi riuscì a ritornare in forma perfetta, allenandosi dieci, dodici ore al giorno.

Il 10 giugno del 1934 la finale contro la Cecoslovacchia fu la sua ultima partita in azzurro: Combi alzò la Coppa Jules Rimet da capitano, prima del suo ritiro dalle competizioni calcistiche.

Suo fratello, Maurizio, ha detto: “Mio fratello è stato un vero campionissimo. Ha giocato con tre costole incrinate, dopo una partita con il Modena; con la Cremonese ha giocato con la vertebra coccigea incrinata, stava appoggiato al palo e interveniva quando era necessario. Non voleva perdere il posto, si preoccupava sempre di perderlo. Ha giocato anche con l’itterizia, tutto fasciato, nel gran freddo; ha giocato con i polsi e le dita e la faccia scassato”. Questo era Combi! 

Morì nel 1956, per un infarto, che lo colpì a Imperia mentre era alla guida della sua auto.


ALDO OLIVERI
“Ero spettacolare, sì. Civettavo, certo. Istrionico, e allora? Non c'era niente di male nel piacere alla gente, farla sobbalzare e trepidare con un volo sulla palla… Io ero il Gatto Magico, io ero Aldo Olivieri”

Gatto Magico era eccezionale nelle uscite e un felino nei suoi interventi spettacolari, uno dei migliori portieri italiani di sempre, portiere titolare della Nazionale campione del mondo nel ‘38. 

Nato a San Michele Extra il 2 ottobre del 1910, esordì nella stagione 1929-30 nel Verona, in Serie B, passando al Padova nel 1933-34. L'esordio in Serie A avvenne il 10 settembre del 1933, in Padova-Torino 1-0. Tuttavia giocò soltanto otto gare, poiché, durante un'azione di gioco, un'uscita spericolata sull’attaccante del Fiumana, Andrea Gregar, gli causò la frattura del cranio; frattura che per tutta la vita gli procurerà forti emicranie e lo renderà particolarmente sensibile ai cambi di clima.

Dopo appena un anno di convalescenza e contro il parere dei medici, Olivieri andò a giocare nella Lucchese, nella serie cadetta, riuscendo a conquistare una promozione in Serie A con la squadra toscana, dove rimase 4 stagioni e dove si fece notare dal CT della Nazionale, Vittorio Pozzo.

Poi, nella stagione 1938-39, arriva al Torino, chiamato da Egri Erbstein, che lo aveva allenato già a Lucca.

Nella squadra granata Olivieri giocò quattro campionati, per un totale di 113 partite, prima di passare al Brescia, dove chiuse la carriera in Serie B (stagione 1942-43), giocando 32 partite. 

Debuttò in Nazionale il 15 novembre del 1936, nell’amichevole contro la Germania, pareggiata 2-2, e giocò in tutto 24 partite (più 3 con la Nazionale B).

“Pozzo mi chiamò per Germania-Italia, a Berlino. Se dovessi dire che ero emozionato, sarebbe una bugia. Segnammo con Colaussi, poi il tedesco Siffling fece una doppietta, eravamo intorno alla fine del primo tempo. Nell'intervallo Allemandi, il nostro capitano, si avvicina e mi fa: ‘Senti, una cortesia, smettila di parlare troppo’. Davo ordini a tutti, soprattutto ai due terzini, Monzeglio e Allemandi, anche se loro erano famosi e io no. Io giocavo ancora in serie B. La mia idea è che un portiere è il padrone dell'area di rigore, deve litigare e se capita deve anche tirare fuori i pugni per farsi obbedire. Quelli che sono venuti dopo di me hanno fatto comandare i difensori.  Gli risposi: ‘Ascolta, io parlo eccome, ci sono abituato’. La partita finì 2-2, pareggiammo con Giovanni Ferrari. Allemandi alla fine mi mise una mano sulla spalla e disse: ‘Sei bravo, se vai avanti così, mi sa che vieni ai Mondiali’. Tornai a casa felice, in treno, su una carrozza di seconda classe e con un panino comprato alla stazione”.

Allemandi aveva ragione.

Nel ‘38, in Francia, disputò un mondiale stratosferico, soprattutto quando effettuò la parata miracolosa, che salvò il risultato durante la prima partita, contro la Norvegia: l'attaccante Knut Brynildsen si presentò solo davanti a lui e fece un gran tiro, che Olivieri riuscì a deviare con le dita; la palla toccò l'incrocio dei pali e finì in calcio d'angolo. 

“Del Mondiale vinto mi rimase solo una spilla che mettevo al bavero della giacca. Aveva un rinforzo dietro, così i ladri non poterono portarmela via. Una spilla e un ricordo: la parata a due minuti dalla fine nella partita di primo turno contro la Norvegia. Al Velodrome di Marsiglia ventimila antifascisti fischiarono il nostro saluto romano. Segnammo subito, poi crollammo. La Norvegia pareggiò a 7 minuti dalla fine e segnò di nuovo, ma il gol venne annullato per fuorigioco. All'88' mi venne incontro palla al piede questo ragazzone di nome Brynhildsen. Calciò all'incrocio dei pali, andai a prendere la palla lassù, in cima … Prima di battere l'angolo, il norvegese chiese all'arbitro di sospendere il gioco per un attimo, volle venire a stringermi la mano, un tempo si usava così. Nei supplementari Piola afferrò una respinta del portiere e fece 2-1, ma per tutti avevamo rubato la partita. Quando lasciammo lo stadio presero a sassate il nostro pullman”. 

Se quel Brynhildsen avesse fatto gol, l'Italia probabilmente avrebbe un titolo mondiale in meno. 

Il 26 ottobre del 1938 divenne il primo portiere italiano ad essere convocato per un match FIFA World, difendendo la porta di una selezione europea, in un'amichevole contro l'Inghilterra: con lui scesero in campo altri italiani: Alfredo Foni, Pietro Rava, Michele Andreolo e Silvio Piola.

“Sono invecchiato giocando alla marianna (a briscola, ndr) nel mio bar, il bar Olivieri, sulla passeggiata di Viareggio, dove avevo conosciuto la mia Piera. Le promisi che a sessant'anni avrei smesso, e così ho fatto; da allora, sono rimasto a casa. Con Adolfo, Ugolino e Mario, le vecchie glorie di Viareggio, la sera si parlava di pallone”.

Aldo Olivieri è morto nel 2001 a novant'anni. A un torneo di Viareggio aveva visto un ragazzino giocare in porta e aveva detto: "Quello lì andrà in nazionale". Quello lì era Buffon.


VALERIO BACIGALUPO
Ci sono miti che vanno oltre il tempo e al di là delle stesse gesta compiute. Nomi che rimangono eterni, come appesi ai fili invisibili della memoria, penzolanti nell’etereo immaginario. Uno di questi è quello di Valerio Bacigalupo.

Nacque a Vado Ligure il 12 marzo del 1924, ma è la sua data di morte che segnerà la storia del nostro calcio e, paradossalmente, la sua immortalità: Superga, 4 maggio 1949.

Valerio Bacigalupo fu il grande portiere del grande Torino. Faceva parte, insieme ai compagni di squadra Danilo Martelli e Mario Rigamonti, del celebre Trio Nizza, dal nome della via di Torino in cui dividevano l'appartamento. 

Molto dotato sul piano atletico, era specialista in interventi acrobatici e nel parare i calci di rigore.

Crebbe nelle giovanili del Vado. Nel 1941 disputò una partita amichevole con l'Entella, allenata dal fratello Manlio, ma venne scartato. Militò quindi nella Cairese e nel Savona, prima di venire ingaggiato dal Genova 1893, nelle cui fila disputò il Campionato Alta Italia 1944, giungendo quinto nel girone della zona Piemonte-Liguria, e vinse la Coppa Città di Genova nel 1945. Quindi, approdò al Torino, a 21 anni, prelevato per 160.000 lire. Esordì in granata il 14 ottobre del 1945, alla prima giornata di campionato, un derby perso contro la Juventus, subendo una rete su rigore da Silvio Piola. Giocò da titolare tutta quella stagione, che culminò con la vittoria dello scudetto. Col Torino dal ‘45 al ‘49 (137 presenze), vinse 4 scudetti. Resta il primo portiere per imbattibilità della storia granata, avendo collezionato 690′ consecutivi senza subire gol. A superarlo ci hanno provato Luciano Castellini (557') e, più recentemente, Salvatore Sirigu (599'), ma senza riuscirci. Non solo, Bacigalupo ha anche collezionato 40 partite senza subire gol nella massima serie, chiaramente merito della squadra più forte dell'epoca, ma anche di un portiere eccezionale. 

Solo 5 furono, invece, le presenze in Nazionale, tutte amichevoli. Esordì in maglia azzurra in un'amichevole contro la Cecoslovacchia, disputatasi a Bari il 14 dicembre del 1947 e terminata 3-1 per l'Italia. Fu titolare nella storica vittoria sulla Spagna per 3-1, disputatasi il 27 marzo del 1949 a Madrid, poco più di un mese prima della tragedia di Superga: per gli Azzurri si trattò della prima vittoria in assoluto in casa degli iberici, mentre per Bacigalupo, che nell'occasione parò un rigore, fu l'ultima partita in nazionale.

Il 4 maggio c’era anche lui, su quel maledetto aereo che si schiantò sulla collina di Superga.


GIULIANO SARTI
È la prima strofa della cantilena più stornellata del calcio italiano, quel “Sarti, Burgnich, Facchetti …", che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo ascoltato o declinato con la stessa disinvoltura con cui al liceo classico si sciorinava “rosa/rosae”.

Nato a Sarti Castello d'Argile il 2 ottobre  del 1933, fu appunto il portiere della grande Inter di Helenio Herrera, con cui, tra il ‘63 e il ‘68, vinse 2 Coppe dei campioni, 2 scudetti e 2 coppe intercontinentali e su cui è superflua ogni ulteriore narrazione. Il suo esordio avvenne il 15 Settembre del 1963: Inter Modena 2-1. In tutto, furono 198 le sue presenze.

Sarti spiccava per la capacità di compiere interventi efficaci, senza dover ricorrere a gesti atletici particolarmente vistosi; caratteristica, questa, per la quale fu ribattezzato "Portiere di ghiaccio" dalla stampa specializzata e "Hombre de la revolución" da Helenio Herrera. Efficace anche nelle uscite, era inoltre avvezzo a seguire l'andamento dell'azione e ad accorciare la distanza dal resto della squadra, in sostanza un precursore del ruolo.

E siccome per tutti è e rimane il portiere della famosa “cantilena”, spesso dimentichiamo che una squadra per lui molto importante, e vincente, fu pure la Fiorentina. A Firenze approdò nel 1954, dopo essere cresciuto nel San Matteo della Decima (in Seconda Categoria) e nella Centese e nella Bondenese (in Promozione), e ci rimarrà fino al 1963, totalizzando 256 presenze in tutto. 

All'inizio del campionato seguente (‘55/‘56) appena ventiduenne, si ritrova titolare dei gigliati, al posto di Leonardo Costagliola e, con lui fra i pali, la Fiorentina vinse il suo primo scudetto, perdendo solo all'ultima giornata contro il Genoa. Lo scudetto portò i Viola in Coppa dei campioni, che persero in finale dal Real Madrid di Di Stefano (pare si sia complimentato con lui alla fine della gara), per 2-0, grazie alle reti dello stesso Di Stefano e di Gento (la partita si disputò il 30 maggio del 1957 al Santiago Bernabéu).

Con la Fiorentina conquistò poi anche una Coppa Italia e una Coppa delle Coppe, entrambe nel 1961; fu inoltre finalista nella Coppa delle Coppe 1961-1962 e nelle edizioni di Coppa Italia del 1958 e del 1959-1960. Vinse anche una Coppa Grasshoppers, competizione internazionale organizzata dalla società polisportiva del Grasshoppers, di cui fu disputata un'unica edizione, dal 1952 al 1957, vinta appunto dalla Fiorentina, che in un girone all’Italiana (sulla falsa riga della Coppa Internazionale per le Nazionali) ebbe la meglio sulle altre 5 partecipanti (Austria Vienna, Nizza, Schalke 04, Grasshoppers e Dinamo Zagabria).

E forse non tutti sanno che Sarti fu anche il portiere della Juventus, anche se da secondo e per una sola stagione. Nel 1968, infatti, ormai trentacinquenne, si trasferì a Torino, dove chiuse la carriera in Serie A, facendo da secondo a Roberto Anzolin, di cinque anni più giovane. 

Giocò infine la sua ultima stagione in Serie D, all'Unione Valdinievole, per poi abbandonare nel 1970.

In Nazionale collezionò solo 8 presenze. L’esordio il 29 novembre del 1959, contro l'Ungheria: una gara di Coppa Internazionale pareggiata in casa per 1-1. Ma co l’azzurro della Nazionale il rapporto non sbocciò mai, ma almeno si risparmiò l’umiliazione della Corea, dato che abbastanza incredibilmente non andò ai Mondiali del 1966, in Inghilterra, neanche come terzo portiere (dietro Albertosi ed Anzolin, fu scelto Pizzaballa, quello della figurina introvabile).

E dire che nel 1967 fece parte della selezione del Resto del Mondo, che affrontò la Nazionale spagnola, per celebrare il 65º compleanno del portiere Ricardo Zamora. La formazione FIFA vinse 3-0 e ne fecero parte altri quattro italiani: Tarcisio Burgnich, Gianni Rivera, Sandro Mazzola e Mario Corso. Anche se giocò per soli 34 minuti (causa infortunio), Sarti fu il terzo portiere italiano a essere convocato dalla FIFA: prima di lui, Aldo Olivieri, negli anni quaranta, e Lorenzo Buffon, negli anni cinquanta; in seguito lo saranno Dino Zoff, Walter Zenga, Gianluca Pagliuca e di Gianluigi Buffon (che del Buffon di prima è lontano parente).

L’International Federation of Football History & Statistics lo ha annoverato tra i più forti portieri europei del XX secolo, collocandolo in 43ª posizione.

Sarti è morto a Firenze il 5 giugno del 2017.


ENRICO ALBERTOSI 
Ricky è il portiere campione d'Europa nel 1968 e vice campione del mondo nel 1970 con la Nazionale italiana e campione d’Italia col Cagliari (stagione ‘69/ ‘70).

Nato a Pontremoli il 2 novembre del 1939, è annoverato dall’IFFHS tra i più forti portieri europei del XX secolo, collocandolo in 32ª posizione.

Portiere dal carattere estroverso, il classico genio e sregolatezza, poteva contare su eccezionali doti tecniche e fisiche, unitamente a un colpo d’occhio eccezionale e a dei riflessi da felino; la sua specialità era d’inarcarsi in volo con grande disinvoltura. Per Nereo Rocco era “il migliore al mondo, anche se ha tutto quello che odio in un calciatore: fuma, beve, piace alle donne, gioca a carte, punta sui cavalli”.

Iniziò nelle giovanili della Pontremolese (dove esordì in prima squadra a 15 anni, per sostituire il portiere titolare Gregoratto, imbarcatosi perché marinaio), poi le giovanili dello Spezia e prima squadra.

Nel 1958 fu acquistato dalla Fiorentina. Esordì in Serie A nel campionato 1958-1959, il 18 gennaio, in Roma-Fiorentina 0-0, anche se i primi cinque campionati in viola li trascorse come riserva di Giuliano Sarti, giocando in totale solo 30 partite. Con il trasferimento di Sarti all'Inter divenne titolare e tale rimase per altre cinque stagioni, fino al 1968. Con la Fiorentina vinse due Coppe Italia (1960-1961 e 1965-1966), nonché la prima edizione della Coppa delle Coppe (1960-1961), cui la Fiorentina aveva partecipato quale finalista dell'edizione di Coppa Italia 1959-1960, causa rinuncia della Juventus. Nel 1966 vinse la Mitropa Coppa (la più antica competizione calcistica europea per squadre di club, disputatasi per la prima volta nel 1927 e per l'ultima volta nel 1992).

Nel 1968 il trasferimento al Cagliari, il mitico Cagliari campione d’Italia: era il 1970. Albertosi quell’anno stabilì il record del minor numero di reti subìte in un campionato a 16 squadre (11 gol). Rimase poi al Cagliari altre quattro stagioni, prima di venir ceduto al Milan.

Nelle sei stagioni trascorse a Milano vinse la sua terza Coppa Italia (1976-1977) e, soprattutto, il suo secondo scudetto (1978-1979), decimo per il Milan, quello della stella. 

Albertosi debuttò nella Nazionale maggiore il 15 giugno del 1961, nello stadio di casa, a Firenze, nella gara amichevole Italia-Argentina (4-1). Fu quindi convocato come portiere di riserva per il campionato del mondo del 1962 in Cile, dove il titolare era Lorenzo Buffon.

Poi, vestì nuovamente la maglia azzurra quattro anni dopo, nel marzo del 1965, subentrando nel secondo tempo di una partita amichevole pareggiata per 1-1 contro la Germania Ovest ad Amburgo. Albertosi era in competizione con William Negri per il posto di titolare, ma un grave infortunio impedì a quest’ultimo di partecipare al campionato del mondo 1966. Edmondo Fabbri allora schierò Albertosi, che subì il tristemente noto gol dalla Corea del Nord, che in quel di Middlesbrough ci eliminò nella fase a gironi. Parecchi anni più tardi dirà: “non abbiamo sottovalutato la Corea, semplicemente abbiamo sbagliato dieci gol”.

Sopravvisse al rinnovamento generale della squadra e fu confermato titolare da Ferruccio Valcareggi per le qualificazioni al campionato d'Europa 1968, tuttavia dovette cedere – causa infortunio – il posto a Dino Zoff, durante la fase finale del torneo, che si tenne in Italia e che gli Azzurri vinsero. Fu nuovamente titolare nel corso del campionato del mondo 1970, in Messico, arrivando in finale e perdendo contro il Brasile 4-1, dopo aver difeso i pali nella famosa semifinale contro la Germania Ovest, vinta per 4-3. 

Dopo fu scavalcato da Zoff nelle gerarchie, ma rimase nel giro della Nazionale fino al ‘75 (fu il secondo nel mondiale del ‘74). Le presenze in tutto furono 34.

Con quattro Mondiali disputati, Albertosi è secondo, dietro a Gianluigi Buffon, tra i giocatori italiani con più partecipazioni alla competizione iridata, a pari merito con Giuseppe Bergomi, Fabio Cannavaro, Paolo Maldini, Gianni Rivera e Dino Zoff. Avrebbe potuto esserci anche nel ‘78, ma pare che Berazot abbia in quella circostanza assecondato i desiderata di Zoff, che non ebbe mai in simpatia il baffuto collega.

Tumultuoso il suo finale di carriera. Rimase anche lui coinvolto nello scandalo italiano del calcioscommesse, perciò fu prima radiato (e il Milan condannato alla retrocessione in Serie B), poi in appello squalificato per 4 anni (Si fece pure 15 giorni di galera). In realtà, ciò che gl’imputarono fu singolare, certamente irregolare sul piano penalistico/sportivo, ma veniale sul piano prettamente etico, semplicemente perché puntò sulla vittoria della propria squadra.

Disputò la sua ultima partita in serie A il 10 febbraio del 1980, a San Siro contro il Perugia, a 40 anni, 3 mesi e 8 giorni.

Grazie all'amnistia della Federazione, concessa  per la vittoria dei Mondiali del 1982, fu ingaggiato dall'Elpidiense, con la quale giocò due campionati di serie C2, prima del ritiro, avvenuto nel 1984, a quasi 45 anni.

Un giorno Papa Wojtyla, in udienza, gli parlò da “collega a collega”, confidandogli che da ragazzo gli piaceva tanto giocare in porta.


DINO ZOFF
C’è un portiere silenzioso, i cui numeri parlano per lui e per la sua immensa carriera. Signore e signori, Dino Zoff!

È stato il capitano della Nazionale campione del mondo in Spagna '82, oltre che campione d’Europa nel 1968 e oro ai Giochi del Mediterraneo del ‘63.

Nato a Mariano del Friuli il 28 febbraio del 1942, ha legato la propria attività calcistica principalmente alla Juventus, militandovi per undici anni, a cavallo degli anni 1970 e 1980 (esattamente tra il 1972 e il 1983), senza mai saltare una partita di campionato (332 incontri disputati consecutivamente in serie A, record ineguagliato) e collezionando in tutto 479 presenze (330 in campionato); in bianconero vinse sei campionati italiani, due Coppe Italia e una Coppa UEFA, oltre a disputare due finali di Coppa dei Campioni e una di Coppa Intercontinentale. Insieme al libero Gaetano Scirea e ai terzini Claudio Gentile e Antonio Cabrini, suoi compagni alla Juventus e in Nazionale, Zoff ha costituito uno dei migliori reparti difensivi nella storia del calcio.

Durante i suoi anni alla Juventus, stabilì altri primati: nel corso della stagione ‘72/’73 mantenne la propria porta inviolata per 903 minuti, superando i precedenti 792' di Mario Da Pozzo e stabilendo così l'allora record d'imbattibilità nella Serie A a girone unico (primato poi superato dai 929' di Sebastiano Rossi nel campionato 1993-1994); nell'annata ‘81/‘82 subì solo 14 reti, record assoluto per la società bianconera.

Prima della Juve, parò nell’Udinese, nel Mantova e nel Napoli.

Con la squadra friulana debuttò in Serie A: era il 24 settembre del 1961, al Comunale di Firenze, l’Udinese venne battuto 2-5 dalla Fiorentina.

In biancorosso disputò 131 partite nell'arco di quattro stagioni: l'ultima da lui giocata allo stadio Danilo Martelli fu quella del 1º giugno del 1967, la famosa Mantova-Inter (1-0), che a posteriori sancì il tramonto della Grande Inter.

Difese poi la porta dei partenopei per 143 incontri, scendendo in campo ininterrottamente dal debutto del 24 settembre del 1967 (Napoli-Atalanta1-0, prima giornata del campionato 1967-1968), alla sconfitta del 12 marzo del 1972 (0-2 contro l'Inter, ventunesima giornata del campionato 1971-1972); nel club campano stabilì due record, precisamente nella stagione 1970-1971, quando incassò solo 18 gol in 30 partite, riuscendo inoltre a mantenere la porta inviolata per le prime sei giornate (capitolò solo dopo 590', alla settima giornata, contro l'interista Jair).

Il senso del piazzamento tra i pali fu la sua migliore qualità; sicuro nelle uscite, aveva una spiccata attitudine a bloccare il pallone (ne sa qualcosa il brasiliano Oscar … quello del colpo di testa nella leggendaria partita Italia - Brasile 3-2). Grande personalità e grandissima professionalità, fecero di Zoff un leader silenzioso, carismatico e rispettato da tutti

Con la nazionale italiana ha preso parte a due campionati d'Europa (Italia ‘68 e Italia ‘80) e a quattro campionati del mondo (Messico ‘70, Germania Ovest ‘74, Argentina ‘78 e, appunto, Spagna ‘82). Il successo al campionato mondiale del 1982, conseguito all'età di quarant'anni, lo ha reso il vincitore più anziano nella storia della competizione, nonché l'unico giocatore italiano ad aver ottenuto, a livello di Nazionale, sia il titolo di campione d'Europa sia di campione del mondo. Nella partita d'esordio con la Polonia toccò inoltre la soglia delle 100 presenze in Nazionale, primo italiano a riuscirci. Sempre in azzurro detiene il record mondiale d'imbattibilità per squadre nazionali, non avendo subito reti per 1142 minuti consecutivi. Secondo per presenze in serie A (570) e in maglia azzurra (112) solo a Paolo Maldini. E secondo arrivò nella classifica del Pallone d’oro 1973 (vinta quell’anno da Johan Cruijff).

Ricevette la prima convocazione in Nazionale maggiore a 26 anni, durante le qualificazioni al campionato d'Europa del 1968. L'Italia, giunta agli spareggi che avrebbero designato le quattro partecipanti alla fase finale del torneo, doveva ribaltare il 3-2 con cui la Bulgaria si era imposta nella gara di andata a Sofia; fino a quel momento il ct Valcareggi aveva puntato su Albertosi come portiere titolare e su Lido Vieri come vice, ma gli infortuni occorsi a entrambi, in prossimità della partita di ritorno, costrinsero il selezionatore a ripiegare su Zoff e Roberto Anzolin, quest'ultimo già riserva di Albertosi ai mondiali del ‘66. Indeciso fino a poche ore dal fischio d'inizio su chi schierare, alla fine Valcareggi optò per il friulano, forse convinto anche dal fatto che si giocasse a Napoli, cioè a “casa” di Zoff. Fatto sta che il 26 aprile del 1968, allo stadio San Paolo, il portiere si mostrò affidabile, pur senza compiere grandi interventi, anzi stupendo i veterani della squadra per freddezza e lucidità messe in campo; e l'Italia ottenne la qualificazione imponendosi per 2-0.

Il 29 maggio del 1983, a 41 anni, Zoff scese in campo per l'ultima volta in azzurro, in Svezia-Italia (2-0) a Göteborg, sfida che coincise anche con l'ultima partita della sua carriera. 

Delle 112 presenze in maglia azzurra, 59 furono da capitano.

Ecco, questi sono i numeri che parlano per un campionissimo silenzioso, monumento del calcio italiano e mondiale. Eppure, più che ogni parata o trofeo o risultato, di lui rimarrà impressa nella memoria di un intero Paese la partita a scopa sull’aereo. Gli altri 3: Franco Causio, Enzo Berazot e il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. L’aero era quello che riportava a casa l’Italia campione del mondo.


WALTER ZENGA
Questa è la storia di uno di loro, anche lui nato per caso in Viale Ungheria, che si divertiva a giocare al pallone … 

Walter Zenga nasce a Milano il 28 aprile del 1960. 

La sua carriera è indissolubilmente legata all’Inter (sin dai pulcini), di cui Zenga fu assoluta bandiera negli anni ‘80 e ‘90 (esattame dal 1982 al 1994), disputando 473 incontri e vincendo uno scudetto (è l’Inter dei record), una Supercoppa italiana e due Coppe UEFA. Fu così che il ragazzo di Viale Ungheria entrò per sempre nel cuore dei tifosi nerazzurri.

Dopo le primissime esperienze in giro per la provincia del pallone (Salernitana, Savona, Sambenedettese), comincia da professionista con l’Inter all’età di 22 anni, dapprima come riserva di Ivano Bordon (con qualche buona apparizione in Coppa Italia), poi, come titolare, esordendo in serie A l'11 settembre del 1983 in Inter-Sampdoria (1-2).

Quindi, nel 1989, l’Inter dei record, guidata da Giovanni Trapattoni: Zenga è l’ultimo baluardo della difesa meno battuta del campionato, soltanto 19 gol subiti in 34 gare. 

L'ultima partita di Zenga con la maglia nerazzurra è la vittoriosa partita di ritorno della finale della Coppa UEFA 1993-1994 contro il Salisburgo: era l’11 maggio del 1994.

“Non dimenticherò mai la finale di Coppa Uefa con il Salisburgo, che vincemmo uno a zero. La mia ultima partita con l’Inter, la serata perfetta. Se uno avesse dovuto scrivere il finale di un film, quello sarebbe stato il finale perfetto. Sapevo da un po’ che dovevo andar via, anche se il presidente Pellegrini continuava a negare tutto. Quella sera fu la mia vita”

Dopo, il tramonto della sua fulgida carriera: Sampdoria, Padova e New England Revolution.

Era un portiere di grande carisma e temperamento e dal carattere acceso. Zenga spiccava per l'abilità tra i pali (un po’ meno nelle uscite… vero, Caniggia?).

L’argentino Claudio Caniggia ci punì impietosamente in quella maledetta semifinale di Italia ‘90, al San Paolo, colpa di un’uscita scriteriata di Walter Zenga e di una non buonissima intesa col compagno di mille battaglie, Riccardo Ferri.

In nazionale ha totalizzato 58 presenze, prendendo parte a due campionati del mondo (Messico 1986 - come terzo portiere - e Italia 1990) e a un campionato d'Europa (Germania Ovest 1988). Durante il campionato del mondo 1990, concluso al terzo posto, ha mantenuto la porta inviolata per 517 minuti consecutivi, record assoluto della competizione. Ha inoltre disputato i Giochi olimpici di Los Angeles del 1984 e, da fuoriquota, l'Europeo Under-21 del 1986.

Esordisce in Nazionale l'8 ottobre dello 1986, a 26 anni, nella partita amichevole Italia-Grecia (2-0), disputata a Bologna, primo match dell’era Vicini. 

La sua ultima presenza con la maglia dell’Italia risale al 4 giugno del 1992, nella partita della US Cup, vinta per 2-0 contro l'Irlanda, a Boston.

Dopo la sua estromissione dal giro azzurro (coincisa con l’avvento di Sacchi), in risposta alle domande dei giornalisti, Zenga canticchia ironicamente il brano degli 883 "Hanno ucciso l'Uomo Ragno", hit del periodo; da quel momento, il portiere verrà soprannominato L’uomo Ragno.

A livello individuale, è stato eletto portiere dell'anno IFFHS per tre volte consecutive (dal 1989 al 1991), classificandosi terzo in altre due occasioni (nel 1987 e nel 1988); lo stesso organismo storico-statistico lo ha nominato miglior portiere del decennio nel 1997 e collocato in 20ª posizione nell'elenco dei più forti portieri del XX secolo. Il 9 marzo del 2018, in concomitanza col 110º anniversario della fondazione dell'Inter, è stato il primo portiere a essere inserito nella Hall of Fame del club milanese, di cui stato il portiere con più presenze in Serie A (328) fino al 23 maggio 2021, quando è stato superato da Samir Handanovič.

Il 16 gennaio 1998 si ritira dal calcio.


ANGELO PERUZZI
Si dice che i portieri debbano essere un po' svitati, se non proprio matti. Peruzzi è l'esatto contrario di tutto questo.

Ed è stato un gigante di questo ruolo, in tutti i sensi. 

Nato a Blera, 16 febbraio 1970, Tyson (così soprannominato per la notevole potenza muscolare) era un portiere dal repertorio completo, dotato di buona presa, di riflessi pronti e ottimo senso del piazzamento.Freddo e valido tecnicamente, dava il meglio di sé nelle uscite basse, ma eccelleva anche tra i pali, per merito di grandi doti acrobatiche, in apparente contrasto con la sobrietà e l’essenzialità dei suoi interventi. Molto bravo a parare i tiri dal dischetto (si ricordano i due penalty respinti nell'epilogo dagli undici metri della UEFA Champions League 1995-1996). Era inoltre un vero leader dello spogliatoio.

Cresciuto nel vivaio della Roma, esordisce in Serie A a 17 anni, il 13 dicembre del 1987, sostituendo Franco “saracinesca” Tancredi, colpito da un petardo lanciato dagli spalti. La stagione successiva, nonostante la giovane età, si propone come alternativa allo stesso Tancredi collezionando 12 presenze in campionato, 7 in Coppa Italia e una in Coppa UEFA.

Quindi, passa al Verona (stagione ‘89/‘90), dove affronta il suo primo campionato da titolare, collezionando 29 presenze, tutte di alto livello (anche se ciò non è sufficiente alla salvezza della squadra).

Torna in forza alla Roma per il campionato 1990-1991, iniziato da titolare. Tuttavia, dopo tre giornate, risulta positivo al doping  e viene squalificato per un anno. 

Quell’anno la Roma vince la Coppa Italia, altro trofeo comunque da ascrivere al ricco palmares di Cinghialone (l’altro suo soprannome, quello usato dagli amici più stretti).

Scontata la squalifica, passa alla Juventus, inanellando titoli e riconoscimenti. 

Fa il suo esordio in maglia bianconera il 12 febbraio del 1992, nella gara d'andata dei quarti di finale di Coppa Italia contro l'Inter, e da lì in poi disputerà il resto del torneo da titolare, con ottimo rendimento; ma è ancora una riserva del decano Stefano Tacconi, di cui è erede designato.

Alla Juve rimane dal ‘91 al ‘99, collezionando in tutto 301 presenze e vincendo 3 scudetti, 2 Supercoppe di Lega, 1 Coppa Italia, 1 UEFA Champions League, 1 Supercoppa UEFA, 1 Coppa Intercontinentale e 1 Coppa UEFA. 

Gioca la sua ultima partita in bianconero il 9 Maggio del 1999: Juventus - Milan 0-2 (partita di campionato).

L’anno successivo viene acquistato dall’Inter, per la considerevole cifra di 28 miliardi di lire: l’annata è disastrosa, non sul piano personale (ha la più alta media della Serie A nelle pagelle della Gazzetta dello Sport), ma per la squadra; lascia Milano dopo solo un anno e 38 presenze.

Così, anche per avvicinarsi a casa, sceglie la Lazio, l’altra squadra importante della sua immensa carriera. In biancoceleste gioca dal 2000 al 2007 (226 presenze, tra campionato e coppe), vincendo 1 Coppa Italia e 1 Supercoppa di Lega.

La Lazio è la sua ultima squadra di club. 

In Nazionale è un quasi protagonista. Ed è una cosa incredibile, visto che stiamo parlando di uno dei migliori portieri al mondo della sua generazione. Colpa di qualche infortunio (per esempio, a ridosso del  campionato del mondo 1998 subisce lo stiramento al gemello interno della gamba sinistra); e “colpa” anche dei colleghi dell’epoca (prima Pagliuca, poi il fenomeno Buffon, passando per Toldo e Marchegiani), considerando che proprio quell’epoca è una delle più auree della nostra scuola di portieri.

Conta 10 presenze nell'Italia Under-21 (8 le reti concesse) e 2 nella selezione olimpica (con 1 gol subìto). Con l’Under 21 si laurea campione d’Europa ‘92 (seppur da riserva ad Antonioli….sic!). 

Esordisce in nazionale A il 25 marzo del 1995: Italia-Estonia 4-1, valida per le qualificazioni al campionato d'Europa 1996.

Come vice-Buffon, il 9 luglio del 2006 si laurea campione del mondo, all'età di 36 anni, pur senza scendere mai in campo (ma la sua presenza fa la differenza nello spogliatoio di uno dei gruppi più coesi della storia della nostra Nazionale).

Il 20 maggio del 2007, disputa l'ultima presenza della carriera, a 37 anni, subentrando nei minuti finali di Lazio-Parma (0-0). Si ritira dopo 620 incontri da professionista con i club (478 in Serie A) e 31 presenze in azzurro.

 

GIANLUIGI BUFFON
È il campione del mondo 2006 ed è considerato dai più, il miglior portiere della storia.

Nato a Carrara il 28 gennaio del 1978, Gigi ha giocato: nel Parma (esordisce in Serie A il 19 novembre 1995, a 17 anni),  nella Juventus e nel Paris Saint-Germain.

Inutile perdersi in sterili narrazioni, i suoi numeri, i suoi titoli, i suoi riconoscimenti sono la più fedele fotografia della sua grandezza.

Con i club ha vinto 10 campionati di Serie A (record assoluto), 1 di Serie B, 6 Coppe Italia, 7 Supercoppe italiane, 1 Coppa UEFA, 1 campionato di Ligue 1e 1 Supercoppa di Francia. In Nazionale (esordio il 29 ottobre del ‘97, a 19 anni: Russia- Italia 1-1, andata dello spareggio di qualificazione al mondiale ‘98) detiene il record di presenze (176), è stato campione del mondo nel 2006 e vicecampione d'Europa nel 2012; h partecipato a cinque mondiali (primato condiviso con Antonio Carbajal, Rafael Márquez, Guillermo Ochoa, Lionel Messi, Cristiano Ronaldo e Lothar Matthäus), quattro europei e due Confederations Cup. Prima di entrare nel giro della nazionale maggiore ha vinto un europeo di categoria con l'Under-21, nel 1996, e nello stesso anno ha preso parte ai Giochi della XXVI Olimpiade.

Detiene il record di imbattibilità nella Serie A a girone unico, avendo mantenuto la sua porta inviolata per 974 minuti (stagione 2015-2016).È il giocatore con più apparizioni nella storia della Serie A, nonché quello che ha giocato più partite nel massimo campionato italiano con la maglia della Juventus (526), club del quale è il giocatore più titolato nella storia con 19 trofei vinti. Insieme a Paolo Maldini, è inoltre uno dei due calciatori italiani ad aver superato le 1000 presenze in carriera.

Figura poi al secondo posto tra i giocatori più anziani ad aver disputato un incontro nella massima serie italiana, dietro solo a Marco Ballotta, e al secondo posto anche per quanto riguarda la Champions League, dietro lo stesso Ballotta. Nel 2006 è stato premiato dalla FIFA come miglior portiere del mondiale e si è classificato secondo - dietro al connazionale Fabio Cannavaro - nella classifica del Pallone d'oro. Nel 2003, la UEFA lo ha premiato con il titolo di miglior portiere e, unico caso tra i giocatori del suo ruolo, miglior giocatore della stagione. Tra il 2003 e il 2017 è stato eletto cinque volte "Portiere dell'anno" dall'IFFHS (record condiviso con Iker Casillas e Manuel Neuer); altre sei volte, tra il 2008 e il 2016, ha ottenuto il secondo posto. Nel 2009 è stato inserito nella squadra ideale del decennio dal Sun, mentre nel 2004 è stato inserito nella FIFA 100, una lista dei 125 più grandi giocatori viventi, selezionata da Pelé e dalla FIFA, in occasione delle celebrazioni del centenario della federazione. Nel 2016, a Monte Carlo, è stato premiato con il Golden Foot, diventando il primo portiere nella storia a ricevere tale riconoscimento.

Insomma, uno dei pochi atleti al mondo ad aver vinto tutto. Quasi tutto! Gli manca la Coppa dei campioni, colpa, a suo dire, di un arbitro dal bidone d’immondizia al posto del cuore.

Tra club, Nazionale maggiore e nazionali giovanili,  Gigi Buffon ha disputato 1175 partite, nelle quali ha subìto 983 reti (0,84 a partita). 

Il 30 maggio del 2023, con la maglia del Parma, scende per l’ultima volta in campo, nella semifinale di andata dei play-off di serie B, persa per 3-2 in trasferta contro il Cagliari. Ha 45 anni. 

 

GIANLUIGI DONNARUMMA 
Lui non è storia, è il presente. Eppure, un pezzo di storia del nostro calcio l’ha già scritta, quando si è laureato campione d’Europa (e miglior giocatore del torneo): era il 2021 e Gigio aveva solo 22 anni, ma era già un veterano dei pali azzurri. 

Insomma, è proprio vero: la classe è come l’amore, non ha età.

La sua precocità è impressionante! 

Nasce a Castellammare di Stabia il 25 febbraio del 1999 ed è attualmente il portiere titolare del Paris Saint-Germain e della Nazionale.

Coi francesi ha già vinto 2 campionati e 1  Supercoppa nazionale.

Ha esordito in Serie A a 16 anni e 8 mesi (il 25 ottobre 2015, nella partita casalinga vinta 2-1 contro il Sassuolo), affermandosi immediatamente come portiere titolare del Milan, con cui ha vinto una Supercoppa italiana, nel 2016; nel febbraio del 2015 era già andato in panchina, grazie a una deroga della Federcalcio, a 15 anni e 11 mesi.

Non è il più giovane portiere della storia rossonera, bensì il secondo, superato per 13 giorni da Giuseppe Sacchi, portiere del Milan negli anni ‘40. Tuttavia, il 31 gennaio del 2016 viene schierato nel derby di Milano, vinto per 3-0 dai rossoneri, diventando così il più giovane titolare di sempre nella stracittadina meneghina. Il 30 dicembre, nella gara contro la Fiorentina, diventa il più giovane giocatore della storia del Milan ad aver toccato quota 100 presenze con la maglia rossonera (e il 15 aprile del 2018, in occasione della sfida contro il Napoli, diventa il calciatore più giovane di sempre a disputare 100 partite in Serie A). E ancora, in occasione del derby del 21 febbraio del 2021 raggiunge le 200 presenze in Serie A, diventando, a 21 anni e 361 giorni, il più giovane calciatore di sempre a raggiungere questo traguardo nell'era dei tre punti a vittoria.

Brucia le tappe anche in azzurro.

Non ancora maggiorenne, Donnarumma nel 2015 ha debuttato nell'Italia Under-21: esordisce con gli Azzurrini il 24 marzo del  2016, nella vittoriosa trasferta contro l'Irlanda (1-4), disputata a Waterford e valevole per le qualificazioni all'Europeo di categoria, diventando, a 17 anni e 28 giorni, il più giovane esordiente con la maglia dell'Under-21 italiana.

Poi, nel 2016 esordisce nella Nazionale maggiore, divenendone velocemente il titolare della porta.

Debutta il 1º settembre del 2016, subentrando al 46' al posto di Buffon, durante l'amichevole persa per 3-1 contro i Bleus: scendendo in campo a 17 anni e 189 giorni, Donnarumma diviene il più giovane portiere ad aver vestito la maglia azzurra, superando, dopo 104 anni, il primato detenuto da Piero Campelli (tuttora il più giovane estremo difensore che abbia indossato la maglia dell'Inter).

Il 28 marzo del 2017, giocando da titolare l'amichevole di Amsterdam, vinta 2-1 contro i Paesi Bassi, diventa inoltre il più giovane portiere azzurro sceso in campo dal primo minuto.

In occasione della finale di consolazione della UEFA Nations League 2020-2021, vinta per 2-1 contro il Belgio allo Juventus Stadium di Torino, all'età di 22 anni, 7 mesi e 15 giorni scende in campo per la prima volta con la fascia da capitano, diventando il più giovane per la Nazionale dal ‘65 (il primato assoluto rimane in capo a Bruno Nicolè, che indossò la fascia una sola volta, a 21 anni e 61 giorni, in Italia-Irlanda del Nord del 25 aprile 1961).

È un portiere agile, nonostante la notevole statura, dotato di buoni riflessi e abile anche con i piedi. Bravo ad apporsi ai calci di rigore.

Nel vittorioso europeo inglese, ha mantenuto inviolata la porta azzurra per l'intera fase a gironi: ruolino fino a quel momento mai riuscito ad alcuna Nazionale nella storia della competizione.

Donnarumma ha ancora solo 24 anni. Mai come in questo caso mi vien da chiosare: to be continued …