Certo, mi spiace per i tifosi bianconeri, ma avevo visto giusto quando dicevo che con la Juve di Maurizio Sarri niente è deciso, e tutto è sempre possibile. La sensazionale scoppola (4-2) subita contro il Milan, non solo lo dimostra in modo chiaro; ma lo certifica in maniera ineluttabile. La squadra non c’è. Vale a dire la squadra di Maurizio Sarri non esiste. Non è mai nata. Quella che abbiamo visto fino alla partita di San Siro,  è una via di mezzo fra un tentativo di calcio sognato e la pratica di un calcio giocato per otto anni. Ma soprattutto giocato negli ultimi cinque anni con Max Allegri. 
Proprio l’ex tecnico bianconero credo che sia venuto in mente “facilmente” ai tifosi bianconeri nel vedere quei trenta minuti finali del Meazza. Dove questa squadra allenata da Sarri, di bianconero, aveva solo la maglia. Nel senso che più che la Juve è sembrata una squadra in totale confusione e quasi allo sbando. Sinceramente, in circa quaranta anni di calcio, raramente o forse mai ho visto giocare così tanto male la squadra bianconera. E credo che con Allegri in panchina, la sua Juve, non avrebbe mai preso un’imbarcata del genere.
Per carità ci sono i meriti, tanti, del Milan che ha vinto con pieno merito. E che in quei trenta minuti finali ha dato l’impressione di aver cambiato i valori in campo. Perché la Juve (quella dei 29 punti di vantaggio in classifica) non solo non si è più vista, ma sembrava aver indossato la maglia rossonera degli uomini di Stefano Pioli. Al quale vanno fatti grandi complimenti non solo per la vittoria , ma soprattutto per  la straordinaria condizione psico-fisica  messa in mostra dalla sua squadra. E credo che la chiave di volta della partita sia legata principalmente a due motivi. Il primo riguarda l’anima della squadra di Sarri, che non si vede. E che forse ormai al punto in cui è giunto il campionato, non vedremo mai. Mentre il secondo è dovuto allo stato di grazia , sia atletico che mentale, in cui si trova la formazione rossonera, e che si era già visto contro la Lazio.

Ma andiamo per ordine.
La Juve di Sarri, come espressione di gioco, è un'incompiuta. E’ una cosa che non è mai sbocciata pienamente. Nel senso che il  tecnico lo sogna in un modo, mentre i giocatori in campo lo mettono in pratica in una maniera diversa. La squadra fino a quando può giocare in fase offensiva e nella metà campo avversaria, allora, dà l’impressione di avere il controllo pieno della partita e a tratti, se non fosse per il palleggio spesso troppo insistito, riesce a  giocare pure bene. Perché attua un discreto pressing offensivo, gioca con la difesa alta, e la circolazione della palla a tratti è anche veloce, così come la sua riconquista. Ma questa situazione si verifica solo quando la superiorità tecnica nei confronti dell’avversario risulta netta. Vale a dire quando la squadra avversaria gli consente di giocare per lunghi tratti nella propria metà campo. E solo raramente è in grado di ripartire e di ribaltare gioco.
Mentre invece la musica cambia quando la squadra bianconera è costretta a giocare contro avversari che sono in grado di  contrattaccare con una certa frequenza e quindi di competere più o meno alla pari. E allora in questo caso la  squadra perde in geometria; per cui salta la distanza fra i reparti, e va in affanno ( è successo diverse volte nel corso del campionato). Si tratta di metodo o meglio ancora di concetto di gioco. Con Allegri la squadra difendeva (bassa) schierata al limite dell’area e nei calci piazzati difendeva ad uomo. Adesso con Sarri la difesa non solo viene schierata più avanti, ma deve giocare sull’anticipo e nei calci da fermo gioca rigorosamente a zona. Ma il problema non è tanto o solo questo. E’ soprattutto mentale. Nel senso che i giocatori, vedi Bonucci, Rugani, Alex Sandro, mentalmente giocano sempre allo stesso modo. Anzi, si ha l’impressione che non sanno più in che modo giocare. Basta vedere come hanno difeso nell’occasione del goal di Kessie. Oppure nel passaggio sconsiderato fatto da Alex Sandro, che ha propiziato la rete di Rebic.
Naturalmente, non è tutta colpa del gioco inespresso voluto da Maurizio Sarri. Ci sono anche delle concause oggettive legate ad esempio all’assenza di De Ligt, che mai come in questa occasione (visto quello che ha combinato Rugani) si è sentita la sua assenza. Così come quella di Chiellini, che costretto in panchina dal noto infortunio, per la rabbia di quanto stava accadendo in campo, ha rischiato di prendere a calci la stessa panchina. Per fortuna che non l’ha fatto.
E poi bisogna considerare anche quel nemico subdolo e nascosto di una stanchezza psico fisica generale, che aveva già fatto vittime illustri nell’Inter e nella Lazio e da cui sembrava che la Juve fosse immune (dato l’organico numeroso a disposizione). Ma che nella realtà tanto numeroso non si è rivelato. Perché, come è noto a tutti, Khedira è sotto infortunio in pratica dall’inizio dell’anno. Chiellini risente ancora del lungo stop subito e nella sostanza non è stato mai a disposizione nel corso del campionato. E poi la stessa sorte è toccata a Demiral, che da diversi mesi si trova in infermeria. Senza considerare che anche Higuain ha avuto i suoi guai muscolari che ancora gli impediscono di essere al top della forma. E non ultimo, viste le condizioni in cui si trovava, ha inciso anche l’assenza di Dybala.

Pertanto in conclusione si può dire che questa Juve un po’ pazza, che si trova in mano a Maurizio Sarri, non solo non ha voluto portare a casa  lo scudetto - la Lazio a dieci punti di distanza e l’Inter ad undici, avrebbe significato in pratica la conquista quasi certa del tricolore -  ma ha rimesso in discussione tutto e non solo la Lazio, ma la stessa Inter sono tornate pienamente in lotta per il titolo.

In ultimo non si può che elogiare la prestazione di questo Milan forgiato da Stefano Pioli. Una squadra che assomiglia sempre più ad una “grande” del nostro campionato. Non è tanto per le vittorie  nette conseguite contro la Lazio e la Juve, ma soprattutto per l’organizzazione  e la mentalità che ha saputo dare alla squadra. Sinceramente, nelle condizioni in cui è costretto da mesi a lavorare, Stefano Pioli sta facendo un autentico capolavoro. In pratica è da Natale (2019) che si parla di Rangnick come suo sicuro sostituto per la prossima stagione. E in questa situazione  psicologica, riuscire a lavorare bene e a dare il meglio di sé, diventa quasi un’impresa eroica.
Certamente il merito non è solo del tecnico, perché ci sono i giocatori. A cominciare da Ibrajmovic che risulta fondamentale per l’equilibrio della squadra sia fuori che dentro al campo. Ma il merito maggiore credo che vada attribuito a Pioli, che ha saputo rigenerare ad esempio gente come Rebic (diventato letale in zona goal) e lo stesso Leao, che negli ultimi tempi  sembra essere tornato il grande talento pronto ad esplodere che tutti si aspettavano sin dal suo arrivo a Milanello. E ancora è merito del lavoro del tecnico il ritorno a grande livello di un giocatore come Kessié, che sembrava finito e addirittura con la valigia in mano. E non ultimi Bonaventura, che appare rigenerato, come ai vecchi tempi, e perfino Paquetà, che da oggetto misterioso per il gioco europeo sembra essere diventato un giocatore di stampo europeo.