In Italia, l’intreccio tra calcio e politica non è stato mai così forte come in questo periodo dominato dall’emergenza del Covid 19.  Nel senso che il calcio è diventato a tutti gli effetti più un fatto politico che sportivo. Lo si percepisce da tanti fattori. A cominciare dal va e vieni delle decisioni del ministro  Spadafora, che la sagace penna del direttore Stefano Agresti ha definito: “Ministro contro lo sport italiano”.E a ragione. Perché se non si farà di tutto per la ripresa del calcio, al Ministro Spadafora non rimarrà che cambiare mestiere, perché lo sport in Italia finirà per andare tutto a carte quarantotto.  Dato che, come  si sa,  è il calcio che traina tutto il movimento sportivo italiano.

   Ma lo si capisce anche dal comportamento del  presidente del CONI Malagò, che da quando è scoppiata la pandemia del Covid 19 non ha mai speso una parola a favore della ripresa del calcio. Un atteggiamento che ha dell’incredibile, perché proviene dal capo dello sport italiano, che avrebbe dovuto fare fuoco e fiamme per favorire la ripresa del nostro sport più popolare. E invece Malagò, anziché prendere di petto  il ministro Spadafora, si è messo di traverso solo per il fatto che la FIGC non gli ha inviato preventivamente il protocollo medico per il relativo visto ( la Federcalcio ha inviato il protocollo predisposto dalla Commissione Medica Federale  direttamente al ministro Spadafora). E ne ha fatto quindi un mero atto di autorità e di gerarchia politica. Per cui non c’è da stupirsi se poi il protocollo medico è stato bocciato dal Governo. E rappresenta  al momento il vero nodo da sciogliere per far si che l’Azienda calcio italiana possa rimettersi  in cammino.

Infatti ruota tutto attorno alla “responsabilità” , che nessuno si vuole prendere. In proposito i medici delle società di calcio hanno inviato una lettera al Comitato Tecnico Scentifico, cui fa riferimento il Governo,  nella quale  fanno presente che non intendono assumersi alcuna responsabilità , soprattutto quella penale, nel caso in cui si dovesse verificare un nuovo positivo fra i calciatori. E nelle prossime ore ci dovrebbe essere un incontro, fra il Comitato Tecnico Scentifico e la Commissione Medica Federale, che dovrebbe portare ad un  accordo e quindi ad un chiarimento sul protocollo in questione.Ad esempio in Germania, la situazione  è stata risolta senza problemi, dato che se un calciatore si ammala di Covid , viene considerato come semplice infortunio. E quindi trattato con la casistica abituale. Mentre in Inghilterra, stanno pensando di risolvere il problema attraverso la stipula di una polizza di assicurazione che copra ogni tipo di responsabilità.

Intanto, in attesa di buone nuove, la Germania, che è stata l’ultima a decretare il lockdown , sarà la prima a riprendere a giocare – con ogni probabilità si ricomincerà a partire dal prossimo 15 Maggio. E questa  senza dubbio è una grande notizia per tutto il calcio europeo, perché finirà per trainare tutti gli altri campionati più importanti, a cominciare da quello italiano.Ma  per rimanere all’intreccio  fra calcio e politica, hanno destato curiosità le parole  del   sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che ha sposato in toto quanto dichiarato da Matteo Salvini. Il quale nelle ultime ore ha suggerito a Milan e Inter di andare a giocare nelle regioni del  centro sud dell’Italia, dove perlomeno fino ad ora, il Covid 19 si è dimostrato meno deleterio. De Magistris, nonostante le frizioni avute con lui in passato, si è detto favorevole all’idea di Salvini. E ha rimarcato il fatto che l’eventuale trasloco delle due squadre milanesi negli stadi del centro sud,  rappresenterebbe per quelle tifoserie una sorta di ristoro  sportivo per la mancata effettuazione delle partite di Euro 2020 (previste nel mese di giugno, e rinviate al 2021).

A dire il vero la proposta di Salvini  nasce, e in un certo senso  è mutuata da un’idea  lanciata da chi scrive in tempi non sospetti, che prevedeva di concentrare la disputa delle rimanenti partite (124) del campionato in una zona geografica ben precisa e delimitata, della nostra penisola.L’idea era nata da una iniziativa della NBA americana, che fra le ipotesi prese in esame per il completamento del campionato di basket al sicuro dal Covid 19, aveva  pensato anche a quella  di affittare un’intera città (Las Vegas), dove concentrare le squadre che partecipano al torneo. E dove, una volta scontata la quarantena di due settimane, e aver raggiunto la relativa ’immunità , sarebbero tornate a giocare e ad ultimare la stagione.

A prima vista era sembrata un’idea quanto meno bizzarra e poco realizzabile. Per evidenti ragioni di natura logistica che il concentrare le 20 squadre della nostra serie A in una determinata città (si parlava in propositodi Roma) avrebbe inevebitabilmente comportato. Basta pensare al fatto di dover giocare quasi in contemporanea 10 partite per ogni turno di campionato in altrettanti campi di calcio; che anche in una grande città come la nostra capitale , non sarebbero in grado come  infrastrutture e impianti di poter assicurare le necessarie garanzie sotto l’aspetto igienico sanitario. Ed in particolare per quanto riguarda  il rispetto delle regole del distanziamento sociale che in un contesto di questo tipo sarebbe praticamente impossibile da osservare.

Ma l’idea di giocare in stadi come il Libero  Liberati di Terni, o il Renato Curi di Perugia , così come nei restanti impianti del centro sud italiano, presenterebbe, ai fini del rispetto del protocollo sanitario, molte meno difficoltà. E sicuramente tutte superabili. E porterebbe agli appassionati, perlomeno  di  questa parte della nostra penisola, un filo di speranza in più. Non solo per la ripresa del calcio, ma soprattutto per un futuro sociale che al momento ci appare quanto meno nebuloso. E che forse il calcio, in una qualche misura, ci potrebbe aiutare a rendere, anche se di pochissimo, un po’ più chiaro e trasparente.