Dopo il lockdown e prima di questo turno, il campionato dava l’impressione di filare via liscio come l’olio. Risultati quasi sempre scontati e pronostici  nella quasi totalità dei casi rispettati. Tanto che sembrava che oltre all’assenza del pubblico, il maledetto virus ci avesse regalato anche un calcio privo di adrenalina. Proprio quella che di solito viene regalata dall’imprevisto. Vale a dire dal risultato che non ti aspettavi o  dalla prestazione insolita. Insomma, sembrava che mancassero le sorprese. E invece sono arrivate a valanga. Perché chi poteva ipotizzare alla vigilia la contemporanea caduta di Lazio e Inter?

Partiamo dalla squadra di Simone Inzaghi, che di fronte al diavolo rossonero si è sciolta come neve al sole. Per carità, non è che il Milan in sede di pronostico fosse considerato spacciato. Ma la larga vittoria (3-0) ottenuta all’Olimpico non era certo facile da preventivare. Nemmeno da parte dei  più accaniti sostenitori del popolo rossonero. Infatti l’opinione quasi generale era quella che la Lazio avrebbe risposto (come sempre aveva fatto in questa stagione) con una vittoria al successo della Juve (sul Torino). E la convinzione quasi unanime era quella che alla fine, anche senza Immobile e Caicedo, sarebbe riuscita a portare a casa il bottino pieno. Poi sappiamo tutti come è finita.
Ma a far rumore non è tanto la sconfitta (la seconda in quattro partite), ma è la prestazione che è stata al di sotto delle aspettative. Certo, le assenze di Immobile e Caicedo erano molto pesanti. Ma la squadra è apparsa stanca, e il gioco non è stato fluido come al solito. Tanto che  raramente è riuscita a creare veri pericoli per Donnarumma. In pratica si è rivista la Lazio che avevamo visto nel secondo tempo di Bergamo contro l’Atalanta. E in quella occasione il vistoso calo atletico accusato era stato giustificato col fatto che la squadra affrontava per la prima volta i 90 minuti e quindi una gara vera. Non solo, ma le successive rimonte su Fiorentina e Torino avevano avvalorato questa tesi.
E’ per questo motivo che la sconfitta fa molto rumore. Proprio perché la tesi di Bergamo non era affatto quella giusta. Anzi, si trattava solo del preludio di quello che poi è venuto a galla con evidenza nel match con il Milan. Vale a dire di una stanchezza psico-fisica che  probabilmente viene da lontano e che fino al momento del lockdown non aveva dato alcun segno di esistere. I risultati positivi (21 consecutivi) arrivavano come noccioline, come i goal di Immobile (sono 29). Per cui tutto filava liscio. E la Juve era a portata di mano. E soprattutto, era lo scudetto che sembrava a portata di mano, grazie ad un calendario che sulla carta sembrava favorevole (niente coppe europee). 
Invece con ogni probabilità, è stato proprio il calendario, con una partita ogni tre giorni, a rivelarsi il grande nemico della squadra. La Lazio, quella prima della sosta, avrebbe probabilmente battuto il Milan anche senza Immobile e Caicedo. Ma il peso psicologico accumulato durante la lunga quarantena e la disabitudine a lottare per i grandi traguardi, come lo scudetto, hanno fatto accumulare tossine in grande quantità sia nei muscoli che nella testa dei giocatori. E poi, un organico limitato (per numero di giocatori), non sufficiente per affrontare una serie di partite così ravvicinate e dispendiose. E allora, dopo le due rimonte con Fiorentina e Toro, che sono arrivate più per orgoglio che per il gioco espresso, la squadra contro il Milan è andata letteralmente in barca. E di quella splendida macchina che avevamo ammirato sino al lockdown non se n’è vista nemmeno l’ombra.
Insomma, non è certo il caso di fare processi. Ma forse, quello che è successo doveva succedere. Perché con quattordici o quindici titolari: come si fa a lottare e a competere contro una squadra che di titolari ne dispone ventidue o forse più? La Lazio non esce certo ridimensionata dalla sconfitta col Milan. Il suo campionato, indipendentemente dal risultato finale resta straordinario. Ma credo, con tutta sincerità, che difficilmente potrà rientrare nella lotta scudetto. Anche se ancora c’è  lo scontro diretto da disputare.

Diverso il discorso che si deve fare a proposito dell’Inter di Antonio Conte. Dato che in questo caso non si può parlare di organico risicato e di mancanza di giocatori. Infatti l’Inter viene da un mercato invernale importante, con investimenti corposi e con l’arrivo di giocatori di livello internazionale. Basta pensare ad Eriksen che doveva essere la ciliegina sulla torta della squadra di Conte. E che invece non ha inciso per come ci si aspettava alla viglia. Il danese, pur restando un grande giocatore, non è un fuoriclasse. Vale a dire che non è un giocatore che fa la differenza. Eriksen, per rendere al meglio ha bisogno di  giocare davanti ad  un centrocampo (a tre) solido che lo protegga; e soprattutto che gli eviti compiti difensivi. Allora, e solo in questo caso, lui può mettere al servizio degli attaccanti la sua indiscutibile qualità nell’ultimo passaggio o nel tiro a rete. Ma nell’Inter di Conte questo non accade. Perché con un centrocampo con soli di mediani (Brozovic e Gagliardini), Eriksen è costretto anche a tornare indietro, a rincorrere i suoi avversari. E di conseguenza perde la bussola, si innervosisce, gioca male o peggio ancora sparisce dal campo come contro il Bologna.
La sconfitta contro la squadra di Mihajlovic ha evidenziato, ancora una volta,” il problema” fondamentale dell’Inter di Antonio Conte. Una formazione esageratamente sollecitata sin dal primo minuto della prima partita di campionato. Una squadra, che a detta anche dello stesso Conte, deve giocare sempre a 100 all’ora. E che nel momento in cui è stata costretta a riprendere il fiato è andata subito in apnea. E sono cominciati a piovere i risultati negativi e le prestazioni incolori. Non si può andare a manetta “sempre” e per tutto l’anno, come diceva spesso Max Allegri. Ogni tanto bisogna respirare e fare una pausa. L’Inter viene continuamente sollecitata, quasi stressata da un modus operandi di un allenatore che richiede in continuazione di migliorare e che sposta sempre e comunque in alto l’asticella della prestazione. L’Inter è dall’inizio del campionato che gioca al limite delle sue possibilità. E questo, nel nostro campionato, e per 38 partite non è possibile. Nel senso che prima o poi ti arriva il conto da pagare.  
Il flop stagionale che si sta delineando per la squadra nerazzurra, nasce nella testa del suo allenatore, che chiede sempre e comunque di salire più in alto. Altre volte è andata bene e sono arrivate le vittorie, tutte rigorosamente al primo anno di lavoro. Questa volta sembra proprio di no.