Non è facile a quasi 38 anni (Caserta, 27 luglio 1982) avere ancora gli stimoli per salire sul ring. Ma, quando ha saputo del rinvio all’anno prossimo delle Olimpiadi di Tokyo 2020, si è limitato a dire: “io ci sarò”. E non c’è da stupirsi per tanta sicurezza, perché Clemente Russo è il pugile più longevo della storia della boxe italiana e con il maggior numero di incontri disputati di tutte le categorie di peso e di tutte le sigle dilettantistiche (ben 269 di cui 214 vinti). E allora per uno come lui, trovare  le motivazioni non è difficile. Anche perché all’orizzonte della sua carriera sportiva ci sono due record a portata di guantone. Il primo è la medaglia d’oro olimpica, che manca al suo ricco palmares, e che gli è sfuggita già in due occasioni (Pechino 2008 e Londra 2012), dove si è dovuto accontentare dell’argento. E soprattutto c’è la rincorsa alla sua quinta Olimpiade, che gli farebbe stabilire un record di portata mondiale; perché nella storia della boxe non c’è mai stato un pugile che sia riuscito a partecipare a cinque edizioni dei giochi olimpici.

Russo è nato a Marcianise; una delle località più famose nella storia del pugilato italiano. Non solo per avergli dato i natali, ma anche perché c’è la sede dell’Excelsior. Una delle più importanti società italiane, che nella sua quasi cinquantennale attività ha sfornato qualcosa come 129 campioni italiani. Senza considerare il bronzo olimpico di Angelo Musone, e tutta l’altra infinità di allori che sarebbe troppo lungo elencare. Ma Marcianise, purtroppo, è famosa anche per un’altra ragione. E quando gli viene chiesto: “Cosa significa nascere in un posto come questo, nella terra dei fuochi, dove la camorra ha radici profonde”? Russo ha sempre pronta la stessa risposta: “Crescere qui mi ha forgiato, ho imparato il valore dei sacrifici. E la boxe è stata la mia salvezza. Quando ho iniziato, tanti mi prendevano in giro: ’vuoi diventare il nuovo Tyson?’. Molti di loro hanno preso una brutta strada e fatto una finaccia. Io non sono diventato Tyson, ma sono diventato Clemente Russo”.

Non molto alto (181 cm) e senza possedere il colpo devastante del ko, Russo ha come caratteristiche principali la velocità e il ritmo. Inoltre dispone di colpi pesanti in entrambe le braccia. E il suo pugilato è fatto di serie a due mani che finiscono per sfiancare l’avversario. Non solo, ma poi è la grande personalità che dimostra sul ring che ne fa un vincente, a prescindere dal risultato. E non è un caso che Don King, uno dei più importanti organizzatori della storia del pugilato, lo abbia definito “The White Hope” – anche se di “speranze bianche” ce ne sono state più di una nel corso degli anni.
Clemente, da bambino, non pensava affatto al pugilato e la sua grande passione era la bicicletta. Era stato il papà, operaio della Siemens, che gli aveva instillato la passione per le due ruote, e che sognava di farne un campione. In pratica, tutta la sua adolescenza è filata via in sella alla sua bici e assieme alla squadra ciclistica locale con la quale partecipava alle corse cittadine. Anche se i risultati erano scarsi e arrivava sempre ultimo. Ma la passione non lo ha mai abbandonato. E ancora oggi, quando gli è possibile, corre subito a cavalcare la sua bici e a scorrazzare per le vie della città.

L’incontro con la Boxe
La boxe è arrivata per caso nella vita di Russo. Tutto è nato da un incontro con un suo vecchio cugino che andava in palestra per dimagrire. Ed è stato sempre suo padre che nel vederlo in gran forma gli aveva detto: “ma perché non ti porti Clemente?” E’ iniziato cosi (1993) il suo connubio con la boxe. Come cominciano quasi tutte le storie d’amore; un po’ per caso, un po’ per fortuna; o forse più semplicemente per quella imponderabile fatalità chiamata destino. E la boxe non solo lo ha salvato, ma grazie a lui sta diventando anche una sorta di “terapia” per cercare di sconfiggere la noia. E soprattutto per cercare  di tenere i giovani lontano dalle facili illusioni della droga e dal pericolo incombente della  criminalità minorile. Infatti tutti i giorni attraverso il profilo Instagram della sua palestra Tatanka Club, Clemente insieme a sua moglie Laura e a tutto il suo staff, propone  una diretta in cui insegna la Noble Art. Vale a dire la “nobile arte della difesa”; che nasce agli inizi del settecento grazie all’inglese J. Figg (una sorta di personal trainer moderno), che ebbe l’idea di affiancare l’insegnamento del pugilato a quello della scherma. Entrambe le discipline intese come tecniche della “noble art of self-defence”.  Per cui il pugilato come arma di difesa personale, ma soprattutto come “lezione di vita”.  

La scoperta della TV
Ma oltre alla boxe, l’altro grande amore di Clemente Russo è lo schermo. Soprattutto quello piccolo della Tv; e non solo. Ed è proprio lo schermo che ci fa conoscere a pieno il personaggio, con quell’aria scanzonata di simpatico guascone. La sua prima esperienza televisiva risale all’ottobre 2008 nel reality show La Talpa, trasmesso da Italia 1, dove si classifica fra la sorpresa generale al secondo posto. Poi nell’anno successivo l’incontro con il grande schermo,  e con la partecipazione al film Tatanka (2011) tratto dal libro “La bellezza e L’inferno” di Roberto Saviano. Dove interpreta e racconta la sua storia di ragazzo del sud che si realizza attraverso la boxe. Tatanka (bisonte), è il soprannome che gli hanno cucito addosso per la sua grande “testardaggine”. Perché quando si mette in testa una cosa non lo ferma nessuno. Così come non si è fermato in Tv dove si è cimentato anche come conduttore nello show comico Colorado, (Italia 1 -2013), insieme a Federica Nargi e Paolo Ruffini. Ed è arrivato fino al Festival di San Remo (2014), dove si è esibito come proclamatore, vale a dire come annunciatore delle canzoni in gara nella manifestazione  canora.
Lo schermo, per i pugili, rappresenta da sempre una sorta di calamita, di richiamo della foresta. Al quale non si può resistere. Nel senso che tutti i grandi del pugilato, chi più e chi meno, hanno avuto esperienze con lo schermo. E il richiamo maggiore è arrivato dal cinema, soprattutto per le due icone della storia del pugilato italiano. 
A cominciare da Primo Carnera, forse il più grande pugile italiano della storia. L’unico ad aver conquistato la corona mondiale dei pesi massimi, da professionista. Carnera è stato il pugile italiano che ha avuto anche il maggior feeling con il cinema. Tanto da aver girato qualcosa come 15 film. Fra questi i più famosi: Ercole, La Regina di Saba, e Il Tallone di Achille. Ma non solo. Nel 1949 ha partecipato al film Il Re dell’Africa, dove simula un combattimento col famoso gorilla King Kong. Alla figura di Primo Carnera è ispirato il film Il Colosso D’Argilla (1956), diretto da Mark Robson, che ha avuto come interprete principale il grande Humphrey Bogart. Inoltre Il regista Renzo Martinelli gli ha dedicato il film Carnera – The Walking Mountain, dove viene raccontata la sua vita, e dove partecipa come attore nientemeno che Nino Benvenuti.
Altro grandissimo del pugilato italiano. L’unico ad aver conquistato da professionista la corona mondiale sia nei superwelter che nei pesi medi (tra il 1965 e il 1970). Benvenuti,  oltre a contendere a Carnera la leadership del più grande pugile italiano di sempre, gli contende anche quella di attore. Infatti il grande Nino ha recitato anche in altri due film che hanno avuto un discreto successo. Prima nel  Western di Duccio Tessari: Vivi O Preferibilmente Morti (1969), dove ha recitato al fianco di Giuliano Gemma. E poi successivamente nel film poliziesco Mark Il Poliziotto Spara Per Primo (1975), diretto da Stelvio Massi. Ma Benvenuti, nella sua grande poliedricità, si è distinto anche come giornalista e commentatore sportivo di successo (RAI). Tanto che risulta iscritto all’albo dei giornalisti, come pubblicista, sin dal 1979.

E la stessa poliedricità si risconta in Clemente Russo, che vuole entrare nella storia del pugilato italiano e mondiale dalla porta principale. E l’appuntamento con la storia si chiama Tokyo 2020 (quinta Olimpiade dove nessuno è mai arrivato), che un maledetto virus ha spostato all’anno prossimo. E lui ci sarà, non solo perché lo ha dichiarato qualche tempo fa. Ma soprattutto perché la storia si nutre di storie semplici, che  vengono scritte da uomini che dal nulla diventano grandi, come Clemente Russo.