La Juventus da tempo è entrata nell’Olimpo delle cosiddette big d’Europa, è considerata da tutti come un top club, si atteggia come tale, ha un fatturato importante, ma gioca da provinciale e, soprattutto, si scioglie tra il primo ed il secondo tempo nelle partite che contano.

Dopo Cardiff, in coro, i protagonisti hanno dichiarato che manca ancora qualcosa per compiere l’ultimo passo (quello decisivo) e consacrarsi definitivamente. Ed io sono d’accordo, infondo è piuttosto evidente che ai bianconeri manchi ancora qualcosa. Ma la scelta di ripartire da Massimiliano Allegri, a mio avviso, non credo che possa colmare il gap con le grandi, piuttosto rischia di creare un solco ancora più profondo.
A questa Juve (petroldollari a parte), manca un atteggiamento più votato all'attacco, a dominare l'avversario, ad imporre il propio gioco piuttosto che a conservare (o congelare) il risultato, tipico di chi gioca per altri obiettivi.
In Europa, le squadre che ambiscono a grandi traguardi, le partite le giocano, hanno iniziativa, hanno intensità e attaccano anche con 3 o 4 gol di vantaggio. Ad Allegri, invece, le partite piace gestirle e, a vantaggio acquisito, abbassa il ritmo e tutti la linea della palla, levando la punta per il difensore (o per il centrocampista) quando manca ancora un terzo della gara.
Al mister piace sottolineare l’importanza delle due fasi di una partita (attacco e difesa), ma gliene riesce solo una.
E via alla crocifissione di gente del calibro di Higuain e Dybala, rei di non risultare determinanti nelle partite che contano, anche se abituati a giocare a 40-50 metri uno dall’altro e in assenza di schemi offensivi. “Se nel calcio si vincesse solo con gli schemi..”, “Non capisco cosa voglia dire giocare bene” o, ancora, “Chi vuole vedere lo spettacolo vada al circo”. Queste le sue dichiarazioni in merito.
Eppure, dopo Cardiff, la società bianconera fa le sue valutazioni e decide che Allegri è il punto fermo da cui ripartire. E fa niente se questa scelta, tra l'altro, comporta la rottura con Bonucci, “agevola” la partenza anticipata da parte di Dani Alves e, probabilmente, comporta una perdita in termini di personalità e tenuta proprio in quel reparto da sempre considerato come il punto di forza dei bianconeri: la difesa.

Detto ciò, ai bianconeri sembra quasi manchi sempre il proverbiale “soldino” per fare una “lira” e le responsabilità in questo caso sono tanto dell’allenatore (e il suo calcio desueto), quanto di chi l’ha confermato (Marotta).
In fondo, nel calcio, anche i minimi dettagli possono fare la differenza e l’equilibrio tra un successo e un fallimento è più labile di quanto si pensi.
Passare dalla ricerca della consacrazione agli “zeru tituli”, il passaggio è breve e il rischio è tanto. Tuttavia, sarei felice di sbagliarmi e, al tempo stesso, mi auguro che la Juventus possa vincere (e convincere) anche oltre confine, così che possano finire i rimpianti, crescere i trofei che contano e dare lustro al calcio italiano (ne beneficerebbero tutti, gufi compresi).