Al Bar Sport di un qualsiasi quartiere popolare è un via vai di esperti pallonari. In qualunque momento ci si può imbattere nell’allenatore scafato, scambiare due chiacchiere col diesse navigato, dialogare con manager di ogni genere e perfino condividere scoop con cronisti d’assalto. Benché dietro ogni bancone che si rispetti va omaggiata la fede calcistica con sciarpe e vessilli, talvolta in questi locali a mancare sono proprio i tifosi. Perché difficilmente ci si veste da semplice supporter quando c’è da battagliare su un concetto, meglio farlo nelle vesti di un professionista prezzolato. Il lunedì poi, al Bar Sport, si dibatte sui temi del weekend e, con l’occasione, ci si presenta nei comodi panni di chi ha avuto ragione. È così che se al venerdì si era allenatore, dopo una sconfitta ci si può atteggiare a direttore generale. E si può salire di grado fino a diventare addirittura presidente. Se poi si fallisce anche da patron o ci si dà malati o, più semplicemente, si cambia locale.

Al bar Sport non manca la competenza, tutt’altro. Chi dovesse pensare ad un caffè popolare per clienti sempliciotti che straparlano abusivamente di calcio si sbaglia. Coverciano potrebbe inserirci una stage. Nei baretti rossoneri dell’hinterland milanese, per esempio, è una vita che si predica un cambio modulo e di panchinizzare Suso, eppure ci sono volute due stagioni e ben tre allenatori. Quando bastava prendere un caffè in periferia. Ma al Bar Sport non è posto per damerini e fighetti. Se qualcuno ci entra in tiro è perché ha bucato lì vicino, talvolta per chiedere di andare al bagno nell’attesa che lo raggiunga l’amante, generalmente per lasciare volantini in campagna elettorale.

Al Bar Sport manca la moviola, ma i processi si fanno lo stesso con i fermo immagine dei vari quotidiani sportivi. Il problema, semmai, è trovarne uno da leggere in tranquillità. Solitamente la rassegna stampa si consuma in condivisione sul banco dei gelati, ma per ottimizzare la consultazione meglio che qualcuno s’immoli in piedi, facilitando la lettura e il chiacchiericcio a 360° di ogni singola pagina del giornale. Se vuoi leggere in solitudine devi ripiegare sulle pagine immacolate dell’economia, abbondonate su qualche seggiola di plastica; ma sei fuori posto e non passi certamente inosservato. Poi, se sei fortunato, facile che il barista ti chiami dottore e ti serva col caffè anche il cioccolatino. Di sicuro si ha diritto allo scontrino fiscale, non si sa mai.

Non certamente cool, il Bar Sport ha comunque un piacevole retrogusto vintage. Mancherà della freschezza della beata gioventù, ma non difetta né in saggezza né tantomeno in esperienza. In questi bar è quasi un must la presenza di una milf che, da dietro un registratore di cassa o dal bancone, accoglie la clientela con le sue grazie, anche solo col ricordo di quelle che un tempo tiravano più della farfalla della Wanda. E se la Vecchia Signora piace a metà degli uomini italiani, una milf non dispiace proprio a nessuno, dagli sbarbatelli con gli ormoni impazziti agli attempati che lottano con calvizia e gel.

Un locale alla moda cambia gestione, arredi, vetrine e personale per rincorrere le tendenze del momento. Sa servire il caffè in un’infinità di modi, ma difficilmente ricorda quello che preferisci, e spesso è proprio il cliente a doversi adeguare, e no viceversa. Soprattutto sembra che ti facciano un favore anche solo servirti. Se poi provi a fare conversazione ti liquidano con un finto sorriso di cortesia.
Al Bar Sport invece gli arredi sono vecchi e malfermi, gli stessi d’un tempo, ma le notizie rimbalzano più velocemente delle breaking news sul web. Non rincorrono l’attualità ma la cavalcano. E poi ti senti in famiglia, non serve nemmeno ordinare perché ognuno prende “il solito”, accompagnato da un argomento di discussione sempre diverso.

Questa settimana con il caffè si servono pillole di calcio giocato con Sarri, con l’aperitivo il cortocircuito di Pierino e con l’ammazzacaffè l’amaro ritorno a casa di Conte. Dovesse fare visita il dott. Sconcerti anche il cappuccino corretto con le ovvietà del giorno dopo. Non mancano assaggini vari di calciomercato e una bevuta alla salute di chi ha il buon gusto di lasciare pagato. La scorsa settimana un olandese di un metro e novanta ha offerto a tutto il bar per festeggiare la dea bendata. Forse avrà vinto dieci milioni con un gratta e vinci, oppure il destino gli avrà tolto di mezzo un paio di temibili colleghi in competizione. Oh, chissà, tutte e due le cose.

Al Bar Sport i clienti di fede bianconera sono divisi sul calcio aziendale di Allegri e quello teatrale di Sarri. Alcuni fanno notare che nell’interviste finalmente si parla di tattica e di calcio, mentre prima era generalmente basket, cinema e circo. Altri sottolineano che, col minimo vantaggio, prima entrava un difensore per una punta, ora ci si schiera col tridente. Poi è la volta del saggio che, flirtando con la barista non gliene frega nulla del calcio, ma al terzo spritz ha un intuizione: “se i risultati sono gli stessi vanno bene uguale”. Ad un certo punto, nel bar entra un uomo distinto col ghigno stampato in faccia che chiede di utilizzare la toilette, ma il barista non comprende e un cliente corre in suo aiuto suggerendo di consegnargli le chiavi del cesso. Una volta soddisfatti i bisogni, l’uomo chiede un caffè tradendo una certa ansia: di sicuro ha una tresca. Nell’attesa ascolta le discussioni animate dei clienti che dibattono sull’efficacia dei vari sistemi di gioco, e quando qualcuno gli chiede un opinione l’uomo risponde che sono tutte stronzate, anche se pagano piuttosto bene. Intanto, davanti l’ingresso del bar accosta un grosso suv. L’uomo ha un sussulto, paga con una banconota da dieci, sale sull’auto e scappa via sgommando. Un paio di clienti che fumavano fuori giurano di aver sentito l’uomo salutare amorevolmente un certo “Mario”.

Nei Bar Sport milanesi e capitolini si parla del mancato scambio tra Spinazzola e Politano. Si chiedono come mai quello “rotto” gioca (bene) e vince con la Roma e quello “sano” gioca alla play station, mentre i suoi compagni di squadra impattano con il Lecce per mancanza di giocatori dotati di dribbling. I clienti di fede giallorossa avrebbero voluto Politano, tuttavia benedicono il clamoroso passo indietro dell’Inter perché, a quanto pare, fare annusare i colori neroazzurri aiuta a fare meglio con la Maggica. Vedasi Dzeko. E auspicano un cortocircuito di Ausilio anche per Florenzi con annesso rientro a Trigoria, magari ritorna quello di un tempo. Nei baretti milanesi di sponda nerazzurra invece ci si domanda se effettivamente il vecchio Young vale il terzino della nazionale, o se non sia piuttosto una mera scelta al risparmio del ragioniere Marotta. In fondo l’ex dirigente bianconero ha bisogno di liquidità per il colpo Eriksen, che formalizzerà non appena avrà chiuso con Draxler e Witsel. In un bar di Appiano Gentile, mentre già si festeggia l’approssimarsi dell’anniversario decennale dello storico triplete, stona la figura un uomo che in un angolo affoga i suoi dispiaceri nell’alcool. Al chi lo rincuora, l’uomo non esita a far leggere dal suo Iphone un triste messaggio di addio: “Pierino, da oggi le nostre strade si dividono per sempre, anche se non potrò mai dimenticare gli anni in cui, insieme, si è fatto tanto godere la Vecchia Signora. Ma io ormai ho trovato l’amore col biscione. Con affetto, Beppe”.

Nei Bar Sport salentini non si parla d’altro, ovvero del ritorno a Lecce di Conte, accompagnato dall’ostilità dei suoi concittadini e infinocchiato dal suo stesso modulo di provincia: il 532. Eppure il tecnico salentino le ha provate tutte per riappacificarsi con la sua gente, perfino dominandosi al gol di Bastoni, quando tutti i peli del suo corpo facevano la ola e con Pancrazio che avrebbe voluto liberarsi col gesto dell’ombrello nei confronti di un pubblico ingrato. Ma non solo, perché anche la stampa locale ha incoraggiato per giorni la riconciliazione, soprattutto grazie all’opera di vecchie glorie opportunamente riesumate. E lo stesso Conte, insolitamente, aveva ricordato di voler bene a Lecce con un paio di dichiarazioni al miele. Il problema è che i tifosi sono liberi di scegliersi fede e santi. Evidentemente Conte è stato sconsacrato da tempo, con buona pace di chi ora si spende per la beatificazione. A Lecce si venera ancora Chevanton e si vuole bene a Vucinic, che leccesi non sono. E non ci si dimentica mai di omaggiare Ciro e Michele. Fortunatamente si è ancora liberi di inneggiare a chi davvero ha onorato questa terra, senza che qualcuno debba per forza imporre i miti da idolatrare.
In Italia si cambia bandiera fin troppo spesso in nome di interessi personali, lo fanno tutti gli uomini normali, come appunto Conte. L’appartenenza e l’identità sono per uomini di ben altro spessore, e si possono benissimo preservare facendo successo altrove. Ma da qui ad offendere l’allenatore neroazzurro con striscioni e cori volgari ce ne passa. Non lo condivido. Poi i tifosi bianconeri sono liberi di chiedere la rimozione della stella, quelli interisti di esaltarsi per l’icona del 5 maggio, quelli baresi hanno ben altri problemi e i leccesi di farsi stare sulle palle Conte, legittimamente.
Tuttavia, al Bar Sport, tra una chiacchiera e l’altra, ho difeso l’allenatore dell’Inter. Perché, pur non essendo un eroe, sicuramente non rappresenta la feccia di questa splendida terra. Le sciagure son ben altre. E poi, molti di quelli che ora lo attaccano, sarebbero capaci di cambiare idea all’istante per un selfie sulla spiaggia quest’estate.

Ma si sa, al Bar Sport si ragiona di pancia, fossimo più illuminati si frequentava circoli e salotti. Spiace solo di non essere tanto stupidi da riciclarsi in politica, perché magari nella buvette di Montecitorio, parlando del Milan con Salvini, si poteva anche ottenere una poltrona da Ministro dello Sport col prossimo governo.



Un omaggio a Stefano Benni e un grazie a DelioMusolungo per l’ispirazione.