Non si vive di rimpianti, sarebbe uno spreco. E si può sognare per tutta la vita, l’importante è lasciarsi alle spalle quello che si è desirato ma che non si è potuto realizzare, inseguendo obiettivi sempre nuovi. Colui che bacchetta gli idealisti come visionari è perché spesso manca di fantasia, probabilmente sopisce i propri sogni sotto tonnellate di bile, di sicuro cortocircuita il cuore per affidarsi alle fredda luce della sinapsi. Non esiste scienziato che difetti di immaginazione. Non si può essere intelligenti senza riuscire a vedere oltre. Il sognatore conosce bene la strada maestra, ma all’occorrenza è capace di disegnare un bivio laddove il pragmatico allaccia le cinture e tira dritto. La differenza sta quando la vita ti pone di fronte ad un ostacolo, perché superarlo o conviverci, senza farsi condizionare a tal punto da finire sopraffatti dagli eventi, è la discriminante tra una vittoria, un pareggio ed una sconfitta. E nella vita il risultato conta decisamente più di una partita di calcio.

La scuola serve fino ad un certo punto. Poi sta ad ognuno di noi giocarsi le proprie carte sfruttando le opportunità che ci riserva la vita. Conoscere come l’Ave Maria protocolli medici, formule matematiche, leggi della fisica, codici legislativi, atti amministrativi ecc. sono capacità che, alle giuste condizioni, risultano alla portata di molti.
Eppure non tutti i professionisti hanno piena padronanza della materia, dicasi competenza. È qualcosa che perfino un profano con un minimo di intelletto può riscontrare nelle dinamiche della quotidianità. Ma la comunità raramente rispecchia questi valori, pari opportunità e meritocrazia (soprattutto) non sono i pilastri che reggono la società.
E non certo da oggi. Chi rosica perché non beneficia dei privilegi di discendenza è limitato quanto i figli di papà che si credono superiori per meriti ereditati. Ci si può ritenere senz’altro più fortunati di chi nasce e viene allevato in condizioni difficili, siano esse economiche o geografiche, ma deve essere un punto di partenza per migliorarsi e contribuire alla collettività, laddove altri invece lottano per ritagliarsi anche solo la dignità. Al mondo d’oggi, un classista è uguale al razzista: alla base c’è solo tanta ignoranza, anche se hai studiato ad Harvard. Chi si occupa di sconfiggere esclusivamente la seconda piaga fa un lavoro a metà. Personalmente provo pena per chiunque ostenti una superiorità acquisita senza particolari abilità, tuttavia potrei anche tollerare l’altezzoso che si pavoneggia in virtù di indubbie quanto pregiate capacità. Di sicuro ammiro l’intelligenza di chi, con umiltà, continua a crescere senza farsi schiacciare dall’ego, talvolta più grande di quello che si è disposti ad accettare.

Al tempo stesso vado alla ricerca di chi nella vita si è distinto per merito, e non importa se nato rampollo o comune mortale. Perché la bellezza sta tutta nel giocarsi al meglio le opportunità che il destino ti pone davanti, la soddisfazione nel riuscire a costruirsi la fortuna, circondato dall’affetto dei tuoi cari e la stima di chi è per noi è importante.
Esempi illustri ce ne sono tanti, ma è un discorso che vale per chiunque sia riuscito a realizzarsi nelle varie stratificazioni sociali, senza dover necessariamente rappresentare un icona: l’impresa va riconosciuta e omaggiata allo stesso modo. In ogni caso, ciò che la società spesso dimentica di valorizzare può ancora trovare terreno fertile nell’arte e nello sport, dove genio e talento tuttora risultano presupposti fondamentali per il successo. Mica sempre, ma sicuramente più facile riconoscere il più bravo che, partendo dai blocchi, taglia il traguardo per primo. Così come i vari artisti della musica, della letteratura, ecc. che vengono consacrati da fan e appassionati del genere. Più difficile credere che i più meritevoli vincano concorsi pubblici, ancora meno che la dirigenza possa esprimere quanto di meglio c’è nell’ambito di specifiche competenze. Se non fosse così, vivremmo ben altro tipo di comunità.

Come se non bastasse combattere perennemente contro prepotenza, collusione e ignoranza per necessità, bisogna difendere anche le nostre passioni contro l’ingerenza di una società che vorrebbe imporci le proprie regole, bacate. L’annacquamento dell’arte moderna è sotto gli occhi di tutti, tuttavia la preferenza del pubblico resta comunque la componente discriminante per il successo. Anche buona parte dello sport preserva talento e merito. Eppure, col tempo, le dinamiche di business legate al calcio si sono insinuate come un male metastatico, dove i più forti spesso risultano i più vincenti, ma non certamente i più bravi. Il FPP è stato pensato per uno scopo lodevole, ma andrebbe rivisitato sotto molti aspetti.

In tal senso non stupiscono le parole di Agnelli sulla legittimità dell’Atalanta a giocarsi la Champions, non mi sarei aspettato nulla di diverso da uno come lui. Ma la supercazzola della Superlega Europea urta con i principi e i valori dello sport, se poi questo è il pensiero (e il capriccio) del Presidente dell’ECA allora c’è davvero da preoccuparsi.
Eccone un altro che, partendo da una posizione privilegiata, vuole determinare in negativo le sorti dello sport più bello del mondo, come se fosse roba sua. Se lo scopo della ECA è quello di proteggere e di promuovere il calcio dei club europei, evidentemente con Agnelli possono crescere solo gli interessi dei club più ricchi, ma a perdere sarebbe proprio il calcio.
L’Atalanta deve poter giocare per la gloria, perché lo ha ampiamente meritato sul campo, premiata dalla bontà di un progetto tecnico che punta sul gioco e la valorizzazione dei giovani, nonché dalla competenza di una struttura societaria che può fare da riferimento nel mondo. Non c’è sportivo che si rispetti che non riconosca alla Dea il sacrosanto diritto di sculacciare i club che pensano di vincere imbottendo la rosa di costosissimi mercenari. Non esiste appassionato di calcio che, al netto della propria fede, non faccia il tifo per l’Atalanta. E se penso che le imprese in Europa dei nerazzurri vengono perfino omaggiate con applausi spontanei allo Stadium, vuol dire che i tifosi credono ancora nella bellezza di questo sport, molto di più di chi li rappresenta.

Nessuno comunque vieta al presidente Agnelli di organizzare un torneo a numero chiuso tra i club guidati da ricchi rampolli, sarebbe comunque apprezzato e seguito come una sorta di trofeo Birra Moretti, magari battezzandolo col nome Fjat Cup in onore dell’illuminato che l’ha caldeggiato. Potrebbe perfino invitarci il suo nuovo amichetto cinese, benché a capo di una squadra posizionata al 43° posto nel Ranking UEFA.

A proposito del giovane Zhang, da registrare l’ascesa di un nuovo fenomeno. In piena emergenza Covid 19, invischiato nella bagarre scudetto e con una Lega Calcio in totale confusione, ha pensato bene di postare un attacco volgare a Del Pino con tanto di emoticon. Roba che perfino mio figlio di 12 anni troverebbe puerile.
Pur ammettendo che la sua maggiore preoccupazione fosse davvero la salute pubblica, anche se Marotta credeva tutt’altro cambiando strategia 3 volte al giorno, mentre i tifosi che già rievocavano gli spettri di Calciopoli (come se poi potessero ergersi a vittime), da sottolineare la profonda ripulita di immagine con tanto di beneficienza all’Ospedale Sacco sponsorizzata sul sito ufficiale dell’Inter. Come se fuori al bar doni 5 euro e poi vai a prendere un caffè con una maglietta che testimonia cotanta generosità. Resta comunque un’azione lodevole che, speriamo, coinvolga presto altri uomini di sport. Ma forse già lo fanno senza la necessità di immortalare l’evento con un tweet.

Nel frattempo, mi auguro che l’uscita infelice di Agnelli possa essere accolta all’unanimità come una gaffe colossale, e magari costargli anche la conferma della candidatura all’ECA. Sarebbe un bel segnale, in nome dello sport. Peccato perché il giovane presidente avrebbe sicuramente le potenzialità per proporre qualcosa di innovativo e costruttivo per migliorare il movimento, molto di più del sottoscritto che oltre ad un articolo su VxL può davvero ben poco.

Spero di poter continuare a sognare che, almeno nello sport, si continuerà a partire tutti insieme dai blocchi e che il più bravo tagli il traguardo. Se invece anche il calcio dovesse, inesorabilmente, riflettere le magagne di una società viziata e nichilista, me ne farò una ragione. Vorrà dire che mi appassionerò ad altro. E quando mi verrà un attacco di nostalgia potrò comunque ritornare a far girare quel vecchio cd che un ventennio or sono mi ha permesso di vincere coppa e campionato con il Lecce, con un gioco pensato per esaltare merito e abilità in nome dei principi universali del gioco più bello del mondo.