Oggi è la festa dell’amore, festeggiamo anche noi, innamorati folli del pallone.  
Festeggiamo lo sport più romantico del mondo, l’amore più praticato al mondo, erotico, seducente, strafottente, spesso non ricambiato, che e a nullo amato amar perdona.
Ma ci piace proprio per questo e noi lo festeggiamo. 

Festeggiamo le domeniche assolate e i sabati uggiosi, i pomeriggi sottratti all’inedia e le sere di nuvole o stelle e prepotenti riflettori. I posticipi, gli anticipi, i minuti di recupero, quell’ora e mezza di passione, di tensione, di trepidazione, talvolta anche di noia ma pur sempre d’evasione (ci ho fatto pure la rima).
Festeggiamo la fede, l’irrazionale che cova dentro di noi, cenere piroclastica pronta ad esplodere a ogni fischio d’inizio, lava rovente che ci scorre nelle vene, ogni giorno, ogni ora, ogni momento. Sempre! 
Festeggiamo le attese, le vigilie, i giorni dopo, i sorrisi e i silenzi, i pronostici mai azzeccati e quelli fortunati, i commenti, gli sfottò e le recriminazioni. 
In classe, al lavoro, a tavola, dal macellaio, nelle chat, dal barbiere, nelle hall degli alberghi, nei social e nei centri sociali. Siamo tifosi, sempre, ovunque. 
Festeggiamo le bancarelle di bandiere e maglie colorate, festeggiamo le auto incolonnate e quei clacson che non smettono e le trombette che non smettono, le lacrime e le risa e i cori che non smettono e gli inni, le mani, le piazze, i balconi… 
Festeggiamo la sfera che rotola tra gambe tatuate e polpacci di granito, che fende l’aria alzandosi dal suolo, a campanile o come un missile supersonico, e giunge tra le mani inguantate di pelle e sputi; oppure le trapassa, insaccandosi nella rete agognata. 
Festeggiamo, ché può succedere di tutto, perché la palla è rotonda e ci piace proprio per questo. 

Festeggiamo i giornalisti, gli opinionisti, i telecronisti, gli analisti, i tuttologi, i filosofi, le grandi firme e gli scarabocchi. Le trasmissioni alla tv, piene di niente, parolaie ed urlate, commentate, scopiazzate, spensierate, ore vuote infarcite d’una dolce assuefazione.  I narratori, i romantici, gl’ironici, i raffinati e anche quelli che non ci capiscono un bel niente, festeggiamo pure loro. Perché è questa la bellezza del calcio, che tutti hanno ragione, che nessuno ha torto; un esercizio di spicciola sofistica, che può durare anche ore e non ci stanca mai, non ci basta mai. E noi lo amiamo, lo amiamo proprio per questo. E perciò lo festeggiamo.

Festeggiamo il calcio e ogni sua proiezione. Una partita in strada tra bambini che si credono campioni o dentro un carcere tra chi affida a un pallone la sua fame di libertà; festeggiamo i soldati tedeschi e quelli inglesi che “firmarono” la tregua dalla Grande guerra, giocandosela nella neve; i buzzurri a petto nudo che in spiaggia si rimpallano un Super Santos, arancione come il sole che li arrostisce. Non c’è trasversalità che unisca quanto un rettangolo di gioco. Iran e America s’abbracciano sotto il cielo qatarino, ricchi e poveri urlano all’unisono (sarà perché si amano, tanto per restare in tema), i tifosi si gemellano (quelli idioti si accoltellano e no che non li festeggiamo), un barista serve il suo ennesimo caffè d’uno speciale lunedì mattina e parte lo sfottò: “Dottò, quanto zucchero? Oggi famo 3?”.  

Festeggiamo e festeggiamoci, noi iniziati a questa lucida follia, che non conosce anagrafe o religione, né tessere o appartenenze, né fermate né confini. 
E noi lo amiamo, lo amiamo proprio per questo. E lo festeggiamo.
Festeggiamo i suoi colori, le maglie e ogni loro bislacca variazione (quelle del Napoli sono orrende!), le sciarpe che scaldano il collo e scaldano il cuore, gli striscioni che urlano valori o bisbigliano voleri, l’arte che alberga in una coreografia, un fumogeno che genera immaginazione, la fluorescenza d’un boato, un tabellone e il risultato, una faccia tutta pittata, un berretto che copre teste calde e menti fredde, lo zaino della squadra, il plaid della squadra, il poster della squadra. Festeggiamo il calcio e i suoi simboli: chiamali gagliardetti o loghi o insegne o scudetti, sono i segni della storia, che segnano la storia. Una storia, infinite storie, d’appartenenza, di fede, di legame indissolubile a una terra, una città, un’idea.

Festeggiamo le figurine, i ricordi di quand’eravamo bambini, festeggiamo i videogiochi, l’Intellivision di ieri  il Fifa di oggi, il calcio di sempre. Festeggiamo il Guerin sportivo, la Gazzetta dello sport, la Domenica sportiva, Calciomercato.com. Festeggiamo il pallone e i suoi rapsodi. Epica e verità si confondono in un magnifico cosmo, dove tutto è ciclico, infinitamente ciclico. E non ci stanca mai, non ci basta mai. 
Il calcio in bianco e nero, quello a colori, quello in streaming, quello lento e quello veloce, quello tecnico e quello iper tattico. Chiamalo come vuoi, girala come vuoi, undici contro undici, due porte, un rettangolo e un pallone: la magia è tutta lì. E noi l’amiamo proprio per questo. 

Festeggiamo il Subuteo, il bigliardino (a Palermo lo chiamiamo così), la vecchia schedina, le combo moderne, il Fantacalcio. Un goal è sempre un goal: le braccia si levano al cielo, gli occhi “sbrilluccicano” d’emozione, l’urlo è corto e fragoroso; la differenza tra il silenzio e il tuono sta tutta lì. 
Festeggiamo le esultanze strambe, le esultanze tutte: sono frammenti di quel pazzo diamante che c’è in ogni essere umano e che noi chiamiamo gioia. 
Festeggiamo la musica del pallone e speriamo che Luci a San Siro se ne accenderanno ancora, ché chissà quanti ne abbiam visti e quanti ne vedremo, di giocatori tristi che non hanno vinto mai, ma vogliamo continuare a vederli lì, al Meazza. Punto e basta. 
Festeggiamo gl’inni nazionali, il crescendo della Champion e Grazie Roma e Pazza Inter e Pioli is on fire e O’ mamma mamma mamma …. Cantiamolo, l’amore per il calcio, perché chi canta, prega, e ama, due volte. E noi lo professiamo come una religione; e lo amiamo, lo amiamo 2,3,4, 1000 volte, lo amiamo tutte le sante volte che accendiamo la tv e … “C’è la partita, silenzio!” … tutte le benedette volte che andiamo allo stadio e facciamo un gran casino. 
E poi cosa c’è di più musicale di questo sport? Una sforbiciata in area di rigore non è forse l’assolo portentoso di un tenore? E se la pelota va in gol, non è il trionfo pavarottiano di un’alba di vittoria? E un lancio di trenta metri sui piedi del compagno, è o non è una nota eseguita alla perfezione? E un uno/due che cos’è, se non un duetto di successo? E il portiere che prende la palla e se la porta al petto con entrambe le braccia, non è forse una rassicurante ninna nanna? E la squadra che si schiera in campo, potrebbe mai funzionare se non come un’orchestra? E l’allenatore, è o non è il maestro di quell’orchestra? E allora festeggiamo e godiamo, di calcio e di musica. 

Festeggiamolo. 
Festeggiamo gli stadi: arene dov’è possibile che i cristiani sbranino un leone, templi dove i fedeli assistono a prodigi portentosi, monumenti dov’è incisa la memoria di leggende senza tempo, fiere tutte a festa, che cambiano spiccioli di pigrizia “divanesca” in banconote d’entusiasmo e joie de vivre. Festeggiamo gli ombrelli aperti a un cielo dispettoso, il seggiolino abituale di un abbonato habitué, il metallo della voce misteriosa che ti raggiunge ovunque sei, l’omaccione pittoresco che reclama birra, Coca e patatine, gli uomini in divisa che di sottecchi si godon la partita. Lo stadio è una fiera, sì, e ci piace proprio per questo. E oggi festeggiamo. 
Festeggiamo la  provincia, festeggiamo il campanile; le metropoli e i loro derby, che si vincono, senza se e senza ma. Dalla Mole alla lanterna, dalla Madonnina alla capitale, il derby non si gioca, si vince. E noi lo amiamo, senza se e senza ma.  

E festeggiamo le donne, le nostre amate donne. Festeggiamo le signore del pallone. Quelle che lo giocano, quelle che lo raccontano, quelle che lo guardano, quelle che lo arbitrano. Perché, sì, amiamo il calcio e amiamo alla follia le nostre donne. Le amiamo quando accettano la nostra malattia, da cui un tempo s’illusero di guarirci; ma le amiamo un tantino di più se di quella malattia anch’esse sono affette. Comunque, le amiamo tutte e le rispettiamo tutte; e calci e galera a chi confonde l’amore col possesso, a chi alza anche solo un dito contro il gentil sesso (ci ho fatto di nuovo la rima). 
Festeggiamo i nostri campioni e anche i bidoni, in fondo pure loro fanno parte del più grande spettacolo dopo il Big bang. 
Festeggiamo gli arbitri, i guardalinee, quelli del Var, i quarti uomini … festeggiamoli e chiediamo scusa, per gl’improperi, per le corna e per i “Vai a quel paese”. Scusateci, è solo fantasia.  Festeggiamo i cartellini: quelli rossi, come il fuoco che si accende nelle facce di chi è in colpa; quelli gialli, come i musi immusoniti di chi sa che è diffidato. 

Festeggiamo un calcio di rigore, come l’ultimo crocevia tra l’inferno e il paradiso. Festeggiamo un gol, come “l’ultima rosa” che vive in un deserto verde speranza. Festeggiamo il fuorigioco, come l’ultimo anelito prima della capitolazione. Festeggiamo una punizione dal limite, come l’ultimo miglio prima dell’approdo. Festeggiamo i colpi di tacco, come l’ultima porta che si apre alla magia. Festeggiamo uno scatto, come l’ultima corsa senza fermate. Festeggiamo un colpo di testa, come l’ultimo volo di un angelo alato. E festeggiamo le parate, come le ultime grida di resistenza estrema. 

È il calcio! Festeggiamolo, in ogni sua essenza. 
Festeggiamo i trionfi e pure le sconfitte, perché se nei primi c’è la gioia, nelle altre c’è la prossima partita in cui sperare.
E la prossima sarà stasera. Questa sera faremo festa, da perfetti innamorati: una cenetta, del buon vino, poi spegneremo la luce, ci metteremo sul divano, ci rilasseremo e… vai con la Champions league!