Il compianto Gualtiero Zanetti è stato una grande firma del giornalismo sportivo e, per un certo periodo, è stato anche opinionista in pianta stabile presso la Domenica Sportiva. Proprio in questa veste, una quarantina di anni or sono, si ritrovò a criticare il numero, per lui eccessivo, di pause imposte al campionato per ritagliare spazio alla nazionale. La sua tesi era che, in generale, il calcio italiano poggia da sempre le proprie fondamenta sul campionato e non può che essere danneggiato dalle troppe soste, che fanno calare l'interesse del pubblico. E se leggiamo il riferimento al campionato come richiamo al calcio di club in generale, con le partite di coppa nel mazzo, direi che Zanetti non aveva affatto torto. Aveva tutte le ragioni di questo mondo, oserei dire.

Nessuno lo ammetterà mai, però l'Italia è un paese dove la nazionale di calcio è un passatempo snob da coltivare a bienni alterni, in occasione delle fasi finali europee e mondiali. Ci sono paesi dove il campanilismo viene secondo rispetto all'orgoglio nazionale, mentre in Italia i colori del club restano i più cari. Non è né giusto né sbagliato, ma è un dato di fatto che, a campionato fermo, si va in crisi di astinenza, come se le vicende dei nostri club fossero una droga generatrice di dipendenza. E l'astinenza da tale droga favorisce polemiche come quelle sul c.d affaire Donnarumma, che ormai, a ottobre quasi inoltrato, non dovrebbe essere più tale.

Gigio Donnarumma è stato fischiato dalla curva di San Siro, ma in fondo non è successo nulla di eclatante, se proprio si vuole essere onesti. Luìs Figo si ritrovò a essere omaggiato col lancio di una testa di maiale, per essere passato dal Barça al Real Madrid, quindi qualche fischio per Gigio può comodamente essere derubricato a normale amministrazione. Il giocatore non poteva certo pensare di avere l'applauso del suo ex-pubblico solo perché indossava la casacca della nazionale. Ha preteso tutto il sistema solare e non sono la proverbiale luna, pur di non essere accontentato dal Diavolo. Credo, infatti, che se Maldini avesse chiamato Raiola e avesse detto "Ok, dica al suo assistito che vanno bene 10 milioni di fisso più 2 di bonus!", Raiola sarebbe sbiancato dalla sorpresa e colto da un attacco di panico.

Donnarumma e Raiola pensavano, ormai da qualche anno, che la destinazione  migliore per Gigio fosse la Juventus e che quel passaggio non potesse certo concretizzarsi come una cessione da parte della società di via Aldo Rossi a quella di Torino. L'idea era di andare direttamente alla corte degli Agnelli, ma l'attuale portiere bianconero ha poi preteso il rispetto del contratto, e allora è scattato il piano B. Da Parigi a Torino il passo è molto breve, anche perché da quelle parti non frega assolutamente nulla della Juventus, mentre molto importa ai tifosi rossoneri.

In ogni caso, se Donnarumma non può lamentarsi dei fischi, anzi deve impacchettarli e portarseli a casa, dal punto di vista formale e giuridico, il tifo rossonero non ha molto da contestare a Gigio. A partire dalla sentenza Bosman, a fine contratto un giocatore di calcio è un uomo libero, come deve esserlo qualunque lavoratore o prestatore d'opera privo da impegni contrattuali. Che sia un atleta di alto livello o che sia una finta partita IVA, pagata poche centinaia di euro ogni mese e con saldo alle calende greche, il principio è lo stesso e bene fece la Corte di Giustizia dell'Unione Europea a sancirlo negli anni '90. La regola degli indennizzi era un orrore giuridico, perché il lavoratore calcistico doveva risarcire il datore di lavoro di parte degli emolumenti ricevuti. E per cosa strampocavolo era stato pagato allora? Aveva ricevuto un prestito?

Per le considerazioni di cui sopra, mi hanno colpito le dichiarazioni di Stefano Pioli, secondo il quale non sarebbe giusto che un giocatore possa liberarsi senza costi alla fine del contratto, in quanto dovrebbe rimborsare alla società una parte dei soldi che questa gli ha dato. E se quei soldi dovesse pagarli lui, Pioli, qualora volesse andare ad allenare altrove? Cosa direbbe? E' comprensibile che sia amareggiato per aver perso uno dei suoi fidi, Chala, e che stia per perderne un altro, Kessie. Come tutti i tecnici ha i suoi pallini e non dorme la notte al pensiero di esserne privato. Ma lascia perplessi sentire che il tecnico propugna soluzioni incompatibili con un libero mercato del lavoro. Si informi, un attimino prima di fare del populismo calcistico, perché le sue ultime affermazioni hanno un retrogusto demagogico. Non ci siamo, insomma.

E lanciamo una provocazione ponendoci una domanda. Se fosse sbagliata, invece, la pratica di pagare i cartellini dei giocatori in vigenza di contratto? Se ciò non accadesse, una società non avrebbe l'impressione di perdere una parte del proprio capitale quando un dipendente va via a fine rapporto. Non ha speso un centesimo e non ne ricaverà un centesimo. Dite che sarebbero favoriti i club più ricchi, in grado di staccare assegni più alti per i giocatori a fine contratto? Sì, ma poiché sarebbero anche quelli in grado di pagare di più i cartellini in vigenza di rapporto, non cambierebbe nulla. Alla fin fine, i club più danarosi o disposti a scucire hanno sempre chance maggiori di ingaggiare un giocatore.

Rileggo quanto ho scritto e mi rendo conto di aver chiarito una serie di banalità, cose scontate a un esame attento delle cose, ma sono tutte questioni di cui si è discusso in questi giorni, come se fossero argomenti scabrosi. Proseguiamo, tuttavia.

Chi ti è spuntato fuori in questo cancan, come un fungo dopo un'abbondante pioggia? Mino Raiola, che si è detto disgustato per i pochi fischi di San Siro, accusando il Milan di non aver potuto né saputo tenersi Donnarumma. Un'affermazione non bella  che sa tanto di accusa rivolta al Diavolo di essere una società di pitocchi o morti di fame. E' stata una lampante provocazione che nessuno avrebbe dovuto raccogliere, anche perché, come ho scritto su, era evidente che non c'era alcuna volontà di Donnarumma e del suo entourage di restare al Milan. Qualcuno l'ha raccolta, invece, cantando a Raiola le cose che lo stesso Raiola avrebbe dovuto tenere a mente di tutta la faccenda e che avrebbe fatto finta di dimenticare.  Ma se comprendo le motivazioni della reazione, dettate da un atteggiamento protettivo verso la società, devo anche dire che tale reazione si è rivelata una soddisfazione regalata a un gran furbacchione del mondo calcistico, un abile provocatore, che non lancia mai a caso il sasso nello stagno. Nessuna risposta doveva essere data a chi amministrava un giocatore che ha rifiutato un contratto da 8 milioni netti all'anno. Era diritto di Raiola e Donnarumma chiedere anche 20 milioni netti oppure andarsene dopo il 30/06/2021, ma chi offre 8 milioni netti annui non è un pitocco e non è tenuto a giustificarsi per non essere andato oltre. E ciò sarebbe valso anche se i milioni offerti fossero stati 6, gli stessi del precedente contratto. Sarebbe stato comunque un signor ingaggio.

Astinenza da campionato e coppe, tutta e solo astinenza da campionato e coppe, niente altro che astinenza da campionato e coppe, ecco l'origine di una polemica i cui confini sono andati e stanno andando troppo in là, oltre il normale campanilismo calcistico di una curva e le consolidate norme europee sul libero mercato. Oramai si sa che un ex-beneamino deve attendersi una generosa razione di fischi quando torna fra i suoi ex-fan. Non può farne a meno, è una regola consolidata del mondo del calcio. E oramai si sa che un giocatore di calcio non è uno schiavo, seppure profumatamente pagato.

Questa astinenza da calcio di club deve finire! Tutti noi, che lo si voglia ammettere o no, vogliamo ritornare al nostro bel calcio da club, anche correndo il rischio di ritrovarci davanti il signor Cüneyt Çakır.  E se si arriva a rimpiangere Cüneyt Çakır, anche quello rivisto all'opera ieri, vuol dire che l'astinenza da campionato e calcio di club è proprio giunta a livelli allarmanti.