La chiamano coppetta, ma coppetta lo è finché non la vinci. 
È la coppa nazionale, serve come il pane a ch’insegue il triplete, spesso e volentieri è il salvacondotto europeo e stasera se la giocano Inter e Fiorentina: è la coppa Italia. 
Un trofeo che ha attraversato la storia del nostro calcio, che braccia di campioni mai dimenticati hanno alzato con fierezza, nel tripudio di tifosi d’ogni colore. Una coccarda tricolore che ha adornato maglie impettite, nel segno di un primato nazionale che profuma di successo e identità. 
Oggi porta il nome di un treno e in fondo è come le rotaie italiane: corre in lungo e in largo per il Paese, arrivando ovunque, dalla provincia alle metropoli. E fa felice tutti, in questo suo essere miscellanea tra nobiltà e volgo. 

La Juventus ne ha vinte 14 (la prima nel 1937), la detentrice è oggi l’Inter, ma la coppa nazionale ha suscitato speranze insperate e generato sogni dei più arditi, cucendo la coccarda tricolore su petti altrimenti mai impettiti. 
Una coppa vecchia cent’anni, ringiovanita, rimodellata, rivisitata più e più volte, nel tentativo di affrancarla dalla miope dimensione di coppetta, che coppetta lo è finché non la vinci.
La prima edizione del torneo si svolse nel 1922, e questa fu l'unica organizzata direttamente dalla Federcalcio, che affrontò così la crisi del calcio italiano di quegli anni, culminata con l’ammutinamento delle maggiori società, le quali, per dirla in soldoni, si fecero una lega tutta loro. 
Ritrovatasi con un torneo praticamente svuotato a livello tecnico, la Federcalcio decise di rimpolpare la stagione agonistica 1921-1922, proponendo, per l’appunto, una nuova competizione, a eliminazione diretta: fu così che il 2 aprile del 1922 si disputarono i primi incontri della neonata Coppa nazionale.
Aveva comunque una forma diversa da quella attuale, argentea e intarsiata, somigliava più all’insalatiera della Davis che al trofeo odierno; ad ogni modo, andò perduta durante il ventennio fascista. 
Quella prima competizione si concluse, il 16 Luglio, con la vittoria del Vado, società calcistica (fondata nel 1913) con sede nella città di Vado Ligure, in provincia di Savona, che milita attualmente in Serie D. La coppa Italia è il suo primo e unico titolo. In finale il Vado batté l'Udinese per 1-0 - ai tempi supplementari - grazie al gol di Felice Levratto (capocannoniere di quella primissima edizione fu, invece, Ernesto Bonino della Libertas Lucca, con sei reti). 
Per quella edizione d'esordio l'interesse del pubblico si rivelò quasi nullo, sicché essa subì un subitaneo stop. 

La competizione fu riproposta nell'annata 1926-1927. 120 partecipanti, tra cui la Cremonese, il Genoa e l’Andrea Doria, il Bologna, la Juve, l’Inter, il Milan, il Torino, la Pro Vercelli. L’edizione fu però interrotta ai sedicesimi di finale, per la mancanza di date disponibili. Spiccano un 14 a 0 inflitto dall’Inter all’Acciaierie e Ferriere Novi (l’11 Novembre del 1926), nonché il 15 a 0 della Juventus contro il Cento e il 17 a 2 dell’Alessandria sull’Amatori Bologna (entrambi il 6 Gennaio del '27).
Successivamente la coppa nazionale fu riorganizzata, a cadenza annuale, dalla stagione 1935-1936, modellata sulla falsa riga del torneo inglese. Il primo vincitore del rinnovato torneo fu il Torino, che in finale - gara secca - batté l'Alessandria per 5 reti a 1, nel neutro del Luigi Ferraris di Genova; era l'11 giugno 1936 e sugli spalti c’erano circa diecimila spettatori. Tra i marcatori di quella finale anche Pietro Buscaglia, capocannoniere del torneo con 8 gol. In virtù della vittoria, il Toro ebbe, da regolamento, un accesso assicurato alla Coppa dell'Europa Centrale (meglio conosciuta come Mitropa Cup), indipendentemente dal proprio piazzamento in campionato.
Fece scalpore, nell'edizione 1940-1941, il successo del Venezia, compagine lontana dal calcio di vertice, che, tuttavia, in quegli anni vantava in rosa giocatori destinati a divenire in breve tempo affermati campioni, su tutti Ezio Loik e Valentino Mazzola.
E a proposito di Mazzola, da ricordare, inoltre, l’edizione 42-43, in cui il Grande Torino vinse sia la coppa che il campionato ed era la prima volta che una squadra faceva il bis nazionale. 
Nel ‘43, poi, altro stop, per ovvie ragioni, per riprendere nel 1958, sotto l'egida della Lega Nazionale Professionisti. Quell’anno fu la Lazio ad aggiudicarsi la competizione, battendo in finale la Fiorentina: era il 4 novembre del 1958. Miglior marcatore di quell’edizione fu il laziale (non è un fake) Humberto Tozzi, brasiliano che col cantante non c’entra una acca… anzi, l’h c’è e non è un dettaglio. E fu la Lazio la prima ad utilizzare, l’anno successivo, la tradizionale coccarda tricolore. 
Come mai il 4 novembre? In vista del campionato del mondo 1958, in Svezia, le date della Serie A 57-58, sia come inizio che come conclusione, erano state anticipate di tre settimane; la nazionale italiana, però, non si era nel frattempo qualificata (eliminata a sorpresa dall'Irlanda del Nord). Dunque, per tenere impegnate le squadre e i giocatori, fu anticipato di qualche mese il "progetto-coppa" già avviato per la stagione 1958-1959 (annata, quest'ultima, in cui la competizione iniziò dopo le vacanze estive, quando ancora non erano giunte a conclusione le finali dell'edizione precedente). 

Nel torneo del 1959-1960 (vinto dalla Juventus, che realizzò in quella stagione il primo double della sua storia) debuttò il trofeo della Coppa Italia ancora oggi in uso, cioè in oro e decorato, alla base, da smalti tricolori che richiamano le tinte della bandiera nazionale.
Intanto, nel 1960-61 fece il suo esordio la Coppa delle Coppe, che divenne sostanzialmente il vero motivo che spingeva le squadre ad aggiudicarsi la coppa. 
Ed è proprio all’inizio dei favolosi anni sessanta che l’impresa del Vado venne ripetuta dal Napoli, unica squadra, oltre ai liguri, ad aggiudicarsi la Coppa Italia pur non militando nella massima serie. Era la stagione 61- 62. E a proposito di “favole”, da segnalare anche gli exploit del Palermo che, pur militando in serie B, negli anni 70 arrivò a disputare ben due finali. Le due finali perse: una contro il Bologna (23 Maggio 1974), finita ai rigori; e l’altra, contestatissima e di cui ancora oggi dalle mie parti si parla, persa per 2-1 contro la Juventus (il 20 giugno 1979).
Così come, negli anni novanta, si ebbe l'exploit di un’altra formazione cadetta, quello dell'Ancona finalista (perse contro la Sampdoria allenata da Eriksson): era la stagione 1993-1994.

Nella stagione 96-97 tocca a un’altra provinciale salire sul podio più alto: è il Vicenza di Guidolin, che segna l'ultimo trionfo d’una provinciale nella manifestazione. Nel Maggio del 1997 i biancorossi battono il Napoli nella doppia sfida finale. Maspero è il capocannoniere del torneo. 
E che dire del Parma? Altra provinciale, in quegli anni però di rango, il 14 Maggio del 1992 la squadra ducale, allenata da Nevio Scala e guidata in attacco dal capocannoniere Alessandro Melli (5 gol), batte la Juventus e si laurea campione per la prima volta nella sua storia.
A proposito di capocannonieri, il giocatore che in assoluto ha segnato più gol in Coppa Italia è Alessandro “Spillo” Altobelli, che ha messo la palla in rete 58 volte.

Nel 1999 viene abolita la Coppa delle coppe, di conseguenza la Coppa Italia diventa per molti una coppetta… sì, finché non la vinci!
Nel nuovo millennio - l'era della Champions League - diversi sono stati i tentativi di rendere più interessante la Coppa Italia, ma la verità è che tutti in fondo la giocano e tutti vogliono vincerla, anche le più grandi, se non altro per non macchiarsi, stagione dopo stagione, dell’onta da “zero tituli” di mourinhiana memoria. Per le squadre di media grandezza essa rappresenta, invece, una grande opportunità per una grande stagione. Come per la Fiorentina, che oggi sfida l’Inter per vincere la sua settima coppa e giocarsi, il prossimo anno, la Super coppa Italiana: altro trofeo (istituito nel 1988) che riempie d’orgoglio e le bacheche di chi lo vince.

Buona finale a tutti. 
E sarà una gran finale, perché se la Fiorentina vuol scrivere una pagina importante della sua storia, l’Inter di Inzaghi deve vincere, poiché vincere da quelle parti non è un lusso e neppure un’impresa, è un must.