Io, Christian.
È nuvolo su Copenaghen, ci sono diciassette gradi ma siamo nella media di questo periodo, ad agosto quando altrove fa molto caldo, magari arriviamo a ventidue, ventiquattro ma il clima qui non è quello di altre latitudini dove giocare in giugno o luglio è impegnativo. C’è una percentuale di umidità abbastanza bassa e il terreno del Parken Stadium è assolutamente perfetto, sarà una bellissima partita la prima del campionato europeo per la nostra nazionale, è quasi un derby i ragazzi della Finlandia sono arrivati con parecchio seguito, tutti quelli che si potevano ammettere seguendo le restrizioni.
Oggi gioco la mia partita numero centonove con la maglia della Danimarca, avevo compiuto diciotto anni da soli diciassette giorni la sera che ho messo la prima volta la maglia rossa in un’amichevole contro l’Austria.
Io, Simon e Kasper siamo i giocatori più rappresentativi di questa nazionale, probabilmente in questo europeo si aspettano tutti qualcosa in più da me, sono diventato da poco campione d’Italia con l’Inter ed ho abbattuto qualunque ostacolo con la mia forza silenziosa, con l’impegno, la dedizione ed il lavoro.
Il mister non mi “vedeva” non ho passato un buon inverno e a gennaio sarei voluto andare via ma non abbiamo trovato una collocazione e sono rimasto. È cambiato tutto il giorno che ho messo quella palla velenosa sopra la barriera del Milan in Coppa Italia, ma è cambiato tutto più per gli altri che per me. Io sono rimasto quello di prima.
Gentile, cordiale, silenziosamente sorridente. Serio e disponibile.
Io sono così, sono sempre stato così.

Quando avevo cinque anni ho iniziato a giocare nella squadretta della mia città, al Middelfart Boldklub. Di me il signor Claus Hansen, presidente del club, qualche anno fa disse ad un giornalista del “The Guardian” che da lì erano passati parecchi bambini, nessuno come me.  
“We have a lot of good kids but nobody like Christian: when he was small, everyone could see that he was special,” says Hansen, a jocular man with a ready laugh. “More than that, he was the guy who took care of all the others. He was the best player from the start but he’d never say it. Christian was, and still is, a good boy – nice, polite, friendly.”
…era il ragazzo che si occupava di tutti gli altri, è stato il miglio calciatore sin dall’inizio ma non lo avrebbe mai detto.

È vero, non sarò mai quella persona, quello che può dire di essere il migliore, sono troppo umile. Però si, oggi posso dirlo perché hanno imparato a conoscermi in tanti, di me potete dire senza paura che sono un bravo ragazzo, simpatico, educato, un buon amico.
Sono solo a due ore da casa mia, da Middelfart il mio paese, in tribuna ci sono Sabrina e mio papà Thomas. Lo stadio non è pieno, non può esserlo, ma è già molto più di quello che abbiamo avuto nell’ultimo anno e mezzo, sarà una bella festa, sarà una bella giornata.
Sì. Si aspettano tutti molto da me, i miei compagni, il CT, i miei tifosi. E io sono qui per loro e sto guidando le trame e gli attacchi alla porta finlandese con la solita eleganza, con la solita tecnica. I miei cross, i miei tiri li stanno tenendo in allerta ma si difendono con ordine, noi continuiamo ad attaccare.

Siamo quasi a fine primo tempo, la loro difesa libera l’area senza fronzoli, vado incontro a Mahele per raccogliere la sua rimessa, sento le gambe cedere, la vista si annebbia, non mi reggo in piedi crollo a faccia in giù sul terreno di gioco, la rimessa di Joakim mi colpisce su un ginocchio proprio mentre cado.
Lui per un attimo non capisce, poi si piega su di me e richiama l’attenzione di tutti, Simon è uno dei primi ad arrivare, mi gira su un fianco, fa in modo che non soffochi, ma in pochi secondi ci sono i soccorsi.
È sceso il silenzio sul Parken Stadium, non parla più nessuno, IO non sento più nessuno.
Simon ha chiesto a tutta la squadra di coprirmi, i medici mi stanno praticando il massaggio cardiaco, ma non mi riprendo, c’è un silenzio surreale, i miei compagni intorno a me sono quasi tutti rivolti dalla parte opposta, diversi di loro piangono, Simon guarda la scena incredulo è nel cordone con gli altri ma è attonito, anche Kasper è girato verso di me e non crede a quello che sta succedendo. I ragazzi della Finlandia sono un po’ più in là, diversi sono in ginocchio, le mani sul volto, sconvolti.

Sabrina è scesa dal suo posto, è una persona semplice non è molto nota e non le piace essere al centro dell’attenzione, lei ha un profilo social riservato ed è la fondatrice di un’organizzazione No profit che si occupa dei bambini e delle famiglie indigenti in Danimarca, ma queste sono cose che molti non sanno o che forse scopriranno oggi cercando chi è la ragazza che piange. No, non è una persona semplice, è una persona speciale, come me, siamo due persone normali, note, forse famose, ma normali e anche un po’ speciali.
Ora lei è qui sul campo a pochi metri da me, vestita come un tifoso qualunque con la mia maglia numero 10, i jeans sfrangiati ed i capelli sciolti, quasi in disordine. Simon e Kasper l’hanno vista arrivare e le sono corsi incontro, Simon la stringe forte mentre lei piange, piange e non capisce.
Non sembra che siano passati pochi minuti, questi attimi sono lunghissimi ma il dottor Kleinefeld nel frattempo ha deciso di usare il defibrillatore, sono stati necessari solo trenta secondi: “Sei tornato con noi? Sì, sono tornato con voi… dannazione, ho solo 29 anni...”.
Sono stati lunghissimi minuti di incertezza, per tutti quelli che erano allo stadio, per chi era davanti alla TV, molti telecronisti hanno scelto il silenzio, le agenzie di stampa, i TG hanno rilanciato la notizia che è si è diffusa in tutto il mondo in pochi minuti. Però ora sono sveglio e il fotogramma che hanno catturato mentre la mia squadra mi scortava fuori dallo stadio ha dato speranza a molti.

La partita è sospesa, non credo che importi a qualcuno se e quanto finirà, intanto tutto lo stadio scandisce il mio nome, i finlandesi urlano Christian, i danesi rispondono Eriksen. Siamo tutti sotto le stesse nuvole in questa giornata quasi estiva di Copenaghen, qualcuno con la maglia rossa, qualcuno con la maglia blu, ma alimentiamo la nostra speranza, fianco a fianco, urliamo un nome.
Insieme. Urliamo la nostra paura verso questo cielo con le nuvole.

So per certo che tutto il mondo del calcio, ma non solo il mondo del calcio, è rimasto con il fiato sospeso in attesa che arrivassero conferme sulla mia ripresa, io so di essere arrivato in ospedale cosciente, ma la notizia ufficiale è arrivata solo dopo un’ora, forse più.
E poi è ripartita la giostra, ho visto i compagni in videochiamata, li ho rassicurati, la UEFA ha fatto capire alla federazione che la partita andava terminata, è passato il messaggio che io volessi che loro tornassero in campo, il che è anche vero, ma loro non erano in condizioni di farlo lo si è visto chiaramente. Pohjanpalo ha segnato un gol storico per la Finlandia, è scattato gioioso verso l’angolo ma poi la sua esultanza si è spenta nella sua testa e anche nel suo cuore, davvero troppo festeggiare qui dentro oggi, perdonatemi è stato istintivo. E poi Simon ha chiesto il cambio, troppe emozioni è svuotato non può giocare, davvero. E ancora Hojbjerg la poteva rimettere in piedi ma è andato sul dischetto con le gambe molli, ha fatto fare bella figura al portiere finlandese ma, onestamente… a chi interessa?

Devo riflettere su quello che che pensavo all’inizio della partita, non è stata una festa, nemmeno una bella giornata ma una buona giornata sì, assolutamente, perché come ho detto al dottore in campo sono tornato con voi.
E poi sono passati i giorni, si sono susseguite le notizie, i bollettini e le illazioni, le ipotesi. E alla fine di tutto, degli esami e dei giorni passati in questo letto d’ospedale che è a trecento metri dal Parken Stadium e se non ci fossero gli alberi forse potrei anche vedere i miei compagni giocare, mi hanno detto che mi impianteranno un defibrillatore sottocute che mi salverà la vita se dovessi avere un’altra aritmia.

Oggi Simon ha scritto un messaggio ai tifosi, ha raccontato delle sue emozioni e dello shock che sarà per sempre parte di chi era lì con me quel giorno, giocheranno per me contro il Belgio, ma anche lui sa che difficilmente potrò vestire nuovamente la maglia rossa insieme a lui. Ancora non sappiamo se questo ICD dovrò tenerlo per sempre o solo temporaneamente, sicuro è che all’Inter non potrò giocare perché in Italia con questo coso sottopelle non mi daranno l’idoneità ed è un vero peccato proprio ora che mi ero ritagliato uno spazio, lo spazio che la mia gentilezza e le mie capacità meritano, ma che non avrei reclamato con nessuno e in nessun modo. Ma come ha ben scritto Simon “the only thing that is important is that Christian is okay!!”

Io, Salvatore.
Ho pensato tanto se fosse il caso di scrivere questa cosa, e anche se pubblicarla.
Quello che ho raccolto qui sono le mie emozioni, credo quelle di tanti che hanno vissuto in diretta momenti terribili di vera angoscia. L’ho scritto tutto in prima persona perché Christian Eriksen è una persona normale, un uomo comune, un antidivo che rappresenta chiunque ami il calcio, lo sport, la vita.
E poteva tranquillamente essere la storia di uno qualunque come me, quella di Piermario Morosini o anche quella di Lorenzo Verna e molti, molti altri. Parte di quello che potete leggere nella prima parte è stato scritto piangendo, pensando alla terribile angoscia che può aver vissuto Sabrina, impotente con la sua maglia numero 10 a bordo di un campo di calcio che è stato la vita di suo marito e che poteva essere l’ultimo posto dove lo ha visto vivo.
Non metto mai canzoni e riferimenti musicali alle cose che scrivo, l’ultima ed unica volta che l’ho fatto un altro utente di questo blog mi ha gentilmente fatto notare che la canzone scelta non fosse pertinente. Oggi qui inserisco la canzone che ascoltavo sabato scorso quando, dopo aver lasciato la visione di Danimarca Finlandia dopo pochi minuti dall’inizio, mi sono diretto in auto presso lo spaccio ortofrutticolo vicino casa, questa musica suonava quando sono arrivato lì ed è ripartita quando sono risalito in auto per tornare a casa dopo aver letto, mentre ero in coda alla cassa, messaggi pieni di stupore, incredulità ed angoscia nel gruppo della mia squadra. Non potevo credere a quello che stavo leggendo e sono tornato subito a casa per seguirne gli sviluppi, per sperare, ho spento subito quella musica appena ripartito ma mi è rimasta in testa.

Standing now Calling all the people here to see the show Calling for my demons now to let me go I need something, give me something wonderful
I believe She won't take me somewhere I'm not supposed to be You can't steal the things that God has given me No more pain and no more shame and misery

You can't take me down

In questa storia però non c’è odio se non, forse, per la morte. Non parla esattamente di questo ma per me ora questo testo assume un significato particolare e… profetico, probabilmente mi sono solo lasciato trasportare e suggestionare dalle emozioni ma la interpreto come un grido di resistenza:

Sono in piedi adesso
Sto chiamando tutti qui per fargli vedere lo spettacolo
Chiamo i miei demoni per dirgli di lasciarmi andare
Ho bisogno di qualcosa, dammi qualcosa di meraviglioso

Credo
Che lei non mi porterà in un posto in cui non dovrei stare
Non puoi rubare le cose che Dio mi ha dato
Senza più dolore e senza più vergogna e sofferenza
Non puoi abbattermi
E no Christian, non ti ha abbattuto.
Non avrai la fortuna di altri calciatori di continuare fino a quarant’anni ma hai comunque avuto una gran bella carriera seppur troppo breve. In cuor mio spero davvero che tu possa tornare in campo, non ci credo ma la speranza è un’altra cosa, spesso alimenta le nostre passioni e le nostre giornate. E concludo dicendo che mi spiacerebbe molto se il calcio perdesse un personaggio come te che sei un professionista esemplare ed un bravo ragazzo, ci vorrebbero più personaggi come te e meno divi da copertina in questo mondo.
L’unica cosa che mi fa davvero felice è sapere che presto tornerai a casa con Sabrina e lì con voi ci saranno i tuoi figli, tutto sommato, Christian, sabato è stata una buona giornata.