Un sabato qualunque 
La voce sussurrata sul cuscino scivola leggera tra le coperte, è un po’ assonnata, il tono leggermente infastidito: “Nano non fare troppo casino, almeno stamattina lasciami dormire ancora un po’...”
Ci provo, non sempre ci riesco ma non faccio apposta.
Faccio più piano che posso, prendo al buio dal mio cassetto del calcio la divisa della partita, il Kway e i parastinchi, quindi una rapida verifica delle scarpe nella parte inferiore del borsone. Sono un dilettante, anzi ormai solamente un amatore, ognuno di noi si lava la divisa a casa e al campo si va senza cuffie da Dee Jay di Ibiza e gli occhialoni da sole, tantomeno in ciabatte con un discutibile borsello di LV sottobraccio. E non ci si può presentare, anche se molti ahimè lo fanno senza ritegno, con gli attrezzi del mestiere sporchi dall’allenamento perché è certo che non troveremo le scarpe lucide e pronte davanti al nostro posto negli spogliatoi.
Dettagli comunque.
Dove vive Momo ci sono problemi differenti e se mi paragono a lui penso proprio di non aver davvero nulla di cui lamentarmi.
Nessuno gli dice nulla se si alza o se esce, al massimo qualcuno si allarga ed occupa il posto che libera lui. Quasi sempre è buio e freddo, in quella stanza che occupano in cinque non c’è un cassetto del calcio, c’è la sua “valigia” che contiene i vestiti buoni e le sue poche cose, le scarpe da calcio sono nella grossa borsa della squadra. Ousmane ha storto il naso il giorno che è rientrato con quel borsone: “Momo qui siamo già stretti, se qui da tre anni lo sai anche tu che non abbiamo spazio per il superfluo…”.
Ma quella borsa era così grande così bella e colorata, nessuno gli aveva dato nulla gratis da quando è arrivato in Italia, e poi la tuta e tutto il resto… è stato così insolito e piacevole sentirsi, di nuovo, parte di qualcosa.
Sì Ousmane capirà un posto lo troviamo, ma la mia borsa è così bella.

Il nostro calcio, il mio, quello di Momo, quello di milioni di noi, è passione e sacrificio, la sera ci si allena dopo il lavoro, il campo dove gioca la mia squadra ad esempio è praticamente in piena campagna poco fuori Milano in un posto che in questi mesi terribili è diventato tristemente noto per i troppi morti di una RSA. In primavera, o a fine estate, dai campi coltivati nei dintorni arrivano tanti di quei moscerini che è difficile anche solo correre perché ti entrano in bocca, nel naso e negli occhi. In inverno invece le temperature sono poco clementi, parto da casa con due o tre gradi sopra lo zero e quando arrivo fuori dallo spogliatoio siamo sotto, ho i pensieri congelati anche solo a guardare il termometro dell’auto, qualche volta faccio fatica a scendere.

Anche la squadra di Momo gioca in un campo fuori Milano, non è campagna perché il campo è in uno di quei paesoni che iniziano dove la città finisce e ormai ne sono praticamente la continuazione. Il guaio è che li ci arrivano pochi mezzi pubblici e lui vive e lavora piuttosto lontano, se nessuno dei suoi compagni lo aspetta lungo il percorso gli tocca correre appena finito il turno di lavoro e passare dal treno all’autobus con un bel pezzo da fare a piedi.
Che faccia freddo o caldo, con la grossa borsa colorata sulle spalle, lui corre.
Qualche volta mi è capitato di pensare a quanto sarebbe stato bello potersi allenare la mattina, o il primo pomeriggio con la luce del giorno e la migliore temperatura possibile, piccoli pensieri futili.
Ma io sono sempre e solo stato un dilettante, eppure mi sento comunque un privilegiato, gioco da quasi 50 anni, mi sono divertito davvero tanto e, qualche giorno fa, ricordavo con i miei fratelli alcuni episodi di quando giocavamo nelle categorie minori e, al termine del campionato, si giocavano i tornei serali estivi, quelli con i premi che attiravano giocatori anche dalle categorie dilettantistiche superiori. Era sfidante e davvero molto bello.
A volte si giocavano più partite nella stessa sera, ricordo un trasferimento da un paese che si chiama Zeccone, in provincia di Pavia, ad un altro, Guinzano. Meno di 10 km e 5 minuti di auto, però fatti in tenuta da calcio e con le scarpe a 13 ancora indosso, indimenticabile. Il rischio era essere fermato dai carabinieri, vai a spiegare che avevo i piedi abbastanza sensibili per guidare con le Copa Mundial… scherzo ovviamente, so che non si può fare.
Momo ha dei ricordi come i miei ma non giocava i tornei serali, si giocava quando e dove si poteva, il campo era sempre arido e polveroso, le righe non c’erano, il pallone era spesso sgonfio o pieno di bozzi e le porte anche un po’ sbilenche, le reti erano un sogno. Ma volevano comunque giocare tutti, sempre. Anche senza le Copa Mundial, anzi, anche senza le scarpe.
Ancora oggi, con i miei 50 anni suonati, non vedo l’ora che sia sabato. Momo è molto più giovane di me e, finora, questa passione è l’unica cosa che ci accomuna davvero. Tutti e due non vediamo l’ora di andare alla partita, la nostra partita.
Vittuone, Desio, Trezzano, Paderno. Ovunque sia.
Ogni due settimane una nuova trasferta, i campi sono più o meno sempre gli stessi, gli avversari anche, ormai ci si conosce quasi tutti almeno di vista, poi puoi cambiare categoria, magari un anno sei su e quello dopo giù, ma il circuito delle squadre non cambia molto. Però, niente è come il sabato della partita in casa e per me è sempre stato così, ovunque abbia giocato ed in qualunque categoria, la partita in casa ha un rituale unico. In “casa” il posto nello spogliatoio è sempre lo stesso, anche senza il tuo nome sull’armadietto o sull’appendino, tempo fa un mio compagno ha fatto delle etichette, ma a volte siamo così tanti che tra ritardi ed assenze è difficile rispettare le posizioni.
È strano e allo stesso tempo bello sentire il silenzio che si impadronisce pian piano dello spogliatoio.
Il sabato mattina, a parte i due o tre che lavorano e si ritagliano il tempo per giocare arrivando trafelati appena in tempo per entrare in distinta, gli altri sono tutti mezzi addormentati, poi però inizia a prevalere l’adrenalina per l’approssimarsi della partita, almeno fino a quando il Mister non alza la voce e chiede di farla finita ed iniziare a prepararsi, fisicamente e mentalmente. Ogni volta, ogni singola volta, è una grande emozione anche se quando esci dal tunnel sotto la tribuna e guardi su non c’è nessuno, anche se il campo non è circondato da spalti ma da alberi e campagna, anche se spesso quel campo non è propriamente come avresti sognato che fosse, anche se i palloni a volte sono duri, o troppo molli ed uno diverso dall’altro, anche se l’ avversario che entra in campo al tuo fianco magari non sembra in formissima ma di sicuro il suo livello di passione non è inferiore al tuo. O forse sì, ma è comunque sufficiente perché anche lui abbia svegliato qualcuno che voleva dormire e lasciato a casa figli ed altri impegni e sia li, come te, a sfidare il freddo o a patire il caldo, infreddolito o già sudato ancora prima di iniziare. Si va al centro del campo camminando fianco a fianco e si saluta un pubblico che non c’è, solo chi siede in panchina risponde al saluto ed è già abbastanza. Anzi, è molto di più di quanto Momo non abbia mai visto finché non è entrato in campo a fianco a te in giornate come quella di oggi.
E alla fine di tutto la partita inizia, man mano che sono passati gli anni ho sempre di più sentito la fatica e soprattutto allargarsi il divario tra quello che la mia testa pensa di poter fare e quello che le mie gambe, il mio fiato, mi consentono di realizzare.
Inevitabile, anzi... inesorabile, peccato.

Dicembre 2019
Stamattina giochiamo in un paese a metà strada tra Abbiategrasso e Magenta, da casa mia sono quasi cinquanta chilometri e il ritrovo al campo è un’ora prima della partita. Traffico, imprevisti, tocca uscire un po’ presto ma sono partito con un discreto anticipo ed arrivato al campo in perfetto orario come sempre, lo spogliatoio degli ospiti è un lago d’acqua e fango, non lo hanno pulito provvediamo da soli con il tira acqua.
Loro sono forti, molto forti, probabilmente troppo per noi che siamo appena stati promossi in questa categoria e, nonostante un inizio confortante, abbiamo inanellato una serie impressionante di sconfitte spesso immeritate, perdendo partite giocate alla pari dove abbiamo sbagliato gol incredibili per poi subirlo magari alla prima occasione, se non l’unica, dell’altra squadra. I nostri avversari sono primi per distacco nella classifica di un campionato che negli ultimi 5 anni hanno vinto 4 volte, difficile spiegarsi perché una squadra come questa, con una rosa molto ampia composta quasi esclusivamente da ragazzi piuttosto giovani, non sia iscritta ad una categoria FIGC ma ad un campionato amatori del CSI.
In casa sono a punteggio pieno, sulla carta siamo venuti a fare la vittima sacrificale di giornata e li separiamo da un ulteriore passo in avanti verso il quinto successo in sei anni. Qui, diversamente da tanti altri posti, hanno un seguito anche piuttosto numeroso, c’è persino gente che porta ogni sabato uno striscione, qualcuno che spende soldi suoi per accendere dei fumogeni. La tribuna è piccola, copre solo metà rettilineo dalla parte opposta allo spogliatoio ma è discretamente gremita.
Ce la giochiamo, c’è tanto agonismo ma finisce a reti inviolate, è un grosso risultato per noi, ne parleremo per giorni, ci dà fiducia. È il bello del calcio così lontano dalle superleghe, è il calcio degli appassionati e, come si diceva una volta, la palla è rotonda...

Marzo 2020
Sono passati tre mesi, oggi non gioco perché nel recupero infrasettimanale sono riuscito a prendere due ammonizioni nei dieci minuti finali e sono finito anzitempo sotto la doccia. Però sono comunque venuto in questo paese lungo il naviglio a seguire la squadra, all’andata li abbiamo battuti tre a zero, da non credere.
Poi però loro si sono ripresi e noi siamo precipitati.
Oltre me non c’è davvero nessuno sulla tribuna, sono qui da solo e l’arbitro ha appena fischiato l’inizio, vedo uno dei miei avversari salire rapidamente i gradoni, condivide il mio stesso destino anche lui era sul comunicato ufficiale di questa settimana alla voce “squalificati per una giornata”.
Ciao, sei espulso anche tu o sei infortunato?
È un ragazzo del Senegal si chiama Mohamadou, qui per tutti è Momo vive da anni in Italia e lavora in un’azienda in Brianza, lo ricordo perfettamente in campo, giocatore fisico molto davvero ostico da affrontare, è sempre molto deciso.
Momo non ha l’auto quindi questa mattina ha preso un treno e due autobus per venire a sostenere i suoi compagni, penso non ci sia niente da aggiungere la sua passione supera sicuramente anche la mia.
I miei compagni giocano una buona partita creando anche le occasioni per vincerla, falliamo qualche gol e, come al solito, rischiamo di prenderne uno assurdo alla fine ma anche oggi finisce senza reti, un punto buono. Io e Momo abbiamo parlato tutto il tempo e ci siamo raffrontati su tutte le squadre del campionato, parla molto bene l’italiano, ma quello che mi sorprende di più è la sua conoscenza di tutti gli avversari più forti, di quale squadra sia più difficile affrontare in trasferta e le parole che ha per la mia squadra, anche lui è sorpreso di quanto male siamo messi quest’anno.
A fine partita mi raggiunge il mio amico Ale, lui è l’anima del nostro spogliatoio, mi vede parlare con Momo e viene a spararne un paio delle sue. Momo ride, non capisce tutto quello che dice ma capisce che è divertente, lo fa ridere parecchio e quando Ale va a fare la doccia mi guarda e mi dice: è forte lui... e ride, ride ancora.
Ciao Momo, alla prossima.

Maggio 2021
Quello che non potevo sapere è che il recupero infrasettimanale nel quale sono stato espulso sarebbe stata la mia ultima partita vera giocata.
Alla fine della scorsa estate sembrava che si potesse ripartire, abbiamo anche fatto una discreta preparazione allenandoci con intensità e continuità, purtroppo il nostro campionato è finito ancor prima di cominciare. C’era già il calendario, la prima giornata, ironia della sorte, sarebbe stata proprio dove avevamo finito, mi avrebbe fatto piacere rivedere Momo sul campo.
Purtroppo però, nella settimana che avrebbe preceduto l’inizio della nuova stagione, ci avevano comunicato la positività al Covid di alcuni dei i nostri avversari, la partita non si poteva disputare, da lì a qualche giorno sono saltate tutte.
Per me il lockdown è stato duro, la seconda ondata si è portata via un pezzo della mia vita e anche tanto del mio entusiasmo per le piccole cose belle, come quelle che ho scritto qui finora, per esempio.
Se tolgo dal conto l’irreparabile e resto sulle molte giornate tutte uguali che ognuno di noi ha vissuto in questo frangente posso essere abbastanza sicuro del fatto che per Momo sia stato anche più pesante che per me, forse lui ha avuto il Covid, forse non ha avuto modo di seguire le linee guida e lavarsi continuamente le mani, forse la stessa mascherina l’ha dovuta utilizzare più volte.

Incertezze, lavoro, la famiglia lontana, nessuno dei possibili diversivi che ho avuto io o tanti come me, fosse anche solo un bel libro. In casa hanno una TV collegata da un cavo dell’antenna che scorre lungo la facciata interna del palazzo, uno di loro è salito fin sul tetto e si è collegato al ripartitore del condominio facendo scendere il cavo lungo la parete, qualcuno dei condomini si è lamentato ma l’amministratore non ha avuto il cuore di farglielo togliere. La connessione Internet invece c’è solo davanti ai finestroni della palestra, però adesso la palestra è chiusa e hanno spento anche il WiFi. 
Ousmane è il proprietario della piccola casa dove lui vive, anzi tecnicamente non lo è più.
Lui era venuto qui per lavorare e aveva un posto fisso come magazziniere in una catena di discount poi però le spese sono diventate tante, gli aiuti da mandare ai bambini in Senegal e questi ragazzi che chiedono ospitalità spesso non possono dare molto, alcuni nulla. E la rata del mutuo, le bollette, tutto il resto.
Quella piccola casa adesso è all’asta, quando qualcuno deciderà di rilevarla dovranno andarsene. Tutti.
E allora Momo dovrà prendere le sue cose e la borsa della sua squadra, quella bella, grande e colorata che da più di un anno contiene la tuta, i parastinchi e le scarpe che non può più mettere per giocare. Ma ci sarà un giorno che potrà vestirsi di nuovo con i colori della sua squadra e correre, rimettersi a difendere la sua area di rigore.
Quel giorno si sentirà un pochino più leggero, quello che resta fuori dal campo non potrà fargli tanto male almeno per quelle due ore. Non importa se Ousmane è dovuto tornare in Senegal e se gli amici che dormivano in fianco a lui si sono sparpagliati, non importa se adesso gli tocca dormire nel centro accoglienza di via Corelli e la mattina camminare in fila indiana a lato della strada per arrivare alla fermata del bus.

Ora è solo tempo di giocare, è qui davanti a me e anche se adesso non sorride non mi fa paura vederlo corrermi incontro così veloce e deciso, in fondo siamo solo due bambini che corrono felici in questo grande campo e il resto è rimasto là fuori, ci penseremo domani.