Esistono nel nostro paese diversi tipi di Bar, la storia ne rimanda le radici a quella chi i romani chiamavano “taberna” anche se poi, per arrivare a qualcosa che nel nostro immaginario richiama questo tipo di locale, bisognerà attendere il diciottesimo secolo quando a Venezia, nel 1720, apre il Caffè Florian. Da “Caffè” si passò poi alle insegne “Bar” che qui da noi potrebbero avere come origine l’abbreviazione di “Banco A Ristoro” diventando, intorno al 1950, un vero e proprio simbolo italiano da associare al piacere del nostro espresso e degli aperitivi serali. Oggi i Bar sono sicuramente differenti da com’erano solo qualche decennio or sono, allora erano veri e propri luoghi di aggregazione prima ancora che attività commerciali, ora quel tipo di ritrovo è rimasto quasi solamente nelle piazze dei paesi, nelle grandi città magari se ne trovano solo in periferia o nell’hinterland mentre in centro, o nelle zone più “chic”, sono sempre più solo luoghi eleganti e “alla moda” dove si consuma, spesso in fretta e in piedi o dove ci si dà appuntamento per lavoro.
Non è sicuramente il caso del Bar di VxL che credo ricordi, a chi lo frequenta, ancora uno di quei posticini in un qualunque piccolo paese della penisola dove ancora oggi ci si trova più per passare il tempo che per consumare un caffè o un prosecco, certo anche il piacere della piccola consumazione non guasta, ma il gusto di andarci per passare un po’ di tempo in compagnia è sicuramente la leva che vi conduce chi lo frequenta abitualmente. E lì ognuno poi si porta pezzi di vita e, sarà che sto diventando “grande” e sempre più malinconico ma oggi anche io che al Bar ci sono andato davvero pochissimo in vita mia, avevo voglia di entrarci e raccontare questa storia ai miei “amici del Bar”.

Questo ampio preambolo per dire ai pochi amici che siederanno al mio tavolo e che leggeranno questa storia per intero solo grazie per il tempo che avrete dedicato ad “ascoltarmi”, ma ringrazio anche chi si sarà solo avvicinato per curiosità e magari allontanato a metà o anche solo dopo poche righe passando distrattamente intorno a questo tavolo. Più di tutti però desidero ringraziare il mio papà, l’unica persona che per una sua rigidità interiore non avrei mai trovato in un bar, per l’enorme passione per il calcio che ha trasmesso a me e ai miei fratelli e che aveva anche lui da ragazzo ma che non poté coltivare perché non gli fu permesso dal suo.
Ed ora vado in fondo al Bar, metto una moneta nel Jukebox e seleziono l’unica canzone possibile che possa accompagnare questa storia.

Ottobre 1979, forse 2021.
Ohi… ma dove sono? Questa non è la mia camera, non è il mio letto, non è nemmeno casa mia… e poi, chi è questa donna qui a fianco?
Ma... anche la mia faccia è differente, sento di avere dei peli sulla faccia, non è possibile, io ho dieci anni, vado in quinta elementare e oggi pomeriggio devo andare a giocare a pallone, che bello e che emozione ogni volta! Mi spiace perché papà non può mai venire alla mia partita, fa il “dirigente accompagnatore” della squadra del mio fratellino più piccolo, mamma invece è sempre al seguito della squadra del mio secondo fratello, io di solito vengo affidato ad uno degli altri genitori della mia squadra, papà è molto attento su questa cosa e si raccomanda tanto che mi portino al campo e mi riportino indietro, però lui non viene mai a vedermi perché gli orari coincidono con quelli della partita di mio fratello, peccato. So che è stata la società per la quale giochiamo tutti e tre ad avergli chiesto di accompagnare i più piccoli e per mamma non so perché segua sempre la squadra dell’altro fratello, forse perché quando loro due hanno iniziato io ero ancora in carico ai Boy-scout e, tutto sommato, è meglio così perché mamma è un vero vulcano ed oggi che sono solo un bambino non mi rendo conto di quanto lei sia importante con la sua stravagante allegria ed il suo tifo incessante, vedo solo l’eccesso così come non comprende Giuseppe, con suo papà che urla “abbitro”, e non ci riesce nemmeno Fabio con il suo che sembra Mastro Ciliegia della favola di Pinocchio col naso rosso. Tutti noi, forse, proviamo un pochino di disagio per questi genitori un po’ fuori dagli schemi ma tra qualche anno realizzeremo che erano grandi risorse per la nostra gioventù e per l’ambiente in cui siamo cresciuti. Uffa però…ora che sono anche io qui a giocare in un certo senso sono sempre solo, ma non importa, per me l’importante è giocare.
Cioè, intendo che lo sarebbe.
E’ successo che appena sono arrivato qui il “Mister” della mia categoria se n’è andato, ha cambiato società portandosi via quasi tutti i bambini che c’erano, al suo posto è arrivato uno piuttosto “deciso e molto diretto” nei modi che ha selezionato un grosso numero di bambini, siamo davvero tanti e ho sentito che lui vuole creare un gruppo che sia competitivo, ho anche capito quasi subito che non avrei fatto parte di quel gruppo, ha detto a papà che sono troppo piccolo e minuto, mi ha definito “un giocatorino da salotto”, probabilmente pensa che sia un cane… un carlino o un bassotto magari, speriamo non mi lanci un biscotto al posto della palla! Ha anche fatto arrivare dei bambini nuovi da altre zone, è arrivato un gruppo dal Gratosoglio, un paio dalla Barona e altri due dal quartiere di Fatima in fondo a via Ripamonti e poi c’è questo ragazzino di un paese appena fuori città che è velocissimo. Alla fine, ha comunque deciso di non “tagliare” quelli che non ritiene all’altezza ed ha fatto questa squadra B che ha affidato ad un altro mister, uno che è totalmente differente da lui è che non sembra nemmeno troppo capace, oltretutto ha pure il figlio in squadra, mah, speriamo bene…
Noi della squadra B comunque giochiamo un campionato di livello più basso, quelli che lui ha “scelto” invece hanno un girone con le migliori squadre di Milano, ci sono l’Aldini, il Bariviera Fadini, l’Half, la Macallesi, la Milanesee fuori classifica c’è anche l’Inter. Da noi ci sono squadre…diciamo più deboli, e questo allenatore che ho io, né deciso né diretto ma nemmeno tanto capace, a volte non mi fa giocare nemmeno nella squadra B, al mio posto spesso e volentieri gioca suo figlio che, volendo osservare i criteri comuni che si applicano ai giocatorini da salotto è anche più basso di me e non è nemmeno bravo come me. Pazienza, che devo fare, magari sono io che mi sento più bravo di quanto in realtà sia veramente.
Devo dire che alla fine i risultati hanno comunque dato ragione al Mister “deciso e molto diretto” che mi ha scartato, non per quanto riguarda me direttamente, insomma, ma per i risultati della squadra che ha costruito. Ricordo una domenica mattina in cui la squadra A giocava contro l’Inter che, come già ricordato, era fuori classifica anche perché le vinceva tutte, sempre. Beh da non credere, il ragazzino che viene da fuori Milano ad un certo punto si è infilato in velocità in mezzo alla difesa dell’Inter e con un tocco furbo di punta l’ha messa dentro, battuta la squadra che è fuori classifica per manifesta superiorità, uno a zero per noi, cioè... per loro, i ragazzini della squadra A, io ero lì solo per caso e ho avuto a lungo il sospetto di essere riuscito a sedermi in panchina quel giorno perché lo avesse chiesto mio papà anche se lui ha sempre negato, però ricordo di essere stato parecchio a disagio quel giorno, io non facevo parte di quella squadra mi sentivo totalmente fuori luogo ad essere lì.

Oggi, dopo tanti anni conservo un buon ricordo di quella giornata, qualche volta i genitori fanno cose che i figli non comprendono, quello che conta è il sentimento che c’è alla base di queste cose e per te fu l’occasione di farmi un regalo caro papà, di farmi sentire “all’altezza” degli altri e sebbene questa cosa quel giorno mi creò un po’ di disagio oggi mi rendo conto che vedermi sempre escluso faceva soffrire anche te e vorrei mandarti un bacio dopo più di quarant’anni sperando ti arrivi ovunque tu sia ora, dentro quel grazie di tutto che ti ho sussurrato nell’orecchio nel momento in cui volavi via troppo presto e per sempre ci sono tutte queste cose, la passione che ci hai trasmesso per questo meraviglioso gioco e il grande sostegno che hai dato a tutti e tre nei nostri anni in giro per i campi della Lombardia, oltre al rispetto per gli altri e a tutte le cose buone che ci hai insegnato e che ci hanno permesso di diventare le persone che siamo, io ed i miei fratelli.
Per tanto tempo non è cambiato più nulla e man mano che passavano gli anni sono sempre stato troppo “piccino” per giocare con la squadra più forte e a volte anche per la più debole, perché quelli erano gli anni in cui il nostro calcio è cambiato, anzi, quella rivoluzione era già cominciata da un po’. Ricordo un ragazzino della nostra zona che giocava con la squadra di mio fratello, era davvero alto e forte fisicamente, una volta alle scuole medie siamo rimasti chiusi in bagno, io e lui che era una classe indietro la mia essendo un anno più piccolo, quindi lui è uscito dalla finestra in alto che sarà stata a più di due metri di altezza sollevandosi sulle braccia e tirando su anche me subito dopo, avevamo dodici e tredici anni, davvero impressionante! Beh, lui è arrivato a giocare in serie A, non una carriera indimenticabile per come la vedo io, ha giocato anche all’estero in una squadra molto famosa, eppure, ricordo quanto fosse rigido e davvero poco “tecnico” con la palla tra i piedi ma era devastante sulla corsa e sulla progressione, visto insieme ai ragazzini della nostra età era palesemente più alto e grosso di tutti. E in qualche modo, quasi tutti i ragazzi che giocavano con me avevano caratteristiche fisiche maggiori delle mie, magari non il ragazzino che veniva da fuori che, seppur un po’ più alto di me, era comunque abbastanza piccolino ma velocissimo e alla fine lo prese una gloriosa società di serie A dove però non giocò mai, barcamenandosi tra pochissime presenze in B e tanti anni di serie C. Lui tecnicamente era molto più bravo e dotato del “bestione” ma come detto in serie A non ci è arrivato mai, misteri del calcio italiano…
Ora però mi devo ripetere, il mister “deciso e molto diretto” comunque aveva ragione, alla fine la sua squadra fu campione provinciale e si piazzò bene anche nelle classifiche regionali, se mi guardo indietro mi rendo conto che ha insegnato davvero tanto anche a me, e se ancora oggi conservo una buona tecnica di base lo devo sicuramente a lui. Un giorno durante un allenamento mi tirò una palla da stoppare di petto e la presi sul mento, il suo unico commento mentre mi lamentavo per il dolore fu: se stai più attento e fai due passi indietro mentre arriva non succede. E basta.
Non ho mai più sbagliato uno stop di petto.
E non ho nemmeno mai mollato, la mia passione cresceva anno dopo anno e resisteva alle delusioni e alle panchine, l’ultimo anno che restai nella società dove sono cresciuto avrei dovuto giocare nella categoria “cadetti”. Allora, rispetto ad oggi, c’erano i “primi calci”, poi i “pulcini”, i “debuttanti”, gli “esordienti”, i “cadetti” e poi si passava a “giovanissimi” ed “allievi” che potevano essere anche regionali a seconda del blasone della società e della categoria in cui militava la prima squadra. Invece di giocare con i miei coetanei però, mi spedirono con i “giovanissimi regionali”, avrei voluto ridere perché non era davvero il caso di piangere.

Hey… scusatemi, sono quiiiii! Sono quello piccolo con la massa di capelli ricci in testa.
Fatemi capire, sono anni che non gioco, che vado in giro per Milano in panchina perché sono piccolo e adesso mi mettete nella rosa di una squadra di gente che ha un anno più di me in un campionato con dentro Monza, Lecco, Legnano, Abbiategrasso, ma che senso ha? Forse l’alternativa era semplicemente scartarmi… Ovviamente il mister dei giovanissimi non mi faceva mai giocare, per me era già una grossa sofferenza allenarmi con una squadra di gente più grande che non conoscevo, avevo perso tutti i miei amici oltre che la fiducia, ma non la voglia, non la passione, quelle mai! Ricordo che l’ultima volta che sono andato a scaldare la panchina con quella squadra, con quella maglia, siamo andati a Bizzarone in provincia di Como, quasi in Svizzera. Un’altra panchina a guardare la squadra perdere e ad aspettare di essere messo in campo anche solo dieci minuti, invano.
Mister, da questa settimana non verrò più.
Come, perché? Guarda che nel girone di ritorno ho intenzione di far giocare tutti, non andare via ora.
No, ho deciso, sono piccolo, forse anche troppo fragile ma questo non è più il mio posto, io amo questo gioco ma voglio solo giocare, non voglio passare la domenica in auto o in pullman insieme a degli sconosciuti per poi stare in panchina a vedere altri ragazzi che giocano, non più.

Papà non era contentissimo, lasciare la società ed un campionato F.I.G.C. per andare a giocare nel C.S.I. con la squadretta dell’oratorio non gli sembrava una grande scelta e forse anche solo il modo per smettere totalmente di giocare abbastanza presto, quindi provammo con un’altra società ma non mi ambientai e alla fine mi disse che se era quello che desideravo andava bene anche per lui. Così, mentre i miei fratelli giocavano i campionati più belli e competitivi per un ragazzino della nostra età, i giovanissimi e gli allievi regionali, io mi barcamenavo nei campi polverosi degli oratori milanesi giocando “a sette” insieme ai miei amici di infanzia. Oggi posso dire con certezza che è stata un’esperienza meravigliosa, umanamente e in qualche modo anche calcisticamente! Certo, nessuno sarebbe mai venuto a vedermi giocare la partita del “dopo-Santa-Messa” in oratorio, ma era comunque bellissimo giocare lì, un’esperienza che mi ha cambiato come persona e anche come giovane “calciatore”.

Una domenica mattina del 1985, finita la loro partita nel campionato regionale papà venne in oratorio a vedermi con il mio fratellino e con il Mister della sua squadra, un marchigiano biondo baffuto ed arruffato che insegnava educazione fisica e sognava di scappare in Brasile perché gli avevano detto che le brasiliane impazzivano per gli italiani biondi... di calcio comunque sembrava capirne visti i risultati della sua squadra e a fine partita, mentre salutavo papà felice di vederlo lì, quest’uomo mi disse serio: sono rimasto impressionato, nessuno di voi ha paura, siete tutti decisissimi!
Ecco, non ero cresciuto molto, ero ancora piccolo rispetto agli altri, tuttavia giocando nei campetti polverosi e spesso disastrati degli oratori ero diventato un giocatorino da salotto diverso, forse mi ero addirittura spostato in corridoio in direzione della porta, avevo acquisito qualcosa che, a dispetto della statura, mi avrebbe permesso qualche anno addietro di competere con i bambini che il mister aveva raccolto in varie società del sud di Milano, ormai ero in ritardo su tutti ma forse no, ero passato da dove dovevo necessariamente passare ed oggi ricordo con enorme piacere quei tre anni con la maglia della squadra dell’oratorio.
Il tempo di tornare nei campionati F.I.G.C. era però maturo, la squadra Juniores della mia vecchia società aveva una rosa abbastanza ridotta e papà, stavolta si felicissimo, mi aiutò a rientrare, non avevo mollato! Anche quella successiva fu un’annata bellissima poiché si era creato un gruppo meraviglioso ancor prima di amici piuttosto che di giovani calciatori. Ricordo che a fine stagione giocammo contro i pari età di una società che aveva la prima squadra in serie C e li pressammo così alti e con un’intensità tale che non riuscirono mai a passare la metà campo per tutto il primo tempo, vincemmo tre a zero, per me fu una grandissima soddisfazione giocare quella partita.

Ne sono seguire molte altre, tantissime stagioni sempre e solo da dilettante nelle quali ho avuto la fortuna di giocare parecchie partite tra promozione, prima e seconda categoria, davvero molte sempre dando il centodieci per cento su ogni campo ed in ogni stagione guadagnandomi spesso e volentieri una maglia da titolare in quasi tutti i posti dove sia finito a giocare che fosse a Milano o in un paesino della provincia dove ai tempi non si vedevano di buon occhio i giocatori che non erano del posto. Qualche settimana fa il mio attuale Mister a fine primo tempo ha detto ai due ragazzi che mi giocano a fianco di approfittare della mia esperienza: “avete la fortuna di giocare insieme ad uno che avrà fatto settecento partite, sfruttatela” …mister, sono sicuro che hai sbagliato per difetto, dai miei conti ne mancheranno almeno quattrocento, minuto più, minuto meno.
Nel frattempo, metà dei bambini che erano arrivati quando ero piccolo non giocavano più, chi per un motivo e chi per un altro. Uno l’ho incontrato qualche giorno fa, diversi li ho incrociati negli anni, invecchiati e magari un pochino “arrotondati”, nessuno di loro praticamente gioca più a niente, erano tutti bambini più dotati di me, fisicamente parlando, qualcuno era anche bravino ma a vent’anni la metà di loro non giocava già più a nessun livello e forse la loro passione era evaporata insieme alla competitività che gli era stata richiesta quando eravamo piccoli, qualcuno è rimasto sui campi e ha giocato qualche anno ancora, niente di più, e frequentando un campionato dove possono giocare anche quelli “grandi” come me, quelli che hanno la mia età non sono nemmeno così tanti, devo dire.
Ed io invece, quando mi sono svegliato stamattina, mi sono ricordato che è arrivato di nuovo quel momento, avevo di nuovo dieci anni ed ero nella mia cameretta pregustando il momento in cui sarei andato a giocare con la squadra “Debuttanti B”, poi quello in cui ero in qualche panchina ma avevo comunque preparato la borsa e lucidato le scarpe come faccio ormai da oltre quaranta anni, e poi di nuovo con la mia squadretta dell’oratorio.
Dieci anni!
In realtà ne sono passati venti, trenta, quaranta, e negli ultimi due sono passati tanti mesi, troppi, tutti uguali.
E se mi guardo indietro oggi sono successe così tante cose che mi sembra impossibile, provo quasi vergogna a raccontare queste piccole emozioni da bambino se solo penso ai dolorosissimi giorni vissuti da quando è iniziata questa terribile situazione che in fondo, seppur migliorata, ancora stiamo in qualche modo vivendo. È cambiata la mia vita, quella delle persone che vivono con me, della mia famiglia, è cambiata per tante persone e per tante famiglie, ma adesso è necessario guardare avanti, non ci sono troppe alternative.

Dopo quasi due anni ho finalmente ripreso a soddisfare la passione che mi porto dietro da sempre, una di quelle piccole cose che ancora mi fanno sentire vivo, ma soprattutto bene. Da quasi due mesi ho ripreso ad allenarmi con continuità e venti giorni fa ho di nuovo giocato una partita vera, solo un’amichevole in realtà ma vera, sul nostro meraviglioso campo in erba reso umido e quasi scivoloso dalla serata di fine settembre della campagna lombarda, la palla scivolava veloce ed è stato davvero bello essere lì, fare l’usuale riscaldamento con i miei compagni e poi disporsi sul campo come pedine sulla scacchiera, passare quei pochi istanti prima dell’inizio a dirci le solite cose “facciamo girare la palla…aiutiamoci..”, sì le solite cose. Ho ripensato sorridendo a “Febbre a 90”, un film iconico che parla della passione sfrenata per il calcio, ad un certo punto la fidanzata del protagonista gli chiede come mai sia così pazzo per l’Arsenal, la risposta per uno come me è tanto semplice quanto scontata: “...perché è l’unica cosa che è rimasta uguale a quando ero bambino...”.
Questo no, non è cambiato.
Già, quando sabato mi sono svegliato mi è sembrato strano ritrovarmi a casa mia di fianco a mia moglie perché lì si è risvegliato il bambino del 1979, quello che scalpitava per andare al campo, e con la stessa emozione mi sono preparato con due ore di anticipo per una partita che sarebbe iniziata solo alle 14.30. Quando sono arrivato al campo ho visto negli occhi dei miei compagni che era così per tutti, giovani e meno giovani, sabato siamo andati ad una partita di amatori in venti con altri due infortunati al seguito in tribuna, ne avevamo voglia tutti, ne avevamo bisogno tutti! Ed è stato strano fare la “chiama” con le mascherine (ovviamente abbassandola al nostro turno), è stato strano non entrare sul campo fianco a fianco agli avversari ma poi, quando l’arbitro ha fischiato l’inizio, è tornato tutto come prima, come ad ottobre del 1979.
E allora, alla prima occasione con la palla ferma, mi sono trovato in mezzo al campo con un avversario che, ironia della sorte, aveva il mio stesso numero sulla maglia e gli ho detto: “io oggi ho dieci anni, e tu?”  Lui mi ha guardato stralunato, non aveva capito e mi ha chiesto quanti ne avessi in realtà, gli ho detto che non era importante ma che mi sentivo esattamente come quaranta anni fa. Allora ha capito e mi ha detto ridendo: “ah sì, anche io…oggi ne ho undici!”
Ecco, mi trovo di nuovo a giocare con quelli più grandi, dev’essere il mio destino!
Ciao “papuzzide” e grazie per la nostra gioventù!