C’è un antico proverbio cinese che recita più o meno così: “Quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono dei ripari, altri costruiscono dei mulini a vento”.

Il cambiamento è uno di quegli argomenti dei quali puoi sentire parlare uno psicologo o uno scrittore in libri, pubblicazioni così come autori di cinema. Cambiare è un obiettivo valido ed attuale per molti in qualunque ambito e contesto, ma per cambiare ci vuole coraggio perché si sa, niente fa più paura delle cose che non conosciamo. Qui però restringiamo il discorso ad ambito più semplice e meno serio degli altri menzionati, stiamo solo parlando di calcio, certamente il più serio tra gli argomenti meno seri, e l’obiettivo nello specifico è la nazionale.
Mi sono già espresso a più riprese in merito, sono uno strenuo sostenitore dell’attuale CT per il lavoro che ha fatto e per gli enormi risultati ottenuti fin qui nei suoi anni con gli azzurri, è arrivato dopo un dolorosissimo fallimento e ha mancato, durante questa sua gestione, solo l’accesso alla final four della precedente Nations League dopodiché, superfluo ricordarlo, trentasette risultati utili consecutivi, una bellissima vittoria all’europeo, ma soprattutto una ritrovata credibilità a livello internazionale, la risalita nel ranking FIFA, una squadra che gioca un bel calcio e un gruppo che sembra una squadra di club, un gruppo di amici.
Detrattori? tanti, sempre. Risultati? Tanti anche quelli, ottimi e sotto gli occhi di tutti.
Ora però credo sia arrivato il momento di cambiare, quantomeno marcia ma non solo, andrebbe attuata una vera e propria rivoluzione, calcistica, culturale e sportiva.
Onestamente non credo, ed osservando i fatti non mi sembra assolutamente che Mancini non abbia il coraggio di cambiare. Ricordo nelle sue prime convocazioni nomi che mai si erano visti circolare nel “calcio che conta” qui in Italia e figuriamoci nel giro azzurro. Cistana, Piccini, Grifo… senza contarne altri che galleggiano da anni in serie A ma che mai avevano fatto parte del giro azzurro, mi viene in mente Baselli, in qualche modo un cambiamento lui lo ha già attuato.

Adesso però il coraggio non può più essere solo un suo obiettivo, deve essere totale, trasversale, è un concetto che ho già ripetuto diverse volte, bisogna rifondare il nostro movimento calcistico, ma vanno anche messe le fondamenta per ricostruire una cultura sportiva che si è palesemente persa.
Non sarei voluto tornare sugli stessi commenti di tutti, solo su questo blog gli articoli sui fischi a Donnarumma non si contano, ma mi è necessario per inquadrare il discorso e mi spiace davvero tanto perché alla fine, piuttosto che le atletiche gesta degli attori in campo, quello che resta e che più di tutto risalta verso chi non sa di calcio o che osserva con occhio critico sono i fischi al nostro portiere e soprattutto all’inno spagnolo. Detto che, anche fossi stato un tifoso milanista non sarei andato a vedere la nazionale campione d’Europa allo stadio per fischiare il numero uno azzurro e che la voglia di rivalsa dei tifosi rossoneri si poteva conservare per la prima visita in maglia parigina, quello che più mi amareggia è stato sentire lo stadio fischiare i ragazzi spagnoli ancor prima che entrassero in campo, già appena arrivati nel tunnel, proiettati sul maxischermo, bordate di fischi.

Ma che cultura sportiva c’è in questo paese dentro gli stadi di calcio? Fischi ai ragazzi spagnoli su un tabellone, fischi alla marcia reale spagnola, fischi al portiere della nazionale, ma non è meglio stare a casa? Queste persone che erano a San Siro, lo sanno che lo stadio che li ospitava non è casa loro? Non è la casa del Milan o dell’Inter non siate assurdi, ci sono le famiglie, le donne e gli uomini che non seguono i vostri colori arrivati festosi con i loro bambini, il portiere della nazionale lo fischiate quando gioca contro la vostra squadra non quando giocano gli azzurri e ci sono altre persone che sono lì per sostenere la nazionale, davvero, quella non è un porto franco anche se pensate di sì, il dissenso lo esprimete in un altro momento quando siete tra di voi e tutti dalla stessa parte, d’altro canto se la nazionale, come spesso ripetono alcuni “tifosi” delle squadre di serie A, non vi interessa e crea solo fastidiose interruzioni che senso ha andare allo stadio a vederla?
Ma questa è solamente la punta dell’iceberg sotto la quale galleggiano, in mezzo ad un’acqua piuttosto torbida e sgradevole i cori di Udine verso i tifosi napoletani, le bestemmie e le offese del personaggio di Torino a Maignan, i cori inqualificabili dei sostenitori bergamaschi verso Vlaovic, quelli del pubblico viola verso Koulibaly… notare che non ho usato nemmeno una volta la parola tifosi. Questo è il livello che abbiamo come appassionati di calcio in Italia? Che dispiacere signori miei!
Va fatto qualcosa e va fatto possibilmente anche in fretta, ben vengano le esclusioni a vita dallo stadio dei personaggi di Torino e di Firenze già identificati da Juve e Fiorentina, ma qui è necessario insegnare la cultura sportiva a tutti, ai piccoli soprattutto perché certi “grandi” ormai non la imparano più e a queste persone va tolta sul serio e per sempre la possibilità di andare allo stadio a dare il cattivo esempio, se un bimbo va a vedere la nazionale e spera di ricordare per sempre il momento in cui ha cantato per la prima volta l’inno di Mameli, perché dovrà anche ricordare i fischi a quello spagnolo?

Quindi, tornando al calcio analizziamo quello che il campo ha mostrato in maniera lampante ed incontrovertibile. Il campo ha detto, una volta di più, che Luis Enrique ha fatto davvero un gran lavoro ed in poco tempo, ma soprattutto che lui ha avuto il coraggio di cambiare tutto, con forza.
In Spagna, per usare un eufemismo, si è un pochino storto il naso per la totale mancanza di calciatori del Real nella rosa della Roja e, prima dell’impegno di Nations League, qualcuno, ma forse più qui da noi che in patria, ha evidenziato la mancata convocazione di Fabian Ruiz e di Brahim Diaz nonostante le ottime prestazioni nell’attuale serie A con Napoli e Milan.
Eppure, le piccole furie rosse alle quali si è affidato Luis Enrique sono entrate sul campo di San Siro con la sfrontatezza tipica della gioventù e hanno macinato calcio nella maniera a loro più congeniale, la solita interminabile rete di passaggi ma non fine a sé stessa visto che, ad un certo punto e dopo nemmeno tanto dall’inizio, la zampata è arrivata e ci ha messo sotto.
Ecco, si era già visto a Wembley lo scorso giugno, questa squadra zeppa di ragazzini semi sconosciuti aveva fatto soffrire i futuri campioni d’Europa, per la prima volta da tanto a questa parte la squadra di Mancini non sembrava in grado di comandare il gioco ed essere globalmente superiore all’avversario, non c’è vergogna in questo, ognuno deve usare le armi che ha ed in quella partita, nonostante il loro maggior possesso, a conti fatti non avevano concluso tantissimo in porta, giocato meglio si, sicuramente, ma sul campo il pareggio era risultato equo quanto ad occasioni.
Personalmente attendevo questa, per i più inutile, partita come la prova del nove, come una grossa prova di maturità della nostra nazionale, prova che è stata fallita non solo per tutti i fattori noti già elencati come la loro freschezza, le incertezze del numero uno azzurro fischiato ad ogni palla gravitata dalle sue parti o per le ingenuità comportamentali del capitano di serata Bonucci. È emersa, in tutta la sua evidenza, la necessità di un cambiamento, probabilmente radicale come quello che hanno operato ormai da alcuni anni i tedeschi, i francesi ancora prima, e che stanno seguendo anche gli spagnoli, anzi, gli spagnoli più di tutti.
Nella serata di San Siro l’ex allenatore della Roma ha messo in campo tale Gavi, all’anagrafe di Los Palacios y Villafranca registrato nell’agosto del 2004 come Pablo Martín Páez Gavira, diciassette anni e qualche decina di giorni sulle spalle, un numero di presenze nella Liga che si contano sulle dita di una mano e nemmeno tutte per intero, questo ragazzo ha giocato al cospetto di campioni affermati e mostri sacri del calcio continentale con la personalità di un calciatore affermato mostrando grandissime qualità tecniche.
Lui è l’immagine di chi ha avuto il coraggio di cambiare, il simbolo di una squadra giovanissima che è venuta in casa dei campioni d’Europa a comandare il gioco e a vincere una partita molto oltre quello che ha detto il risultato finale. Ci sono infatti dati piuttosto incontrovertibili e, se è pur vero che dopo essere passati in svantaggio Insigne ha avuto un’occasione clamorosa per pareggiare, fallendola, l’ingenua e colpevole espulsione di Bonucci ha solamente allargato il già evidente divario che il palleggio sul campo stava ampiamente mostrando, testimoniato oltre l’evidenza visiva anche dal settantacinque per cento di possesso che le statistiche hanno consegnato agli archivi. E se a chiunque poteva sembrare già difficile rendersi pericolosi in parità numerica, in dieci è sembrato assolutamente impossibile, nel secondo tempo per gli azzurri la palla è letteralmente sparita, loro ci hanno graziato un paio di volte finendo per essere puniti da uno strappo di quello che allo stato attuale è di gran lunga il miglior giovane che il nostro movimento esprime.
Nel secondo tempo solamente un grande cuore ha tenuto a galla gli azzurri, la grande generosità di tutti i dieci azzurri rimasti che hanno palesemente “ballato” spostandosi da destra a sinistra seguendo il loro costante e martellante palleggio.
E qui ci sarebbe da aprire una parentesi su quello che hanno dato due dei più anziani in campo.
Se è vero ed abbastanza evidente che il mai troppo simpatico Busquets ha dettato come un perfetto metronomo i tempi di inserimento e di corsa della schiera di ragazzini che gli correvano intorno, peraltro risultando ancora una volta decisivo per l’espulsione di un avversario,  andrebbe anche ricordato e sottolineato,  che non appena il CT ha inserito sulla linea di difesa Giorgione Chiellini, l’esperto difensore si è rivelato ancora necessario a questa nazionale, dove non arriva la tecnica da sempre le nostre squadre hanno sopperito con generosità e grinta, negli ultimi dieci minuti onestamente sembrava fossimo in 12 anziché in 10.
Il punto è, che come per loro Busquets è necessario per equilibrare l’apporto di tutta la forza giovane sul campo, anche lato nostro continuerà a servire l’esperienza di un paio di cosiddetti “senatori”.
Un paio però…
Quindi, detto questo, adesso serve il coraggio di cambiare, ma coraggio vero ed indiscriminato, è proprio il momento giusto.
Ho letto da qualche parte che Mancini avrebbe anche convocato il nuovo bomber del Pisa, Lorenzo Lucca, ma che lo stesso è stato lasciato alla nazionale under ventuno per la necessità degli azzurrini di qualificarsi. Ci sta, è un ragionamento che comprendo e condivido e ribadisco la stima per il CT, quello che spero sia palesemente apparso ai suoi occhi però, è che il ricambio generazionale anche per il suo gruppo vincente, va fatto ora, subito, immediatamente. Non si può pensare di arrivare in Qatar con il gruppo che ha vinto l’Europeo, la partita di mercoledì ha detto con chiarezza che non saremmo competitivi, quanto meno nei confronti della Spagna e della Francia, non si può sempre pensare di vincerla gettando il cuore oltre l’ostacolo come spesso e volentieri le nostre nazionali hanno fatto.

Il sacrificio, il cambiamento, dovrebbe davvero e necessariamente includere però tutto il movimento calcistico nostrano, è un concetto che ho già espresso più volte parlando degli argomenti più disparati.
Se penso che il Bologna ha messo sotto contratto Arnautovic mi viene il mal di testa, riesco a giustificare il Milan con Ibra per quello che da fuori più che in campo, ma al di là di questi casi limite, mi vorrei soffermare sulla moltitudine di calciatori che non apportano granché dalla Lega Pro fino alla serie A, e che riempiono le rose di praticamente tutte le squadre. Continuiamo a far “crescere” e “maturare” i giovani prospetti dei vivai nelle leghe minori, un anno di qui, uno di là, poi in serie A ci arrivano a ventisette, a ventotto, alcuni non ci arrivano mai e non venitemi a dire che è destino che non ci debbano arrivare mentre sui campi della massima serie scorrazzano ancora i vari Vidal e Sanchez, o Medel e fino a poco tempo fa Nainggolan, oppure in serie B Sorensen che era scarso da giovane figuriamoci ora che è fermo come un palo della luce...
Coraggio mister, coraggio, lo dico a malincuore perché Verratti è uno dei miei calciatori preferiti dell’ultimo decennio, tecnicamente non è discutibile ma non è più fisicamente in grado di sostenere una partita con il ritmo di mercoledì sera, idem dicasi per Insigne, Bonucci, Acerbi, Berardi, ottimi giocatori ma bisogna andare oltre, salverei Chiellini per il gruppo, tipo capitano non giocatore, poi se giochiamo contro Lukaku o Kean si fa in fretta a metterglielo sulle spalle, no?

Barella, Pellegrini e Chiesa insieme a Raspadori, Scamacca, Mancini, Zaniolo e i vari Lorenzo Lucca e Vignato, bisogna abbassare l’età media della rosa azzurra ancora più di così, è palese, non siamo in grado di arrivare al livello della Spagna perché il nostro movimento da troppo tempo ormai non produce il numero di talenti di quelli iberico e francese, ma davvero serve il coraggio per puntare in alto con i giovani, sempre che se ne trovino non infognati nei campacci della Lega Pro e che questi ragazzi non giochino con l’under ventuno fino all’ultimo giorno possibile.
Sicuramente ci sarà ancora da soffrire, ci è passata la Germania che, arrivata a fine ciclo, ha dovuto ricostruire il gruppo attraversando una dolorosa eliminazione ai gironi nei mondiali di Russia e agli ottavi nell’ultimo europeo dopo aver rischiato di uscire con l’Ungheria, ci è passata la Francia dopo la bufera del mondiale in Sudafrica con la rivolta dei giocatori, ci è passata la Spagna con un ricambio generazionale successivo agli addii dei vari Xavi e Iniesta, so che è difficile pensare ad una cosa così proprio ora che siamo tornati a vincere qualcosa dopo tanti anni ma è davvero necessario mettersi in condizione di restare competitivi a lungo e il più possibile avendo programmato.

Ieri Mancini contro le eterne promesse del Belgio ha lasciato riposare qualcuno dei più esperti, Jorginho incluso. Anche loro avevano fuori i pezzi da novanta, eppure, a dispetto del risultato e di qualche buona trama azzurra l’impressione è che i nostri avversari non abbiano meritato la sconfitta, rigore generosissimo incluso e pali multipli colpiti da loro anche. Così come avrei davvero pensato che la bellissima Spagna vista mercoledì, alla fine, avrebbe potuto mettere all’angolo anche la corazzata francese, ma così non è stato e i transalpini non solo hanno giocato alla pari e molto meglio di quanto non stessimo facendo noi anche nello spezzone di gara in cui si era ancora in parità numerica ma, anche loro agevolati da un gol in fuorigioco reso valido da un assurdo cavillo, hanno addirittura portato a casa l’intera posta.
Alla luce di quanto visto questa settimana mi sembrerebbe di poter dire che a ranghi completi siamo ancora al livello del Belgio e del novero delle migliori in Europa ma potremmo arrivare al mondiale, ammesso di qualificarci, in una condizione di inferiorità rispetto alle due finaliste di ieri.
Purtroppo il calcio ha perso parecchio appeal nel nostro paese, probabilmente anche a causa della pessima immagine che agli occhi di molti danno i fatti che ho elencato in principio, questo a vantaggio di molti altri sport cosiddetti “minori” e che, risultati alla mano, stanno ottenendo visibilità e partecipazione dei nostri giovani, ambienti in cui la cultura sportiva, che include il rispetto per l’avversario e l’accettazione della sconfitta come elemento essenziale della competizione al pari della vittoria, ancora esiste e resiste.

Ci vuole coraggio, coraggio di rinunciare a quelli che non sono tifosi ne appassionati ma solo zavorre, coraggio di non comprare nomi e figurine da mandare in campo per strappare incerti risultati e di puntare invece sulla crescita dei ragazzi dei vivai, abbiamo sempre avuto nazionali giovanili molto competitive ed ora non vinciamo più nulla a discapito dei giovani francesi, spagnoli e portoghesi, c’è stato un grandissimo risultato come nazionale maggiore dovuto alla bravura di un tecnico, al suo gruppo di collaboratori e ad una buona squadra ben assortita, ma adesso è arrivato il momento di cambiare dalla base, e ci vorrà tanto, tanto tempo.
Coraggio mister Mancini, coraggio Italia, basta ripari e barricate in quelli siamo specialisti da sempre, costruiamo dei mulini a vento!