Quanto sembra lontano ormai quel nero 11 novembre del 2017, momento più basso della gloriosa storia della nazionale italiana. Sembra passata un’eternità da quel giorno così buio del tutto cancellato dalla serata di ieri sera, che entra tra quelle leggendarie del nostro calcio. Se allora ci avessero detto che dopo nemmeno quattro anni saremmo saliti sul tetto d’Europa probabilmente non ci avremmo mai creduto. L’unico che ci credeva è un visionario di nome Roberto Mancini, che da quando nel 2018 è diventato c.t. della nazionale, ha dato tutto per l’Italia, prima facendola rialzare e poi rendendola in grado di reggere il confronto con le grandi potenze, in vista di quest’europeo a cui arrivavamo senza pretese di vittoria, senza niente da perdere e carichi di motivazione dopo gli ultimi anni negativi. Avevamo di sicuro a nostro favore l’iniziale atmosfera veramente positiva dovuta alla grande voglia della gente di rivedere un’Italia competitiva, derivante a sua volta dal lavoro di Roberto Mancini che ha portato alla creazione di un gruppo davvero magnifico. Mano a mano sono arrivate sempre più volti nuovi, sia in campo che nello staff, che si sono aggiunte alla confermata presenza di quelli che già nella disfatta del 2017 vestivano la maglia azzurra e che sono diventati quindi i veterani di questo gruppo. Quest’atmosfera speciale ci ha trascinati nella vittoria del nostro girone, che abbiamo dominato e in cui abbiamo mandato un primo messaggio alle favorite della vigilia: “L’Italia c’è e va temuta”. Quest’atmosfera da notti magiche a partire dagli ottavi ha iniziato a non bastare più, eppure siamo sopravvissuti anche al primo vero ostacolo sul nostro cammino.
Alla prima prova lontano dall’Olimpico sono serviti i supplementari per superare l’Austria, ma anche questa è stata un’enorme prova di forza di un gruppo che poi si sarebbe rivelato fortissimo. Questa presa di consapevolezza è stata fondamentale in vista dei quarti di finale dove iniziava la vera salita verso l’Everest che è una competizione come l’europeo. Dai quarti hanno cominciato a presentarsi sulla nostra strada alcune tra le più forti nazionali del mondo e anche qui, tra lo scetticismo anche di ex calciatori che si sono dovuti poi ricredere, non siamo crollati. Col Belgio abbiamo vinto col gioco, abbiamo dominato la partita e abbiamo messo Romelu Lukaku al guinzaglio di Giorgio Chiellini, ritornato titolare insieme al compagno di sempre Leonardo Bonucci per dare un’ennesima lezione di come si difende, altro fattore nella fase finale del torneo. In semifinale per la prima volta abbiamo visto un’Italia diversa, ma alla fine sempre lo stesso risultato. Contro i giochisti spagnoli ci siamo dovuti adattare all’avversario e la freddezza ai calci di rigore ci ha portato in finale, a Wembley, a casa dell’Inghilterra. Come confermato a fine gara anche dallo stesso Mancini, questa è stata la partita più difficile tra tutte quelle affrontate, ma anche quella dal sapore più dolce, quella che rimarrà negli annali e che ha fatto impazzire milioni di italiani. L’ostacolo sembrava inizialmente insormontabile, eppure anche questa volta gli azzurri ce l’hanno fatta, da vera squadra. L’accoglienza di Wembley non è stata delle migliori e l’abbiamo pagata: 60mila fichi inglesi all’Inno di Mameli, che si sono trasformati in boati con il vantaggio firmato da Shaw dopo solo due minuti di gioco. Una botta che poteva ucciderci, ma che col passare dei minuti abbiamo assorbito, rientrando in campo nel secondo tempo per fare vedere la vera Italia, che si è dimostrata più forte dell’Inghilterra. Il pareggio di Bonucci ha rotto il catenaccio inglese e da lì la partita non è comunque cambiata. La macchina da gioco azzurra ha continuato imperterrita a dominare la gara e forse avremmo meritato di chiuderla prima dei calci di rigore, che hanno comunque reso giustizia alla squadra più meritevole. Dopo la semifinale in cui era salito in cattedra Jorginho, questa volta il nostro regista sbaglia dagli undici metri e allora tocca a Donnarumma prendersi le luci della ribalta parando il rigore decisivo a Saka che ci incorona campioni d’Europa, ed incorona lui miglior giocatore del torneo e forse anche miglior portiere del mondo. Ma aldilà delle individualità, questa è stata dall’inizio alla fine la vittoria del collettivo, di un gruppo che è ormai così legato alla gente che è come se tutti ne facessimo parte. Un gruppone azzurro di 60 milioni di persone che ha occupato per tutta la notte le strade di tutt’Italia, perché questa è la rivincita di tutti gli italiani dopo anni bui a livello calcistico e uno devastante a livello sanitario. Abbiamo mantenuto fino in fondo i valori che deve avere una nazione vera e per questo siamo stati premiati. Con umiltà siamo andati a Londra, ci siamo imbucati in una festa e l’abbiamo fatta nostra, tra le lacrime degli inglesi che avevano cantato vittoria troppo presto.
Sorry but, it’s coming Rome!