E’ morto Giuseppe Gazzoni Frascara, uno dei miglior presidenti che il glorioso Bologna abbia mai avuto. L’imprenditore “effervescente” aveva 84 anni ed era malato da tempo.

Nel 1993 rilevò il Bologna dal fallimento e rimase alla guida del club fino all’infausto 2005. Nel 2014, poi, l'italo americano Tacipona lo nominò presidente onorario, a testimonianza dell’importanza storica che aveva rivestito per il club felsineo, catapultandolo dall’onta della serie C alla gloria del pallone d’oro. Il suo Bologna tornò ad essere un club di successo, certamente restituì alla città, che tanto amava, il giusto palcoscenico, quello che spetta a uno dei club più antichi (fu fondato nel 1909) e scudettati d'Italia. Ebbe grandi allenatori, tra cui Alberto Zaccheroni, Carletto Mazzone, Francesco Guidolin e Renzo Ulivieri. Il suo grande colpo fu però Roberto Baggio. Bologna ebbe così il suo Pallone d’oro e visse stagioni incredibili; sotto le due torri tornò l’entusiasmo e arrivarono anche altri grandi giocatori, come Pagliuca, Andersson e Cruz. Baggio giocò in rossoblu solo per una stagione, segnando ben ventidue gol e rinascendo a nuova vita calcistica, dopo essere stato scaricato da tutti come un vecchietto al capolinea. Poi arrivò Beppe Signori (il grande bomber ex Lazio) e i rossoblù, partendo addirittura dall’Intertoto, arrivarono alla semifinale di Coppa Uefa del ‘99, persa contro l’Olympique Marsiglia (che a sua volta perderà la finale contro il Parma di Chiesa padre, Buffon e Crespo). Fu quello il punto più alto della presidenza Gazzoni.

Nonostante tutto ciò, il suo rapporto con la tifoseria non fu mai idilliaco. Sembra assurdo ma è così, perché i tifosi in fondo sono bambini capricciosi e piagnucoloni che più hanno e più vogliono; solo dopo capiscono e apprezzano. Infatti, quando nel 2014 Gazzoni tornò come presidente onorario, la curva gli dedicò uno striscione: «Presidente scusaci», accreditandolo di fatto come il più grande presidente della storia bolognese, ovviamente dopo Renato Dall’Ara, artefice, nel ‘64, del settimo e ultimo scudetto (quello di Haller e di mister Bernardini, per intenderci).

Ma c’è un’altra vicenda che lo vide, suo malgrado, protagonista: la triste vicenda di Calciopoli. Lui fu il grande accusatore. Era il 2005 quando Gazzoni cedette il Bologna, retrocesso in serie B, dopo aver perduto il doppio spareggio contro il Parma. Fino a marzo la squadra lottava per la zona Uefa, ma finì per retrocedere, in un campionato che poi si scoprì falsato dalle magagne passate alla storia come Calciopoli. Ci rimise il Bologna, che evidentemente non aveva né santi in paradiso né diavoli in tribuna. Da lì iniziò una lunga battaglia nelle aule di tribunale, contro la Juventus di Moggi, la Figc e contro tutto il sistema calcio. Fu lui a parlare, a voce più alta che ogni altro, del famigerato «doping amministrativo», vale a dire società che manipolano le carte per posticipare il pagamento dei debiti erariali o per “sistemare” i bilanci. La storia poi gli darà ragione, tutti sappiamo com'è andata a finire. E  tutti noi lo ringraziamo, per aver riportato il Bologna ai fasti, o quasi, che meritava e per aver avuto il coraggio di schierarsi contro i poteri forti di un calcio che allora era davvero malato.

Lascia moglie e tre figli. E con loro, l’eredità di un imprenditore iiluminato e di un grande presidente. Ma ci lascia anche un esempio d'enorme portata civica: nel 1995 si candidò a sindaco di Bologna, perdette e si ritirò dalla scena politica.
Servono altre parole?