Tornare alla propria casa natale, più il tempo passa, più assume le sembianze di un vero e proprio tuffo nel passato. Rivedere la propria camera, quel campo di battaglia che mai riordinavo, colma di libri, piena di foglietti sparsi nei cassetti, pensieri scritti, ispirazioni andate perse nell’oblio. E i vestiti. Quanti vestiti che non metto più, che sono rimasti là dopo il mio trasloco nella mia piccola, ma onorevole magione, dimora che condivido con la mia dolce metà. Avrò perso litri di ossigeno nel dire a mia madre di dare via quella roba, di regalarne a chi non ne ha. “Hai ragione, ma sai… i ricordi…” mi risponde ogni volta la tenera genitrice, con lo sguardo languido. Fortunatamente, prima o poi dovrà pur farlo. A breve infatti, quella casa si svuoterà. La pensione di entrambi i miei genitori è finalmente prossima, così come il sogno dei due di andarsene a vivere nella verde e spoglia Valsassina. In tutta sincerità, sebbene in quella casa vi sia cresciuto, non ho dispiacere nel pensiero che verrà venduta. I ricordi sono una cosa che mi porto dietro e non ho bisogno di avere un qualcosa per ridestarli nella mia memoria. Certo, esistono delle eccezioni. L’altra sera infatti, facendo visita ai due cari vegliardi, mia madre mi accoglie con una scatola di plastica zeppa. “Guarda cosa ho trovato” esclama sorridente, mostrandomi quel mucchio di cianfrusaglie. Cianfrusaglie per modo di dire. Infatti, non appena incomincia a tirare fuori roba da quel cubicolo, sento il mio cuore fare un tonfo. Una maglietta rossa con il numero sette serigrafato in bianco. Un paio di scarpe consunte dello stesso colore, un libro di foto riportanti le mie “gesta” sotto canestro, alcune medaglie e, per quanto sia incredulo nel vederlo, anche lui. Il Decalogo di Coach Daniele. Mi viene quasi da inginocchiarmi di fronte a quella reliquia, neanche fossero le tavole della legge. Ecco una cosa di cui mi ero dimenticato. Ecco una parte fondamentale della mia vita, che quasi era andata persa per sempre nei miei ricordi. Ovviamente, essendo un foglio stropicciato, impolverato, ingiallito dal tempo, mia madre lo osserva con sufficienza. “E questo? Che faccio, lo butto?”. Con un gesto secco, glielo strappo via di mano e me lo porto al petto, come per abbracciarlo. “Pazza scatenata! Lo sai cos’è questo?” le urlo quasi addosso. Mia madre dice qualcosa, ma io già ho smesso di ascoltarla. Sebbene siano poche righe, paio assorto da una lettura lunga e complessa. Le dieci regole che, forse a mo’ d’ispirazione, a mo’ di scherzo, molti anni prima un burbero allenatore di basket bergamasco aveva appeso in ogni angolo della palestra. Il Decalogo di Coach Daniele. Solo rileggendolo comprendo infatti come, sebbene ne abbia dimenticato la forma, la sua sostanza sia ancora dentro me e non mi abbia mai abbandonato. 

1 - Io sono il Coach, Allenatore tuo. In campo, non ascolterai altra voce all’infuori della mia

E come poteva essere. Quel vocione baritonale, il quale ogni tanto inframezzava qualche articolo e qualche aggettivo alle imprecazioni, era l’unica cosa udibile dentro la palestra, anche in mezzo ad altre centinaia di voci urlanti. A volte sentirlo urlare ci faceva rabbrividire tutti, ma il Coach non era mai stato cattivo con noi. Burbero, certo. Severo, ovviamente. Ma anche giusto e con una sana passione per lo sport. Lui guardava l’impegno, non il talento. Lui guardava il gioco, non la vittoria. Imparammo così a rispettare le piccole gerarchie, nello sport come nella vita. 

2 - Non inveire invano contro l’arbitro. Solo IO posso farlo

Se c’era qualcosa che Daniele non sopportava, erano le squalifiche per proteste. Per mia fortuna, non ne ricevetti mai una, ma ebbi la sfortuna di vedere la sua ira funesta in simili eventi. Coloro che si prendevano una squalifica per proteste o insulti all’arbitro, passavano una settimana intera a suicidarsi sul campo. Per chi non sapesse così il suicidio, è una costante sessione di corsa e scatti, talmente estrema a volte da rimanerci secchi. Una punizione alla quale lui stesso non si sottraeva, visto che il suo palmares di squalifiche fu assai ricco. Fate quel che dico, non quel che faccio.

3 - Preparati bene, gioca bene, vinci bene

Come già detto, per il coach potevi essere l’atleta più talentuoso di questa terra; se non ti allenavi bene e con concentrazione, il campo non lo vedevi. Non amava vincere per i doni di madre natura o per mera fortuna. Lui voleva vincere con l’impegno perché [cit.]: il talento svanisce, la fortuna si annoia, l’impegno rimane

4 - Onora la tua maglia

In palestra avevamo a nostra disposizione un servizio lavanderia, di cui tutte le altre squadre della polisportiva usufruivano liberamente. A noi era assolutamente preclusa. Ognuno si doveva tenere la propria maglia e lavarla con attenzione. Pena, esclusione dalla gara. Era un modo come un altro per manifestare il nostro attaccamento alla squadra e alla società.

5 - Rispetta il tuo avversario… e fatti rispettare

Non era un amante della violenza. Amava il gioco duro, certo, ma professava una sano rispetto tra contendenti. Detto ciò, non amava i pavidi. Devi giocare secondo le regole, ma ciò non significa che ti devi lasciar calpestare

6 - Gioca secondo le regole

Così come non amava la violenza gratuita, non amava le scorrettezze o le sporche furbizie. Il bello dello sport, così come della vita, è il fatto che vi siano delle regole. Le regole mettono tutti sullo stesso livello. 

7 - Non aspirare al ruolo che non ti è naturale

Una delle cose più belle di coach Daniele era l’insegnarci ad avere rispetto di noi stessi, delle nostre capacità e del nostro ruolo. Inutile aspirare a qualcosa che non ci competesse, perché ognuno in squadra è utile, ma nessuno è necessario. 

8 - Fai poche cose, falle bene

Tirare da tre, dribblare, prendere rimbalzi, schiacciare, essere precisi, fare molti assist. No, ognuno ha delle caratteristiche e deve svilupparle. Fare bene tutto è impossibile. Meglio farne poche, ma farle in maniera perfetta. Altro fondamentale insegnamento che mi sono portato fuori dal campo. 

9 - Pensa a giocare, non a vincere

Vince solo chi gioca, perde chi cerca solo la vittoria. All’inizio non capivo il significato di queste parole. Mi ci è voluto qualche anno per assorbirne la saggezza. 

10 - Non desiderare le fortune altrui. Costruisciti le tue

 

Credo che non servano altre parole di commento. 

Guardo l’orologio sul telefono. Si è fatto tardi e ho una moglie che mi aspetta a casa per la cena. Salutando velocemente mia madre, le chiedo di tenere lì tutta quella roba per un altro po’, in attesa che sappia dove metterla. Lascio dunque di nuovo lì tutto, tranne quel piccolo pezzo di carta ingiallito. Chiusa la porta e scendendo le scale, mi ritrovo a rileggerlo per l’ennesima volta. E più lo faccio, più ringrazio quel burbero coach bergamasco che, attraverso lo sport, mi insegnò la sua visione sulla vita. Una visione che, per mia fortuna, non rimase sul parquet, ma mi ha seguito fuori dal campo. Mi ha seguito nelle relazioni, mi ha seguito nelle amicizie, mi ha seguito sul lavoro. Perché se solo glielo permettiamo, lo sport può farci persone migliori. Sempre.

“Ci si può drogare di cose buone… E una di queste è certamente lo sport” - Alessandro Zanardi