Un vecchietto siede su una panchina, scruta l’orizzonte, leggiucchia una storia, ascolta i mormorii della natura, mentre guarda dei bambini che  giocano al pallone. E pensa…Pensa che un altro uomo, più o meno della sua età, è tornato a sedersi su una panchina e a guardare i suoi “bambini” giocare al pallone. Ma lui lo fa per mestiere e da quella panchina ha scritto pagine d’una storia infinita chiamata Zemanlandia …

Ha 75 anni, la faccia segnata dal tempo, la tempra infinita dei giorni migliori, il calcio che gli scorre nelle vene sempre a 1000 all’ora. E torna a sedersi su una panchina.
La panchina è quella del Pescara, il ritorno è quello di Zdenek Zeman.
Un ritorno nel ritorno, perché già due volte s’è seduto sulla panchina abruzzese, già mille volte è tornato a fare l’allenatore.
L’allenatore… Riduttivo è definirlo allenatore, forse sarebbe riduttiva qualsiasi definizione, perché Zeman è Zeman. È un’impronta, un trattato, uno sberleffo, una sagoma, uno schema. 
È il ritorno del boemo per antonomasia. 
Il guru del 4-3-3, il costruttore di sogni impossibili, l’inventore di favole di provincia, il facitore di campioni, il predicatore della liturgia del gol, il barzellettiere di difese allegre, il rapsodo di guerrieri all’attacco, l’incantatore di stadi, l’accusatore dei potenti. 
È il ritorno di Zeman, è il risveglio degli innamorati del calcio-champagne, per anni belli e addormentati nel bosco e sottobosco di sarrismi, corti-musi, specialoni, rampantismi, simil-guardiolismi e post sacchiani.
È il ritorno del maestro boemo che non ha mai voluto insegnare un bel niente, solo che “Il risultato è casuale, la prestazione no”. 
È il ritorno di una sinfonia che concede il crescendo al boato dei gol. È l’esultanza che beffeggia il patema, è la gioia che scavalca la delusione, è il ritorno del messia che saetta sull’acque inviolate dello 0 a 0. 
È il puritanesimo del gol, lo spettacolo prima del risultato … dal risultato, con il risultato, per il risultato. Sì, è l’America! Con lui il pallone ha trovato l’America. Ed è tornato. 
Il ritorno del boemo è la cartina al tornasole del tatticamente corretto e del politicamente scorretto, applicati al mondo, ipocrita e manierato, dello sport. 
È il ritorno del profeta in patria, tanto sua quanto straniera. È il ritorno del nipote di quel Čestmír Vycpálek che iniziò la carriera di allenatore nel 1958 a Palermo (città in cui fece trasferire la sua famiglia, dopo l'occupazione della Cecoslovacchia da parte dell'Armata Rossa durante la primavera di Praga). Quel Vycpálek due volte Campione d'Italia alla guida della Juventus, quella Juventus che divenne la nemica giurata del boemo suo nipote.
Il ritorno del boemo è riscoprire l’irriverenza di chi non le manda a dire, il coraggio di dire, la sostanza del dire per non tacere. Il coraggio di dire che il doping fa schifo, che i calciatori dopati gli fanno schifo!  La sua voce sommessa, una sigaretta tra le dita, lo sguardo speziato alla palermitana (lui che palermitano lo è d’adozione): è il ritorno del boemo rivoltoso. Per amore, giura, solo per amore del pallone!

Con Zeman ritorna il demiurgo dell’universo che obbedisce all’amore per il calcio autentico. Sfrontato, energico, veloce, coraggioso. Il coraggio di sfidare gli avversari, di qualunque schiatta essi siano, qualunque sia la caratura ch’essi mostrino, qualunque sia l’altitudine da cui essi lo guardino. Fuori dal campo, come in campo. 
Appunto, il coraggio! Il ritorno del boemo è il coraggio delle idee, che non si sottomettono alla classifica, che non temono le critiche, che sfidano l’esonero. 
Idee che vengono da lontano, dal calcio totale di Rinus Michels, ma anche, e soprattutto, dal calcio danubiano, ispirato da Hugo Meisl, tipico della sua terra.

La terra di Zeman, Zemanlandia: il 4-3-3, offensivo sin dal reparto difensivo che, schierato in linea, si muove a ridosso della linea mediana, coi terzini che si sovrappongono a ripetizione, mentre il centrocampista centrale agisce da regista e al contempo s’inserisce in area di rigore; così anche gli altri due centrocampisti, che partecipano alla fase offensiva, mentre le due ali si muovono liberamente su tutto il fronte d'attacco senza dare punti di riferimento.

È Zemanlandia! Ed è tornata. 
È il ritorno del boemo

È il ritorno dei Baiano/Signori/Rambaudi, alfieri d’una favola senza tempo e a lietissimo fine. Il ritorno dei Verratti che  “infanti” scalano la Tour Eiffel. Il ritorno degli Immobile che hanno fatto Roma (e la Lazio) in un solo giorno (o quasi). Il ritorno dei Totó Schillaci che narrano indimenticabili notti magiche. 
Dalla leggenda foggiana, al miracolo pescarese, ai fasti messinesi, ai patemi capitolini: tutto ei provo’ (scriverebbe Manzoni) e tutte le emozioni possibili e immaginabili a noi fece provare. Ecco, il ritorno del boemo è il ritorno alle emozioni, che oggi si vestono del bianco e del celeste del Pescara, ma che hanno i tanti maliardi colori d’un arcobaleno rotondo. Perché il pallone è arcobaleno quand’e’ devoto alla fantasia, è fioco quand’e’ piegato alla troppa logica. 
È il ritorno di un italiano naturalizzato, di un siciliano trapiantato, di un girovago senza limiti. Ha iniziato nel Cinisi, in un campo polveroso d’un paesino a pochi chilometri da Palermo; ha proseguito con la Bacicalupo di Marcello Dell’Utri. Ha poi deliziato la Sicilia, tra Palermo, Licata, Siracusa e Messina. Era il nipote d’arte che cominciava a mostrare come una partita possa essere un dipinto di Gauguin, anziché un noioso calciare e scalciarsi.  Ha allenato in Turchia e a Belgrado, in quel di Parma e a Lugano. Ovunque e comunque, la sua è stata Zemanlandia, il  parco dei divertimenti dove si gioca al pallone e non ci si annoia mai. 
Ha ispirato canzoni, comici e tribunali. 
Didascalico, il suo calcio è diventato un modo di dire: eravamo ragazzi quando esclamavamo “Spettacolo - Zeman!” davanti a una ragazza bellissima o ad un film bellissimo o a una moto bellissima o ad una camicia bellissima o ad un tramonto bellissimo (eravamo pure romantici, che credete!).
È il ritorno di Afrodite, dea nata della schiuma del mare, che un giorno, forse un po’ annoiata dalle solite beghe tra eroi e semidei, decise di dilettarsi col pallone, assumendo le sembianze d’un allenatore smilzo e “Sdengo”, che spumeggiante rese tutto ciò che allenava.  Sì, è tornato il dio del calcio spumeggiante, è tornato al Pescara.
E sì che li vedremo correre! Ipse dixit: “Alcuni giocatori si lamentano che li faccia correre troppo? A Pescara vivo sul lungomare e ogni mattina vedo un sacco di persone che corrono. E non li paga nessuno”. Cari Crescenzi, Rafa, Mora e company, siete avvisati: palla lunga (ma non troppo) e pedalare. È così che funziona col maestro Boemo. E capperi se funziona! 
Funziona ovunque e comunque. E con chiunque. 

La Lega pro adesso avrà una luce in più ad accendersi sui suoi campi, sovente ombrosi e cupi. La luce del boemo, che è tornato. Per dispensare calcio, per fare calcio, per illuminarci del suo calcio immenso.
E chissà, magari i delfini torneranno presto nei mari dorati della B e della A, rinverdendo fasti mai troppo lontani. Per ora ammiriamoli sciaguattare nelle acque del mare calmo della serie C. E agitarle un po’…