Ci sono alcuni calciatori che vincono più di tutti, che vengono ricordati per le decine di trofei issati verso il cielo, le centinaia di reti segnate, e poi ce ne sono altri, quelli che invece lasciano il segno nel cuore di chi li ammira dall’esterno, dalle gradinate di uno stadio semi fatiscente, a prescindere da tutto, anche dal responso del campo. Si tratta di comuni mortali, gente del popolo, personaggi lontani anni luce dai mostri sacri del calcio stellato multimilionario come Cristiano Ronaldo, i quali però ciononostante riescono a restare impressi nella mente degli appassionati, quasi come se fossero degli amici di famiglia. Perché in fin dei conti, c’è una vicinanza che si percepisce molto chiaramente, proprio quando capita di rivedersi nelle loro espressioni, in quelle esultanze cariche di spontaneità, tipiche di chi realizza un sogno, nell’iscriversi al tabellino dei marcatori di Serie A

Tra questi idoli di provincia, eterni eroi di popoli sfortunati che non vedranno mai la propria squadra sul tetto del mondo, c’è un giocatore, ormai ritiratosi da qualche tempo, capace di raccontarsi a suo modo, nel mio personale “libro del calcio”. Con quest'ultima espressione, ricca di enfasi oltre che di significato, s’intendono tutti quegli episodi, che come le tessere di un grande puzzle, s’incastrano tra loro rappresentando ognuna un’emozione, un po’ come se fosse un romanzo suddiviso in capitoli, di cui Massimo Maccarone, rappresenta un personaggio davvero iconico.
Soprannominato Big Mac nel corso della sua parentesi inglese al Middlesbrough, l’ormai ex attaccante di Siena ed Empoli, rappresenta uno dei protagonisti più longevi della generazione d’oro dei bomber di provincia, che nel periodo tra gli anni ‘90 ed il primo decennio del 2000 ha scritto un’importante pagina della nostra massima divisione. Il mio primo ricordo legato alla carriera di questo straordinario calciatore risale a circa una decade addietro, quando correvano i tempi della stagione 2009/10. 

Era una gelida serata invernale come tante altre, o almeno così sembrava in apparenza: al tempo dei fatti avevo solo 10 anni, ma la mia passione per il pallone era già giunta ad un livello piuttosto “patologico”, tale per cui avrei volentieri seguito le partite incollato al televideo, aspettando che qualcosa accadesse, tra le righe colorate sullo sfondo nero. Ignaro di tutto, stavo per assistere a qualcosa di straordinario, che avrei scoperto solo anni dopo, andando a digitare su YouTube il binomio Inter-Siena
Che quella sarebbe stata una partita folle non se lo sarebbe aspettato di certo un tifoso convinto come me, ancora privo di esperienza in materia di colori nerazzurri, ma come ogni amore che si rispetti, sono le vicende più assurde, quelle che si ricordano con maggiore facilità. A maggior ragione, se la copertina di quella memorabile serata è firmata da un certo Massimo Maccarone, di cui sconoscevo l’identità fino a quel momento, allora era evidente che quell’evento, nel bene o nel male che fosse, sarebbe diventato presto, una gran bella storia da raccontare.
Indelebile il ricordo di quel sinistro secco all’incrocio dei pali, imprendibile perfino per un campione come Julio César; in quel frame sembra raccontarsi per un istante uno di quegli amori folgoranti, ma al tempo stesso impossibili, che capita di scoprire quando ci si innamora per un attimo di una semplice passante. Un colpo da vero maestro, una prelibatezza avvelenata alla quale davvero non puoi rinunciare, nonostante la consapevolezza che quella doppietta segnata a San Siro, rappresentasse una minaccia più che concreta per la mia squadra del cuore. Partecipante attivo di una notte leggendaria, anche se dalla sponda opposta a quella nerazzurra, il talento di Massimo Maccarone, si racconta in questi gesti tecnici dal valore inestimabile, figli delle sue non indifferenti doti balistiche, a cui si aggiunge uno spiccatissimo fiuto per il goal, specie se all’interno dell’area di rigore.

Mai davvero sbocciato come altri calciatori della medesima generazione, il classe 1979 originario di Galliate avrebbe potuto vivere una carriera totalmente diversa, ma ciononostante vanta comunque, un invidiabile score di 79 centri in 271 presenze in Serie A, per una media di 1 goal ogni 241 minuti giocati, bottino niente male, considerando anche il dato relativo al minutaggio. 
Indimenticabile per lui, la stagione 2015/16, quando alla guida di Marco Giampaolo, realizzò ben 13 reti in massima divisione, scoprendosi assoluta rivelazione di quel campionato, insieme ad un Empoli che poteva vantare in rosa calciatori del calibro di Leandro Paredes e Piotr Zielinski.
Tra pochi giorni, per l’esattezza il 6 settembre, Big Mac compirà la bellezza di 42 anni, e chissà se lo rivedremo ancora protagonista all’interno di un pallone, che tra un’esultanza e l’altra, ha contribuito a rendere sicuramente più pittoresco, oltre che romantico. E se può valere ancora quella proposizione secondo cui il calcio sia lo sport della gente, sceglierò di raccontare in giro delle gesta di questo superstite, un uomo che non si è perso tra le stelle, un viaggiatore amato dal popolo, che ne ha inneggiato il nome dall’Italia all’Inghilterra, passando addirittura per l’Australia. 

Un'avventura vissuta come un eroe imperfetto, schierato quasi sempre dalla parte di quelli con l'etichetta degli sfavoriti sulle spalle, un modello anni luce distante dalla maestosità dei migliori, ma così incredibilmente vicino alla gente comune, che quasi rasenta l’esempio perfetto dell'idolo di provincia, riconosciuto e venerato dal pubblico, attraverso quel celebre coro che recitava a gran voce: “uno di noi, Big Mac uno di noi”.