L’invidia è un sentimento nocivo che si annida ovunque, specie nella fortuna altrui, terreno fertile ideale per generare i suoi germogli, e permettergli di svilupparsi. 
Non è un caso che il calcio ne sia profondamente invaso, a causa della sua tremenda propensione verso la casualità: non basta dominare il gioco, esprimere idee, concetti, essere superiori all’avversario, è sufficiente infatti un singolo episodio, e tutto può rovesciarsi improvvisamente.

Chissà, forse è anche questo il motivo principale per cui la gente non si stancherà mai di rincorrere un pallone, che sia con le proprie gambe, o semplicemente con lo sguardo, perché da quest’ultimo nasce una continua speranza, la quale ad intermittenza si spegne, ma poi si riaccende, come in un ciclo infinito, che rincorre quella stessa sfera roteante.
Vincere nel calcio non è semplice, ma in fin dei conti è l’unica cosa che conta, è quello che resta al di là del tempo che passa inesorabilmente, cancellando la memoria, asfaltando tutto il resto; una filosofia un po’ cruda penserete, quasi brutale, quanto mai però allo stesso modo onesta. 
E qui subentra inevitabilmente il tema della fortuna, che da una parte aiuta gli audaci, ma dall’altra chissà, spesso “fa un po’ quello che gli pare”, decretando scenari più o meno clamorosi, alle volte anche scontati, in base ad una logica che vorrebbe definire il corso degli eventi nel modo più pronosticabile possibile.

José Mourinho, uno degli allenatori più vincenti della storia del calcio, ha costruito la sua carriera a suon di trionfi incredibili: un percorso iniziato dal Portogallo e proseguito in giro per l’Europa, il quale lo ha visto sollevare la Champions League per ben due volte (2003/04, 2009/10).
Una carriera straordinaria, un po’ offuscata dai flop delle ultime avventure inglesi alla guida del Manchester United prima (con cui ha comunque vinto una Uefa Europa League nella stagione 2016/17) e soprattutto del Tottenham poi, che si è rilanciata però con la conquista della Uefa Conference League alla guida della Roma nella scorsa stagione.
L’appellativo di Special One, che si è conquistato nel corso della sua prima parentesi al Chelsea, lo accompagna tuttora in un cammino che non sembra comunque volersi fermare; eppure, nonostante gli innumerevoli successi, il tecnico portoghese ha spesso attirato su di sé ingenti critiche, nonché accuse, che in più di un’occasione l’hanno configurato come un incapace, che sa vincere soltanto grazie alla fortuna.

Ed ecco che ritorna il tema del fato, inseparabile compagno dell’uomo, specie nel calcio, in cui rappresenta la foglia che si stacca improvvisamente dall’albero, e con il suo peso, all’apparenza ininfluente, sposta l’ago della bilancia verso la propria direzione. 
Nel match di andata, valido per i quarti di finale di Europa League, disputato nella splendida cornice del De Kuip di Rotterdam, la Roma di Mourinho ha perso di misura per mano di un Feyenoord, a cui in tale occasione, non è sicuramente mancato l’appoggio della dea bendata.
La formazione giallorossa, infatti, ha colpito i legni della porta di Bijlow per ben due volte nel corso dei novanta minuti, prima con il calcio di rigore fallito da Pellegrini, poi con l’incornata di Ibanez, che da palla inattiva è andato a centimetri dal goal del pareggio.
Nulla da fare per un’ottima Roma, la quale subisce soltanto un paio di conclusioni dalla distanza da parte degli uomini di Slot, che però colpiscono in modo decisivo con Wieffer, giovane centrocampista olandese, che si inventa un meraviglioso destro al volo su assist dell’esterno Idrissi, su cui niente può un incolpevole Rui Patricio.

Ed è qui, nel momento in cui l’arbitro fischia tre volte, che l’invidia repressa di molti può esplodere in soddisfazione, con il dito che indica per l’ennesima volta quell’uomo, a cui la fortuna per una volta ha voltato le spalle, come fosse il racconto di una verità, di una giustizia pendente.
Un sentimento nocivo, altamente tossico per coloro che continuano ad alimentarlo, anche a distanza di anni, che continuerà a logorare il loro spirito, perché di Mourinho non ci saranno cloni, e finché non interromperà la sua attività, non smetteremo mai di sognare le sue gesta, da tifosi del calcio da cui nasce speranza, non invidia.

Stupiscili ancora José, ribalta il fronte in un Stadio Olimpico che tra una settimana sarà pronto alla bolgia, come in occasione del ritorno con il Salisburgo, come hai già fatto in passato. 
Questa volta potrebbero esserci anche due assenze pesanti come il centravanti Tammy Abraham, ma soprattutto la stella Paulo Dybala, infortunati nel corso dello scorso match, ma basta un goal per pareggiare i conti, e le soluzioni di certo non mancano.
In fin dei conti, sono queste le occasioni in cui si può sentire in modo chiaro e deciso, quel celebre “rumore dei nemici”, attorno a cui gira la carriera di un comunicatore straordinario, che proprio sull’invidia altrui, ha spesso costruito i suoi successi più iconici.

Dalla corsa sotto il cielo stellato del Camp Nou nella notte di Barcellona nell’anno del triplete, passando per il segno delle tre dita, fino al gesto “non vi sento” rivolto al pubblico della Juventus nello stadio degli eterni nemici; un personaggio unico ed inimitabile, a cui qualcuno ha dedicato anche un verso del brano “Many Men (Wish Death)” del rapper americano 50 Cent, divenuto ormai un meme, virale su tutti i social network: “many men, wish death upon me”, recita la canzone, a cui si legano alcune delle scene più emblematiche della sua carriera, volte a raccontare l’epicità di questo protagonista.