Oggi si chiude un cerchio: José Mourinho è stato esonerato dal suo incarico di allenatore dell’AS Roma

La famiglia Friedkin ha deciso di affidare la panchina giallorossa a Daniele De Rossi, ex capitano dei capitolini, mettendo invece alla porta il tecnico portoghese, reduce da una serie di risultati deludenti, ma soprattutto di fronte ad una posizione in classifica quasi deprimente.
Poiché, se da una parte può anche starci perdere a San Siro contro il Milan, di certo non si può dire lo stesso di una Roma nona in campionato, con un solo punto di vantaggio sul Torino (decimo), e ben 5 lunghezze di distanza dalla Fiorentina (al momento quarta).
Un risultato inaccettabile, specie se di fronte agli sforzi economici della società, che in estate ha compiuto l’impresa di portare nella capitale un calciatore del calibro di Romelu Lukaku, in prestito dal Chelsea, oltre ai vari N’Dicka, Kristensen, Aouar, Paredes, Azmoun, senza citare un quasi mai pervenuto Renato Sanches.

Per alcuni, la coppia dei sogni Lukaku-Dybala avrebbe fatto invidia a chiunque, al punto da proiettare la Roma ad un sogno impronunciabile, lo scudetto, da contendersi alla pari con Inter, Milan e Juventus.
Speranze più che reali ambizioni, spinte dal desiderio di dimenticare in fretta una finale persa nella maniera più amara e beffarda possibile, con tanti episodi su cui recriminare. 

“In quel di Budapest”, si sono infrante le ultime gioie calcistiche di Mourinho, un narcisista del calcio, che ha continuato a specchiarsi tra le acque del Danubio, fino a caderci dentro; la sua encomiabile bellezza, del tutto fine a se stessa, si è mostrata inutile di fronte alle acque scure della vita, in cui conta solo saper nuotare.

Il destino ha smesso di sorridere allo Special One, rimasto fermo a quel passato glorioso che lo ha reso leggenda, quando sembrava che avesse stipulato un patto col diavolo stesso, perché nulla riusciva a fermarlo, vinceva e irrideva, come se sapesse già come sarebbe andata.
Eppure, anche lui si scopre un essere umano, incapace di manipolare la storia a proprio piacimento, debole e sconfitto dal cinico e mai riconoscente corso degli eventi, che lo costringe a confrontarsi ancora una volta con un miserabile e vuoto fallimento.

Di quel José Mourinho, forte e pieno di sé, personaggio di rottura nel sistema calcio, nemico di molti e amico di pochi, non è rimasto che un fievole ricordo, sostituito dalla goffaggine comunicativa, le conferenze in portoghese, e tante, forse troppe polemiche.
Non è mai stato un cultore del bel gioco, sia ben chiaro, ma le squadre allenate da Mourinho hanno sempre avuto quel qualcosa in più, difficile da riassumere in poche parole, che è più semplice raccontare in vicende, storie, emozioni, come quelle recenti della trasferta di Leverkusen, della stagione appena trascorsa, o la finale di Tirana di due anni fa.

L’eroe decaduto, che mirava in alto con il dito e correva leggiadro sul prato del Camp Nou, inseguito da un inferocito Valdes, spoglio della paura che caratterizza ogni essere umano.

Amato tanto, odiato forse ancor di più, lo Special One ha scritto un’era del calcio moderno che rimarrà indelebile nei cuori di chi l’ha vissuta, senza contare le generazioni future, a cui qualcuno racconterà di lui, dei suoi gloriosi e irripetibili successi.
Se ne va nel modo peggiore possibile, coperto dagli insulti, inseguito dalla folla che non lo vuole più, la stessa che lo osannava come un salvatore, e che oggi gli volta le spalle; un epilogo ancora più triste, perché forse un altro capitolo di Mourinho nel calcio che conta non ci sarà mai più.

La sua carriera, iniziata nel lustro e terminata in un fatiscente “lancio dei pomodori”, rappresenta il più classico esempio del giocatore di poker che non ha paura di andare all-in, nonostante gli sia capitata una mano mediocre.
L’esonero di oggi, infatti, è quasi certamente conseguenza degli strascichi della sua puntata sull’Europa League, ennesimo trofeo che lo avrebbe ulteriormente consacrato, oltre a permettergli di raggiungere il reale obiettivo di inizio stagione, la qualificazione in Champions League.
A questo punto, si potrebbe ribattezzare la capitale ungherese nella Waterloo di Mourinho, che come Napoleone Bonaparte, perde la sua battaglia decisiva e si avvia verso il definitivo tramonto.

Al suo posto, dunque, subentra Daniele De Rossi, una bandiera per la città di Roma sponda giallorossa, a cui viene affidato l’arduo compito di risollevare una squadra spenta, senza gioco e priva di idee.
Un rischio enorme, sia per la società, che decide di affidare la propria panchina ad un allenatore con pochissima esperienza in tal senso, ma anche per lo stesso ex centrocampista della nazionale, che rischia di bruciarsi ancora prima di iniziare la propria carriera ad alti livelli.

Come al solito, bisognerà attendere e lasciare che sia il tempo a decidere chi avrà o meno ragione, con un inverno che si presenta intrigante e più che mai avvolto nell’incertezza.