Hampden Park di Glasgow, data 15 maggio 2002, finale di Champions League: da una parte il blasone del Real Madrid, dall’altra il fascino del Bayer Leverkusen, rivelazione di quell’edizione, che per la prima volta si trova a recitare la propria parte su un palcoscenico di così elevato valore sportivo. La formazione tedesca è reduce da un cammino clamoroso in cui ha dimostrato tutto il proprio valore, eliminando prima il Liverpool di Houllier, addirittura ribaltando il verdetto di Anfield maturato all’andata, e poi il Manchester United di Sir Alex Ferguson, pareggiando entrambi i match, con il passaggio del turno conquistato in virtù della regola dei goal realizzati in trasferta. In ambedue gli scontri, tra le fila degli uomini di Klaus Toppmöller non mancano i nomi interessanti, si parla infatti di calciatori del calibro di Lucio, Ballack e Berbatov, capaci di affermarsi come vere e proprie icone del proprio periodo storico negli anni avvenire.

Ma al momento di disputare quella finale, quest’ultimi sono poco più che ragazzini, mentre dall’altra parte il Real Madrid è una creatura meravigliosa, plasmata dal talento cristallino di Zinedine Zidane, leader tecnico di un undici semplicemente “galactico”. Non a caso, proprio in quell’occasione, è una conclusione al volo del francese a decidere l’incontro, il quale su assist di Roberto Carlos, decide di incantare l’intera platea di spettatori, sugli spalti e non, con un sinistro fantascientifico su cui nulla può, un incolpevole portiere. Il Bayer Leverkusen, che aveva pareggiato poco prima con una delle specialità della casa, incornata di Lucio su palla inattiva, prova fino all’ultimo ad agguantare nuovamente il pari con una serie di occasioni, anche un po’ rocambolesche, che però si infrangono di volta in volta, di fronte al giovanissimo Iker Casillas, subentrato all’infortunato César Sánchez.

E così allo scadere dei novanta minuti regolamentari, il direttore di gara Urs Meier fischia tre volte, decretando per l’ennesima volta che i campioni d’Europa sono quelli con la casacca “blanca”, mentre il cammino da sogno del Bayer è costretto a fermarsi proprio sul più bello. Una stagione impossibile da dimenticare, anche perché il club di Leverkusen rimase in corsa in tutte le competizioni fino alla fine, quando arrivarono una dopo l’altra, una serie incredibile di delusioni sportive, che qualcuno ricorderà sicuramente con i toni della tragedia calcistica: prima la sconfitta per 1 a 0 sul campo del Norimberga, che costò alla penultima giornata, il sorpasso ad opera del Borussia Dortmund in Bundesliga, poi la dipartita in finale di DFB Pokal per mano dello Schalke, che si impose per 4 a 2, e per concludere, il dolore più grande, il sogno Champions League anch’esso sfumato.

In nessun’altra occasione il Bayer Leverkusen ha raggiunto un tale livello di competitività, né in precedenza, né successivamente, poiché in passato non si era andati oltre la vittoria della Coppa Uefa nella stagione 1987/88, mentre nelle annate avvenire, non vi è nulla di particolarmente significativo da segnalare. Soprannominato in modo satirico “Neverkusen”, a causa della sua scarsa propensione alla conquista di titoli, nonostante il club rossonero possa vantare una certa stabilità economico-finanziaria (condizione quasi tipica del calcio tedesco), grazie ad una costante ricerca di talenti su cui realizzare ricche plusvalenze, (si pensi ad esempio a Kai Havertz), la mancanza di successi degni di nota, soprattutto in tempi recenti, rappresenta una carenza ormai impossibile da ignorare. Ma vincere un trofeo in patria significherebbe realizzare un’impresa ancor più che eroica, poiché bisognerebbe innanzitutto superare la concorrenza di un Bayern Monaco di gran lunga superiore sulla carta, oltre al Borussia Dortmund, attualmente primo davanti a tutti; più concretizzabile l’obiettivo DFB Pokal, o almeno così potrebbe sembrare, se non fosse per l’eliminazione al dir poco clamorosa, maturata a luglio sul campo dell’Elversberg, quando la stagione era appena cominciata.

In quell’occasione, il tecnico Gerardo Seoane non venne esonerato dalla società, ma il suo addio fu soltanto posticipato di qualche mese, poiché agli inizi di ottobre, venne deciso di sollevarlo dall’incarico per affidare la panchina a Xabi Alonso, il quale ha firmato un contratto di due anni, con scadenza giugno 2024. Dopo un inizio deludente, con una sola vittoria nelle prime sette partite disputate tra Bundesliga e Champions League, la formazione guidata dal giovane allenatore spagnolo inizia a carburare, e i risultati non tardano ad arrivare: 15 vittorie, 3 pareggi, e soltanto 4 sconfitte in tutte le competizioni, un rollino di marcia straordinario, che ha totalmente ribaltato le sensazioni di partenza. Purtroppo per i rossoneri il margine guadagnato dalle rivali in Bundesliga rimane ancora abbastanza ampio, ma è in Europa League, che si concentrano le ambizioni del club, giunto addirittura in semifinale: vincere il trofeo significherebbe innanzitutto spezzare la maledizione di perdenti che non vincono dal medioevo, oltre ad un accesso diretto alla prossima Champions League. Un percorso lungo e tortuoso quello dei tedeschi, iniziato dallo spareggio vinto allo stadio Louis II, contro un Monaco, che sembrava già avere la qualificazione in tasca in virtù della vittoria maturata all’andata; da quel momento, i rossoneri si sono trasformati in una corazzata tremenda, capace di spazzare via, prima il Ferencvaros, poi la sorpresa della competizione, il Royal Union Saint-Gilloise, formazione belga travolta dalla superiorità di Moussa Diaby e compagni.

Quest’ultimo, che ha vestito anche la maglia del Crotone nella stagione 2017/18, rappresenta una delle mosse principali nello scacchiere di Xabi Alonso, che si affida alla sua straordinaria velocità per demolire le difese avversarie. Il francese, classe 1999, ha già superato la doppia cifra quest’anno, e sarà sicuramente uno dei nomi più chiacchierati in sede di calciomercato nel corso delle prossime sessioni: dotato di un dribbling impressionante, Diaby riesce ad abbinare la propria classe ad uno strapotere fisico sensazionale, realizzando un micidiale mix di tecnica e rapidità, che lo rendono più che un cliente scomodo per qualunque difensore se lo ritrovi davanti nell’uno contro uno. Non è però il solo, poiché la formazione tedesca può vantare anche qualche altro asso nella propria manica, a partire da Florian Wirtz, talento cristallino classe 2003, di recente rientrato appieno da un infortunio, ma già diverse volte decisivo, tra cui nel match di andata contro il Saint-Gilloise, in cui ha segnato la rete del pareggio nel finale.

Spesso affiancato al connazionale Jamal Musiala per caratteristiche, il giovanissimo trequartista tedesco è in grado di convertire in oro ogni pallone che transita dalle sue parti, come nella leggenda del re Mida. È senza dubbio lui, il cuore pulsante della fase offensiva del Bayer Leverkusen, a cui si aggiungono le doti di Jeremie Frimpong largo sulla destra, oltre agli attaccanti Amine Adli, Adam Hlozek e Sardar Azmoun, calciatori versatili, capaci di svariare su tutto il fronte d’attacco. Manca però un canalizzatore principale, un goleador che possa convertire in modo efficace la mole di gioco creata dai suddetti protagonisti, poiché nessuno tra gli attaccanti sopra citati (a parte Diaby) è attualmente giunto in doppia cifra a questo punto della stagione. In questo senso dovrà lavorare Xabi Alonso, con la Roma di José Mourinho pronta alla doppia sfida in semifinale di Europa League, appuntamento con la storia del club, che non può continuare a rifugiarsi nella mediocrità. Con la recente eliminazione del Manchester United, super favorita della competizione, rimangono soltanto quattro squadre a distanza di centottanta minuti dalla finale di Budapest, che giunti a questo punto, rappresenta un’occasione difficilmente ripetibile per scrivere una pagina degna di entrare dritta nell’antologia del calcio.