Oggi si chiude un cerchio, in questo cupo mercoledì conclusivo di febbraio, si giocheranno i recuperi della 21esima giornata di Serie A, rinviata in gran parte a causa della Supercoppa Italiana, disputata nel mese di gennaio.
Prima il Napoli di Calzona, ospite a Sassuolo, in un match delicatissimo per i neroverdi, che hanno appena cambiato allenatore, e sono alla ricerca di punti necessari ad una salvezza, che quest’anno è ormai pienamente argomento di discussione.
Successivamente, nel posticipo di serata, sarà il turno dell’Inter, che in un modo o nell’altro dirà addio a quell’asterisco carico di superstizione, in una partita in cui l’avversaria è tutt’altro che morbida, dato che si tratta dell’altra rivale nerazzurra, l’Atalanta.

Per molti è già un match point per lo scudetto, ma come ha ricordato spesso l'allenatore nerazzurro, Simone Inzaghi, gli impegni sono ancora molti, e nel calcio basta poco per cambiare situazioni che sembrano apparentemente immutabili.
Senza alcuni titolari, per l’Inter non sarà di certo una passeggiata, e si prospetta un match carico di colpi di scena, in cui il risultato potrebbe cambiare fino all’ultimo, senza definirsi chiaramente dopo pochi minuti.
In uno scenario comunque positivo, in termini di classifica, i pensieri del tifoso interista si incastrano però nel più classico meccanismo pessimista e paranoico, che intreccia presente e passato, riportando alla luce frammenti più o meno recenti della storia nerazzurra.
E qui arriviamo al dunque, il vero motivo per cui oggi ho deciso di scrivere questo pezzo: riflettere insieme a voi, su quali siano le cause dietro al fragile profilo psicologico dell’interista medio (io nello specifico), che vive ogni partita come se nascondesse in sé una possibile tragedia, sportivamente parlando.

Tornando indietro nel tempo, riavvolgendo il nastro dei ricordi, credo che le motivazioni di tale malessere siano da ricercare principalmente in alcuni traumi infantili, o meglio giovanili, causati da un’Inter, a tratti imbarazzante, che ha scritto pagine nere della storia recente.
A proposito di corsi e ricorsi storici, proprio una partita con l’Atalanta rappresenta uno dei capisaldi di questa teoria, come un vero e proprio incubo partorito da un subconscio diabolico: Inter - Atalanta 3 a 4 dell’Aprile 2013.
Uno degli episodi più drammatici della sfortunata avventura di Stramaccioni, nell’anno del nono posto in Serie A; una stagione indimenticabile poiché traumatizzante, iniziata all’insegna dell’ottimismo e terminata tra lacrime e rassegnazione, sotto i colpi incessanti delle avversarie, mai stanche di marciare su una squadra calcisticamente defunta.
Il lato più sadico e tremendo di quella partita è la logica che segue nel suo sviluppo, con l’Inter in vantaggio di ben due reti all’ora di gioco, che non soltanto riesce nell’impresa di farsi raggiungere nel punteggio, ma addirittura perde subendo quattro goal in casa, di cui tre in poco più di dieci minuti.
Una serata magica per German Denis, attaccante argentino della Dea, autore di una tripletta clamorosa, sotto gli occhi attoniti di una difesa interista incapace di reggere qualsiasi forma d’urto, schiacciata inerme sotto il peso di una maglia che non era in grado di gestire.
Tra i principali artefici del misfatto, Andrea Ranocchia, che probabilmente avrà rimosso quell’esperienza dai propri ricordi, con un rigore causato, un alto indice di colpevolezza su ogni goal realizzato dall’Atalanta, e in più una clamorosa occasione divorata nel finale, con la porta spalancata di fronte a sé.

Non voglio assolutamente paragonare quella squadra all’Inter attuale, dato che non esiste nessun tipo di confronto sensato, ma nella mente contorta del paranoico tifoso nerazzurro, alcuni episodi emergono come fantasmi di un passato, che probabilmente mai sarà possibile dimenticare fino in fondo.
Forse però, certe situazioni potrebbero aiutare a capire meglio quanto effettivamente sia prezioso il lavoro di una società, al di là del valore dei giocatori che scendono in campo, la quale sta realizzando passo dopo passo un meraviglioso progetto tecnico, a prescindere da come potrà concludersi questa stagione.

Vincere o perdere stasera può significare qualcosa solo dal punto di vista dei punti in classifica, ma quello che sta realizzando l’Inter, di anno in anno, ha un significato ben più profondo, che va oltre l’importanza dei singoli interpreti.
A questo punto, dunque, sorge spontaneo domandarsi se abbia ancora senso flagellarsi con questo pessimismo auto-indotto, e la risposta sarà sempre la stessa: il calcio è passione, e come tale va vissuto, un mix di sentimenti opposti, impossibile da vivere con totale distacco, altrimenti come in amore, che ci stiamo a fare insieme?