NOTA della redazione per i blogger: per il mese di febbraio, sono stati sospesi i voti agli articoli, ecco perché tutti i blogger ricevono una bassa valutazione con il voto 1; vogliamo dunque chiarire che non è un giudizio negativo al pezzo qui proposto. Grazie per continuare a scrivere su VxL.



Si dice che alcuni uomini non muoiono, nonostante la loro vita si esaurisca, come accade alle candele che si spengono dopo essersi consumate. Non muoiono perché la loro immagine resiste nel personaggio che hanno vissuto, o meglio interpretato, all’infuori di un tempo che di per sé è limitato, lasciando un segno perenne nella storia che li ha osservati passare.

Andreas Brehme è uno di quei calciatori che rimarrà nel mito di questo sport, al di là dei colori indossati e del paese di provenienza, un termine di paragone assoluto per il ruolo di difensore totale.
Una fonte di ispirazione per intere generazioni di appassionati, anche per chi, come il sottoscritto, per ragioni di età, non lo ha mai visto giocare dal vivo, ma che in un certo senso è come se lo avesse vissuto ugualmente, nei racconti di chi lo descrive come uno dei più grandi di tutti i tempi.

Dal celebre scudetto dei record vinto con l’Inter nella stagione 1988/89, al Mondiale conquistato con la Germania nel 1990, passando anche per la Coppa Uefa della stagione 1990/91, sollevata sempre con la maglia nerazzurra, che ha continuato a sostenere anche dopo il suo addio nel 1992.
Inventato terzino sinistro da Giovanni Trapattoni, Brehme non era un mancino naturale, anche se ad oggi si fa ancora fatica a crederlo; capace di calciare con entrambi i piedi, le sue doti diedero un gigantesco impulso di modernità al gioco delle squadre in cui ha militato, compresa la nazionale tedesca di cui rimane un’icona indiscussa.

Con la maglia della Mannschaft scrisse la storia calciando il rigore decisivo ad Italia 90, contro lo stesso portiere che aveva parato due rigori agli azzurri, nello specifico ad Aldo Serena (compagno dello stesso Brehme all’Inter) e Roberto Donadoni.
In quell’occasione avrebbe dovuto calciare Matthaus, ma il pallone d’oro tedesco esitò a causa degli scarpini appena cambiati, e allora si presentò lui dal dischetto, di fronte al temibile Goycochea, estremo difensore abilissimo nella pratica di intercettare i tiri dal dischetto.
Con la stessa calma con cui i comuni mortali (come il sottoscritto) bevono il caffè, prese una piccola rincorsa e piazzò il pallone all’angolino basso alla sua sinistra, come se fosse un esercizio semplice, al punto da sembrare una banalità.

Una carriera vissuta da protagonista assoluto, nonostante un ruolo non eccessivamente appariscente, quale quello del terzino, spesso bistrattato e dimenticato, come se fosse interpretabile da chiunque, poiché poco importante.  

Eppure, la storia ci insegna quanto possa essere determinante avere dalla propria parte un terzino come Andy Brehme, visto e considerato che la stessa squadra con cui ha espresso principalmente le proprie doti, ovvero l’Inter, ha fatto una fatica enorme a trovare sostituti all’altezza nelle successive generazioni.
Senza considerare il breve passaggio di Roberto Carlos, ceduto molto giovane al Real Madrid, in tanti hanno cercato di emulare le capacità del laterale tedesco, senza però mai avvicinarsi nemmeno lontanamente alla sua efficacia, realizzando al contrario una sorta di casting infinito per la fascia sinistra.
Soltanto l’attualità sta regalando all’Inter una personalità di spicco in quel ruolo, che almeno in prospettiva può essere considerato un degno erede di quel campione: si tratta di Federico Dimarco, reduce da un periodo fantastico, ricco di assist e goal, tra cui la prodezza incredibile da centrocampo contro il Frosinone.
Un paragone pesante, ma quasi del tutto naturale, se pensiamo al concetto che entrambi possono esprimere per diverse generazioni, accomunate tra loro dalla passione per il talento, riconosciuto in forme e progressioni differenti.

Senza spendere ulteriori parole che possano tirare in ballo numeri e statistiche, vorrei concludere rivolgendo un pensiero sincero per un uomo che è andato via davvero troppo presto, ed a cui sarebbe stato bello restituire in parte le emozioni che ha regalato, in un finale di stagione in cui l’Inter ha il dovere di sentirsi grande, e lottare fino in fondo.

Soprattutto stasera, nelle notti in cui echeggia la melodia delle grandi occasioni, la stessa che avremmo voluto ascoltare insieme ad Andy Brehme, una leggenda nerazzurra, che spero possa riposare in pace.