A veder giocare Baggio ci si sente bambini… Baggio è l’impossibile che diventa possibile, una nevicata che scende giù da una porta aperta nel cielo. Firmato Lucio Dalla.

Ci sono calciatori che non di dimenticano. Ci sono atleti che si amano per sempre e si amano a prescindere dai colori ch’essi hanno indossato. Poi c’è lui, che i colori più amati del calcio italiano li ha vestiti tutti e che tutti hanno amato. E’ il numero 10 più numero 10 del calcio italiano e lo è stato anche quando quel numero gli è stato tolto, dalle spalle ma non dai piedi. Oggi ricorre il giorno del suo ultimo gol in carriera. E' il 9 maggio 2004 quando Roberto Baggio segna il suo ultimo gol in carriera, nella partita tra il Brescia e la Lazio. Un gol, segnato allo scadere, che rispecchia le sue immense qualità, come fosse una specie di riassunto finale del suo artistico e fantasioso modo di giocare a calcio: dribbling col destro e preciso diagonale di sinistro sul secondo palo. Con quella sua ultima rete, Baggio raggiunge quota 205 marcature in Serie A, in quel momento dietro soltanto a Piola, Nordahl, Meazza ed Altafini (negli anni avvenire lo supereranno altri due numeri 10: Totti e Di Natale).  

Questa la sua storia
Nasce a Caldogno (vicino Vicenza) il 18 febbraio del 1967, da papà Florindo (calciatore dilettante) e mamma Matilde. E’ il sesto di otto fratelli, tra cui quel Eddy Baggio che tra gli anni Novanta e Duemila calcherà i campi di serie B e C. Pare che il nome sia dovuto alla passione che papà Florindo aveva per Roberto Boninsegna e per Roberto Bettega. Già da bambino accusa i sintomi evidenti della malattia che caratterizzerà tutta la sua esistenza: il pallone. Gioca con tutto quello che trova: palline da tennis, carta bagnata e poi indurita sul termosifone; gioca nel corridoio di casa, fa gol da solo (nella porta aperta del bagno), urla e poi si fa la radiocronaca ... insomma, come tutti noi a quella età, solo che tutti noi non eravamo lui. I suoi amici lo chiamano Guglielmo Tell, perché si allena a tirare le punizioni mirando i lampioni della strada.

Fino a quando il suo campo non diventa quello vero del paese. Robi gioca, si diverte e diverte tutti. Insomma, è il piccolo fenomeno di Caldogno, il “Piccolo Zico” (così cominciano ad appellarlo). A Caldogno arrivano gli osservatori, il Vicenza lo prende subito e subito lui conquista il Vicenza. A soli sedici anni, l’11 giugno 1983, va in panchina per l’ultima di campionato di serie C: Vicenza-Piacenza 0-1; entra nella ripresa al posto del centrocampista Carlo Perrone. Nella stagione successiva Bruno Giorgi lo inserisce in prima squadra. Incanta con la sua fantasia e i suoi tocchi da brasiliano. Lo chiamano nelle nazionali Under 16 e Juniores. Due campionati in C, stagione 83’/84’ e stagione 84’/85’: nella prima solo sei presenze e un gol; nella seconda è titolare, è già fenomeno, è già Roberto Baggio.

Tutti lo vogliono, la Sampdoria di Mantovani, la Juventus, la Fiorentina. Ed è proprio il conte Pontello che lo porta in viola, pagandolo due miliardi e 700 milioni di lire. Baggio ha 18 anni ed è felicissimo, ma presto assapora il retrogusto amaro della sfortuna, quell'accanita Dea sbendata, che solo i grandi sanno mettersi letteralmente sotto i piedi. E’ II 3 maggio del 1985, Baggio ha firmato per la Fiorentina due giorni prima, ma deve finire la stagione col Vicenza. Quel giorno gioca a Rimini (allenato da Arrigo Sacchi), segna ma si fa male. Molto male: rottura del legamento crociato e del menisco della gamba destra. E’ operato in Francia, dal professor Bousquet, il chirurgo dei campioni costretto a mettere 220 punti di sutura per rimettere a posto la sua gamba. A causa del periodo di stop, perde 12 kg, arrivando a pesarne 56, e vive così isolato dal resto della squadra che si dimentica di richiedere lo stipendio per cinque mesi. La Fiorentina comunque lo aspetta, a Firenze trova amici e conosce i campioni del mondo Antognoni e Oriali. Ma Roberto non gioca e i dubbi cominciano ad assalirlo. Il massaggiatore Pagni si prende cura di lui e gli dà consigli, soprattutto quello, saggio, di non avere fretta. Il momento è di quelli difficili, lo sconforto è tanto, comincia ad avvicinarsi alla fede buddhista. Baggio non ha fretta, guarisce, s’allena, torna in forma e comincia la sua avventura con la maglia della Fiorentina. Colleziona cinque presenze in Coppa Italia e disputa, nel febbraio 1986, il Torneo di Viareggio. Bersellini lo fa debuttare in serie A contro i blucerchiati di Roberto Mancini, il 21 settembre 1986. Sette giorni dopo, in allenamento, il ginocchio operato si spacca. Ancora in Francia, ancora operazioni. Altri tre mesi fermo, dolori e sconforto. Si riprende a fatica, rientra. Ma il destino è feroce: un’altra rottura, questa volta è il menisco. La Dea sbendata lo assale ancora e questa volta sembra proprio avere la meglio. Sghignazza, beffarda, mentre Roberto entra in sala operatoria; non sa però di avere di fronte il futuro divin codino. Lo assiste mamma, Matilde, come lui stesso racconterà: La mamma era il mio angelo. Quanto mi e stata vicina, quanto mi ha aiutato! In ospedale, dopo le operazioni, stavo malissimo. Non potevo prendere antidolorifici e il dolore mi trapassava il cranio. Una volta mi sono girato verso di lei, che mi stava accanto, e le ho detto: “Mamma, sto malissimo. Se mi vuoi bene uccidimi perché io non ce la faccio più”. Lei mi accarezzava: “Non fare lo scemo, eh? Dai dai, tornerai come prima. Più bello e più forte". Roberto torna, ce la fa, gioca. Segna a Napoli, nella città di Maradona. Primo scudetto del numero 10 più forte di tutti i tempi (Pelè permettendo) e primo gol di Roberto Baggio, che i giornali descrivono così: «Una magica punizione, alla Maradona». E’ la svolta, la sfortuna è sconfitta, il divino inizia il suo cammino verso l’Olimpo. Diventa il simbolo della Fiorentina, l’idolo di Firenze.

Si aprono le porte della nazionale. Esordisce il 16 novembre del 1988, a 21 anni, in occasione della partita amichevole contro i Paesi Bassi (1-0), organizzata in ricorrenza del 90º anniversario dell'istituzione della FIGC: in questa gara fornisce l'assist per il gol decisivo di Gianluca Vialli. Il suo primo gol azzurro arriva il 22 aprile del 1989, su calcio di punizione (altro pezzo forte della casa) nell'amichevole contro l'Uruguay (1-1).
In quello stesso anno si sposa. La fortunata è Andreina, che conosce da sempre, stesso paese, stessa zona, stessa scuola.
Dopo cinque splendidi anni in maglia viola, nel 1990 approda alla Juventus: è il trasferimento più chiassoso e contestato di sempre. Neanche lui vuole andare via, ma Pontello decide così, con buona pace dei tifosi viola, che mettono letteralmente a ferro e fuoco la città, e di Roberto, che nella conferenza stampa di presentazione getterà via la sciarpa bianconera, messagli al collo davanti ai giornalisti, e che qualche mese dopo si rifiuterà di calciare un rigore contro la sua ex squadra.

Quella cessione arriva nell’anno del Mondiale di Italia ’90, arriva proprio a ridosso dei giorni e delle notti magiche. La rabbia dei tifosi viola è incontenibile e si scaglia anche alle porte di Coverciano, dove Baggio è in ritiro con la Nazionale., costringendo c.t. Azeglio Vicini a chiudere il centro federale al pubblico. Quello è il mondiale di Schillaci, meglio, è il mondiale del duo Baggio- Schillaci. Ed è il mondiale della delusione: semifinale contro l’Argentina di Maradona persa ai rigori.

Dopo l’estate e le notti azzurre, ecco la Juve di Gigi Maifredi, un tecnico giovane che promette calcio champagne. Baggio con il 10 di Michel Platini è l’uomo giusto. Ma la Juve non decolla, anzi precipita in classifica. E precipitano i rapporti tra Roberto (che diventa papà di Valentina) e i tifosi, causa anche quel rifiuto dal dischetto di cui sopra. La Juve richiama Giovanni Trapattoni, costruisce una buona squadra, ma il Milan è ancora travolgente. Roberto fatica, poi si sblocca, segna 18 volte e torna in Nazionale. Adesso il c.t. è Sacchi. Il Trapattoni-bis è un secondo posto. Il nuovo anno consacra Baggio: 4 gol all’Udinese, 3 al Foggia, doppiette a raffica. Stagione eccellente: 21 gol in tutto. Conquista tifosi, Agnelli, coppa Uefa, il Pallone d’oro. La stagione ’93-94 è un’altra buona annata, anche fuori dal campo: arriva infatti il suo secondogenito, Mattia.

Va in America ai mondiali, con Sacchi allenatore: un sogno, che diventa un incubo. In America ha la 10, è titolare indiscusso, è il divin codino italiano. Ma l’inizio è deludente e cominciano a piovere le prime feroci critiche (lo stesso Gianni Agnelli lo stuzzica: Sembra un coniglio bagnato). Lui reagisce, si prende in mano la nazionale e, a suon di gol pesanti (contro Nigeria, Spagna e Bulgaria), la porta in finale. Contro il Brasile, l’incubo: zero a zero e i maledetti calci di rigore, che consegnano la coppa ai carioca, complice gli errori dal dischetto di Baresi e suo (spara alto sopra la traversa). Pare che il suo maestro spirituale, Daisaku Ikeda, l’avesse previsto:  Quel Mondiale lo vincerai o lo perderai all’ultimo secondo.  

La stagione 1994-95 è la sua ultima in bianconero. In panchina c'è Marcello Lippi. Roberto si fa male e va in panchina o in tribuna, mentre si fa strada il giovanissimo Alessandro Del Piero, che presto diventerà il suo erede. La Juve vince lo scudetto, grazie comunque anche ai gol e agli assist di Baggio, nella prima parte della stagione. Fa festa con la Juve, ma quella non è più la sua Juve. Finisce sul mercato, lo seguono in tanti, lui sceglie il Milan (che lo aveva cercato cinque anni prima).

Quindi, l’anno dopo approda al Milan di Capello e accetta la maglia numero 18. Quel Milan, dopo un solo anno di pausa, vince ancora lo scudetto. Per l’allenatore friulano è il quarto in cinque anni, per Baggio il secondo di fila con due squadre diverse (è uno dei pochissimi giocatori a poter vantare un simile record). I tifosi rossoneri fanno presto ad innamorarsene, anche se viene spesso sostituito e spesso questiona con l’allenatore. Il secondo anno rossonero è quello fallimentare di Tabarez (poi sostituito da Sacchi). Va tutto male e Baggio soffre la panchina, che troppo spesso gli viene imposta.

A fine aprile 1997, Cesare Maldini lo riporta in Nazionale. La  partita è Italia-Polonia, valida per le qualificazioni ai Mondiali 1998: finisce 3-0, con un suo gran gol.
Intanto al Milan torna Capello e Baggio lascia. Sembra ormai un giocatore finito.
Ma il Bologna lo riporta su. Il suo obiettivo principale è sempre la Nazionale, forse la sua unica e vera maglia. Cesare Maldini lo richiama. A Bologna i rapporti con l’allenatore Renzo Ulivieri non sono semplici (tanto per cambiare), ma il bilancio personale di Baggio è strepitoso: 22 gol, suo record in A.
Va a Francia ’98, ma il titolare, e il numero 10, è Del Piero (che, di gol, in quel campionato ne ha segnati 21). Il Mondiale francese è segnato dal dualismo Baggio-Del Piero: Roberto segna contro il Cile e l’Austria, sfiora il golden gol contro la Francia ai quarti. L’Italia esce ai rigori (ancora!), battuta dai francesi.

Nell’estate 98, dopo una sola stagione, lascia Bologna e torna a Milano, stavolta all’Inter. Con la 10 sulle spalle! Due campionati nerazzurri, tormentati da molti infortuni (specie quello di Ronaldo il Fenomeno) e dai troppi cambi di panchina (Simoni, Lucescu, Hodgson, Castellini, Lippi). Baggio non riesce a dare il massimo, ma rimangono impressi nella memoria dei bauscia i due gol in Champions league al Real Madrid campione d’Europa. Poi, altre buone gare, altri gol, altre panchine, altri problemi con l’allenatore, Marcello Lippi (tanto per cambiare).

Nell’estate 2000 il presidente del Brescia, Corioni, lo convince ad accettare la sua proposta. Baggio incontra Carlo Mazzone, con cui instaura un bellissimo rapporto. Tre stagioni bellissime, il giusto epilogo del 10 più 10 di tutti (anche a Brescia saldamente sulle sue spalle). In quel Brescia giocano Luca Toni, Gigi Di Biagio, Andrea Pirlo e Pep Guardiola. Arrivano tanti gol e grandi prestazioni: una vera rinascita. Sogna il mondiale in Corea e Giappone, il ct è Trapattoni, lui ci crede. Ma la dea sbendata si prende la sua beffarda rivincita: cede il ginocchio sinistro. La riabilitazione è da record, ritorna in campo dopo 76 giorni, in tempo per segnare tre gol nelle ultime tre partite. Ma Trapattoni non lo convoca. La delusione è grande, lui però decide di andare ancora avanti, perché il divin codino alla fine, sulla Dea sbendata, dovrà avere la meglio. E’ così è. Gioca altri due anni, taglia il traguardo dei 200 gol (poi saranno 205).

Il suo vero score è comunque un altro: tra club, nazionale maggiore, nazionale giovanile e FIFA World Stars, Baggio ha giocato globalmente 706 partite segnando 323 reti, una media cioè di 0,46 gol a partita.

Il 28 aprile del 2004, lo stesso Trapattoni lo convoca per l'ultima volta in nazionale, in occasione di una partita amichevole contro la Spagna: per il trentasettenne Baggio si tratta di una convocazione-tributo, cose che si riservano solo ai grandissimi. Nel secondo tempo, dopo l'uscita dal campo di Fabio Cannavaro, indossa la fascia da capitano e riceve una standing ovation dal pubblico quando viene sostituito negli ultimi minuti da Fabrizio Miccoli. In nazionale totalizza in tutto 56 presenze e 27 reti.

Nel 2005 gli nasce il terzo figlio, Leonardo.

Il 4 agosto 2010 viene ufficializzata la sua nomina a Presidente del Settore tecnico della Federazione. Carica che lascia 3 anni dopo. Perché? Non ci tengo alle poltrone. Il mio programma di 900 pagine, presentato a novembre 2011, è rimasto lettera morta, e ne traggo le conseguenze.

Molto impegnato nel sociale, è stato anche ambasciatore della Fao… un altro colpo da vero numero 10 (della vita).

Chiudo come ho aperto, con una citazione:
Mi ricorda Peppìn Meazza: non credo si possa fare elogio più alto di un giovane attaccante al giorno d'oggi! Firmato Gianni Brera.