Correva l’anno 2017 (dunque neanche troppo tempo fa). L’estate stava giungendo al termine e, insieme a mia moglie, stavo sistemando il nostro nuovo appartamento per andare a viverci. Un periodo caotico, quello. Tra rogito, trasloco, nuovi inizi e progetti a non finire si faceva fatica a non cadere in confusione. Ricordo che ebbi la grande idea di scongelare il freezer con l’asciugacapelli di mia moglie. Una volta sbrinato completamente, lo richiusi e lo riaccesi… con l’asciugacapelli abbandonato dentro uno dei cassetti, come un trancio di sogliola. Per mia fortuna, mia moglie la prese con filosofia e non fui crocefisso in sala da pranzo, ma per me fu un piccolo campanello d’allarme. Forse era giunto il momento di rallentare un pochino, almeno per qualche giorno. Decisi allora di prendermi un weekend lungo di ferie, 4/5 giorni nei quali lasciarmi andare all’ozio assoluto. Questo fino a dieci secondi esatti prima che la mail scritta per avvertire lo studio della mia assenza fosse inviata. Il momento in cui il cellulare del lavoro cominciò a squillare, vibrando con violenza sulla scrivania di casa con un tono greve, molto più minaccioso del suo timbro neutro e digitale. D’altronde, diceva un mio vecchio amico d’infanzia, anche le cose hanno una propria anima, e quando vogliono sanno annunciarti l’arrivo di una sola megagalattica. E quel giorno, il cellulare ne stava annunciando una cosmica.

Dall’altra parte della cornetta c’era la signora Marzia, amministratrice di una piccola azienda manifatturiera colma di speranze, a cui facevo consulenza da due anni. Non ci sentivamo da circa tre mesi, che in realtà è un lasso di tempo incredibilmente breve per il mio lavoro. Per questo, mi sorpresi quando la signora Marzia mi disse che l’azienda si trovava in una situazione preoccupante. I fatturati, e quindi anche i margini, erano in calo. Le banche concedenti fidi, castelletti e mutui, cominciavano a ringhiare, minacciando di chiudere i rubinetti da un momento all’altro. Insieme ai suoi fratelli, nonché soci, la shura Marzia temeva di dover sborsare ingenti somme a fine anno, per ripianare una possibile perdita. Chiuso il telefono diedi allora una lunga occhiata alla mail, ancora immobile sul mio desktop e, dopo averle lanciato un bacetto, la cancellai. Ferie rimandate, ancora una volta.

L’indomani mi feci dunque un viaggetto di tre orette verso l’azienda della signora Marzia. Diversamente dal solito in tali situazioni, dove solitamente trovare il problema non è una cosa così diretta, dopo appena un’oretta le cose mi apparvero abbastanza chiare. Come la stessa signora Marzia raccontò, circa sette/otto mesi prima, il suo responsabile alla produzione aveva dato le dimissioni. Capita quando si sottopagano le persone (ovviamente questo me lo tenni per me). Nulla di nuovo, comunque. Di ciò ero già stato messo al corrente negli incontri precedenti, così come mi ricordavo che i soci lo avevano prontamente sostituito con un certo “fenomeno del tornio a mandrino”, strappato alla concorrenza. Piccolo problema, il nuovo responsabile aveva dovuto attendere i sei mesi necessari di preavviso, prima di dare le dimissioni nell’azienda di provenienza. Nel frattempo, il ruolo era stato preso in pectore dal più anziano degli operai, tal signor Ulisse (un nome un programma). Forte della sua lunga esperienza, Ulisse aveva rivestito abbastanza bene la sua nuova e momentanea carica. Certo, non ci furono miglioramenti estremi o improvvisi picchi di produzione grazie a lui, ma le cose erano procedute in maniera fluente ed efficace. Venne poi però il giorno in cui il nuovo responsabile prescelto prese servizio nell’azienda della signora Marzia. Come molti avranno già presagito, i problemi cominciarono quasi nell’immediato. Ritardi di produzione, incomprensioni tra gli addetti a non finire, clienti sempre più scontenti e, quindi, calo del fatturato. Come lei stessa ammise, assumere il nuovo responsabile si era rivelato un errore madornale. Cercando di portare la sua concezione del lavoro, praticamente agli antipodi rispetto a quella dell’azienda, i ritmi si erano stravolti, creando grande confusione. Nel cercare di recuperare, Mazia e i suoi fratelli decisero di affiancare Ulisse al nuovo responsabile, per chissà quale folle ragione. Fu il loro secondo clamoroso errore, anche se fatto con i migliori propositi, s’intende. Da una parte il nuovo responsabile si sentì defraudato della sua carica; dall’altra, il signor Ulisse non riusciva a far confluire la “nuova visione” in un gruppo già ben rodato. L’unico risultato di questa fusione di teste estremamente calde fu una detonazione terribile per l’azienda. Il signor Ulisse diede le dimissioni dopo appena tre settimane, andandosene da un’azienda nella quale aveva passato gli ultimi 30 anni. Il nuovo responsabile fu invece accompagnato alla porta, con relativa buona uscita a cinque zeri, poco più tardi.

Da un punto di vista tecnico, le cose si risolsero nel giro di un semestre. Finita la confusione, il settore produttivo riuscì a trovare una sua armonia e i clienti, convinti a suon di sconti, cominciarono a tornare. Ciò che potei fare io fu semplicemente metterci una pezza con le banche e le società di leasing, prorogando scadenze, presentando business plan e motivazioni sufficienti a mantenere i crediti aperti. Una situazione neanche troppo critica insomma, ma che in realtà mi lasciò dentro una grande convinzione. All’interno di un’azienda, di un gruppo, nulla fa più danni della confusione. La confusione è un serpente bastardello, perché come la muffa riesce ad annidarsi negli angoli più impensabili. A volte non si nemmeno perché nasca e perché si estenda in maniera così rapida. Una cosa però è certa: la confusione non nasce per caso, ma è provocata. Provocata, almeno il più delle volte, da un punto di vista che non vede la realtà per quella che è, ma per ciò che vuole vedere. Molte fantomatiche “rivoluzioni” periscono appena nate, proprio per questa ragione. La ragione, semplice e serafica, che cerca spesso di farci capire come di una rivoluzione non ce ne sia sempre il bisogno. Purtroppo, come diceva spesso un mio professore di filosofia, non c’è cosa che l’uomo tema di più della noia e per combatterla è disposto a tutto, compreso il disfacimento di ogni cosa.

Prendete ora il Milan di oggi, ovvero la compagine post-covid guidata da Pioli da una parte, la dirigenza a trazione Gazidis dall’altra. Che cosa ci leggete? Semplice: confusione. Un gruppo che finalmente ha trovato una sua solidità e, perché no, un certo entusiasmo, segnato dalla semplicità e dalla voglia di divertirsi, pronto per essere smontato per l’ennesima volta. Perché? Sono da giorni che mi pongo questa domanda eppure, nonostante sia dotato di una fantasia alquanto allegra, faccio fatica a rispondermi. Perché? Ora, io non voglio assolutamente dire che Herr Rangnick non sia una scelta giusta. Anzi, da un punto di vista romantico, mi sconfiffera il suo modo di intendere e gestire il calcio, non è questo il problema. E non lo è nemmeno il dispiacere per il trattamento che riceverà Pioli, il quale comunque vada cadrà in piedi, ritto come un fuso, dopo questa esperienza sulla panchina rossonera. No, ciò che più mi spaventa è proprio la confusione, o almeno l’apparente sindrome d’indecisione di cui sembrano affetti i piani altissimi di via Aldo Rossi. Proprio ieri addirittura, leggevo sulla rosea come Gazidis & co. potrebbero ripensarci o nientemeno di proporre un’accoppiata sperimentale, Rangnick-Pioli. Ve lo immaginate? Io molto bene, dato che ne vidi una sorta di fac-simile dentro l’azienda della signora Marzia. Uno che dice all’altro come deve fare il suo lavoro, mentre l’altro non capisce nemmeno perché si trova lì, a farsi comandare dopo tutto quello che ha fatto e dimostrato. Uno che vuole portare una rivoluzione, l’ennesima, costi quel che costi in quel di Milanello; l’altro che vorrebbe solo rendere ancora più solido il progetto messo in piedi con grandi fatiche e poca fiducia dimostratagli. Pensate che una cosa del genere possa funzionare? Io no e per questo sono felice che una simile ipotesi sia pura fantascienza. Ciò nonostante, questo costante permanere nella confusione inquieta il mio animo di tifoso e mi porta a temere come la prossima stagione, vista dalla dirigenza come quella del nuovo inizio, potrebbe essere invece quella della fine definitiva. Rangnick, su questo non ci sono dubbi, è o sarà una scelta targata Gazidis. Una scelta per il quale il Milan ha mutato o dovrà mutare ancora una volta pelle. Un cambio di rotta del quale nessuno di noi può prevederne l’esito e, per questo, mi domando: e se le cose dovessero andare, per l’ennesima volta, male? In un Milan definitivamente, e finalmente, scevro da capri espiatori, Gazidis come ne uscirebbe? Io non lo so e, se queste voci su ripensamenti da parte dell’AD rossonero dovessero essere veritiere, probabilmente neanche lui.
Confusione totale… non c’è nulla di peggio.

Un abbraccio
Novak