Il Milan riparte vincendo per 0-3 il match contro il Genoa, squadra di umile classifica e rimaneggiata nella formazione. La vittoria, però, non va sottovalutata, in quanto i rossoneri non vengono mai accolti con molta simpatia a Genoa, specie quando giocano contro il Grifone. Il fattore ambientale rappresentava un'insidia anche al di là della caratura degli avversari, non eccelsa. E' stato un merito non trascurabile superare l'ostacolo in scioltezza, pur accompagnati dalle insicurezze di una sconfitta in casa col Sassuolo.
La ripartenza ci dice che il Milan non è sulle gambe né ha una rosa scadente, come temevano o lamentavano molti tifosi. Messias, infatti, snobbato da molti tifosi, ha segnato una doppietta. Il parco giocatori è valido, migliorabile come quello di quasi tutte le squadre, ma valido.
Pioli ha preso atto che contro il Sassuolo la squadra era troppo lunga e il centrocampo era rarefatto. Ha optato, quindi, per una difesa a 3
in cui oltre ai difensori centrali, c'erano sempre o Tonali (al centro) oppure Kessie (sulla sinistra) che completavano la linea arretrata. Kalulu ed Hernandez giocavamo avanzati a centrocampo.
Il reparto centrale del 3-4-1-2 era completato da quel centrocampista che, volta per volta, non retrocedeva (quindi Tonali o Kessie) più Kalulu ed Hernandez, nonché Krunic sulla mezza sinistra.
Il bosniaco aveva la funzione del rex sacrorum nell'antica Roma, un monarca con sole funzioni sacrali, affinché gli dei non si accorgessero che la monarchia era stata eliminata dopo Tarquinio il Superbo. In questa veste, Krunic, ricopriva il ruolo che era stato di Chala, pur senza essere Chala per tiro e senso dell'assist. Con molta diligenza e applicazione, senza sprecare palloni, seguiva le stesse linee del turco, con l'accortezza di non intralciare le salite di Hernandez e Kessie. Krunic, in sostanza, ha mascherato bene una lacuna della squadra dopo l'addio di Chala, non sostituito in sede di mercato, nella quale manca l'uomo di collegamento fra centrocampo e attacco.
Nello schieramento di ieri, Diaz era quel numero "1" fra il "4" e il "2" del 3-4-1-2,  ma a patto di considerare che partiva da una quarantina di metri col solo compito di infilarsi negli spazi aperti dal centravanti arretrato Ibra. Lo svedese si schierava da centravanti vero solo quando il gioco rossonero penetrava nell'area del Grifone. Messias se ne stava in disparte come seconda punta molto larga, mimetizzato nelle paludi lungo la fascia, giusto per essere considerato un elemento alla Saelemaekers e non allarmare la linea arretrata rossoblu. Quest'ultima è stata, in sostanza, la mossa più riuscita di tutte.
Il Milan ha tremato appena dopo il fischio di inizio. Si è infortunato Kjaer per lasciare il posto a Gabbia e, quasi contestualmente, il Genoa ha avuto l'unica vera palla gol della prima fase, di poco alta sulla traversa. Era evidente che Shevcenko aveva cercato di sorprendere il Diavolo a freddo.
I rossoneri si sono messi a condurre le danze per tutti i restanti 45'. Andavano in vantaggio con Ibra su punizione, che beffava il pur esperto Sirigu sul suo palo (era successo anche a Bologna, se ricordo bene).
Ancora Ibra, defilato sulla destra dell'attacco rossonero, sbagliava da facorevole posizione (come giocatore di movimento, accusa le 40 primavere e non sempre è lucido sotto porta). Diaz partiva da lontano e, come sempre quando staziona lontano dalla rete, arrivava stremato in area e si arenava nelle secche dei bassi fondali (ha le leve corte e deve fare il doppio delle falcate rispetto agli altri per coprire l'identica distanza). Infine Messias, ignorato e inatteso dalla difesa gialloblu, si inseriva in area dalla fascia destra e confezionava un pallonetto diabolico di testa. Era il gol che mandava il Milan negli spogliatoi col doppio vantaggio.

Nel secondo tempo, uscito Gabbia ammonito, Pioli tornava alla difesa a 4 accentrando lo smagliante Kalulu e inserendo l'onesto Florenzi. Sheva chiedeva ancora ai suoi di sorprendere gli avversari, ma era Maignan a salvare, volando verso quella zona della porta alla sua mancina alta dove i ragni tessono le tele. Avrebbe ripetuto la parata a metà del secondo tempo, questa volta per rimediare a un errore di posizionamento, visto che si era avventurato troppo fuori dei pali. Messias sbucava ancora dalle paludi della fascia sinistra come Rambo da quelle dell'Indocina, giusto in tempo per segnare il terzo gol con un colpo da biliardo. L'azione era partita da uno scambio fra Kessie ed Hernandez a centrocampo, seguita da un'azione alla mano in area Hernandez-Diaz-Messias. Tutto molto bello.
Messias sa stare in campo, spreca poco, non perde mai la postura quando calcia e vede bene la porta. Sa procurarsi i falli puntando l'uomo
, cosa che permette di far salire o rifiatare la squadra. In quest'ultima specialità era maestro un illustre rossonero del recente passato, Donadoni, anche se era un vero centrocampista rispetto al brasiliano. Forse i Singer hanno considerato Messias un ripiego, ma ho sempre avuto la sensazione che sia stato preso perché piaceva tanto all'area tecnica. Non è un trequartista, ma un attaccante, seconda punta o ala. Non chiedetegli di essere George Best e non vi deluderà. Sa giocare, come aveva fatto notare in estate Cosmi, suo ex-allenatore a Crotone.
Devo far notare che, nel primo tempo con Kalulu e Kessie, il possessore di palla in difesa, sentendosi pressato, non ha esistato a sbarazzarsi della palla mandandola fuori. Buon segno, perché è male sprecare palloni, ma quando si è in difficoltà è sempre meglio non rischiare.

Questa vittoria va presa per quello che è, un bottino di 3 punti che non pone fine a nessuna crisi, perché non c'era una crisi in atto, ma evita che ci si convinca che esista. La squadra, infatti, è valida, migliorabile ma valida. Non è particolarmente stanca né è sulle gambe per la preparazione: corre quanto e come ci si aspetti che corra. Sarà nella sua essenza, nel suo modo di essere, vincere ancora partite come questa, come di trovare l'avversario in grado di allungarla o di diradarne il centrocampo a piacimento. Quel giorno vedrà le streghe. L'importante sarà che le cadute non siano molte e si rivelino più innocue di quello che potrebbero essere.
Ora è in atto una fuga verso la vittoria, visto che, con la sconfitta della Roma, il solco fra le prime 4 (Napoli, Milan, Inter e Atalanta) è diventato importante. La vincente dello scudetto uscirà dal gruppetto degli attuali battistrada, mentre le inseguitrici potranno solo agganciare la qualificazione Champions se una o due fra quelle davanti andassero in crisi. Improbabile che crollino tutte.

Nel prossimo turno, Napoli e Atalanta si toglieranno punti (è una questione matematica in un confronto diretto), mentre l'Inter giocherà sì all'Olimpico contro la Roma, ma non troverà Abraham sulla propria strada. Il centravanti era in diffida ed è stato ammonito per uno strano scontro di gioco nel quale, forse, era stato lui a subire il fallo. Sono cose che capitano, ma se fosse accaduto all'Inter di rimanere senza il suo giocatore migliore per un motivo simile, quale lugete o veneres cupidinesque avrebbero intonato i nerazzurri? Non è sempre stato un loro leit-motiv, quello del Moggi perfido che manovrava i campionati facendo ammonire o espellere i migliori fra gli avversari della sua squadra?

Peras imposuit Juppiter nobis duas, Giove ha appeso al collo della gente due sacche, una davanti e l'altra dietro. Quella davanti contiene le magagna altrui, mentre quella dietro contiene le proprie. Va sempre tutto bene, quando le magagne sono proprie, perché sono nella sacca di dietro. E' una poesia di Fedro, che credo avesse in mente proprio i magnanimi tifosi della Beneamata.