6 Febbraio 2023, il tempo si ferma su un pomeriggio funesto, il cielo è plumbeo, l’aria come rarefatta, la Terra trema, si scuote impetuosamente dalle sue stesse fondamenta, è l’apocalisse. Tra la Turchia e la Siria, lungo la faglia est anatolica, si sprigiona una devastante energia, che deforma il territorio per chilometri e seppellisce parole, sorrisi, paure, litigi, carezze e risvegli. Seppellisce vite.  Più di 45mila morti accertati, migliaia di edifici distrutti, due Paesi in ginocchio. 

E un gol maledetto!

Perché un gol può essere maledetto anche per chi lo realizza. Se quel gol inverte la rotta del tuo destino, se quel destino, segnato da quella maledetta segnatura, ti trattiene lì, dove la potenza della Terra e la fragilità delle cose terrene generano morte e macerie. Un gol segnato all’ultimo minuto d’un recupero beffardamente lungo, e un calciatore poco più che trentenne rimane schiacciato dal castigo di Dio, che si è abbattuto sull’avidità e la disonestà di costruttori delinquenti, quelli che ad Antiochia e dintorni alzarono muri di burro e casseforti dorate. 
A segnarlo, quel gol maledetto, è Christian Atsu, attaccante ghanese dell’Hatayspor, squadra della provincia del Sud della Turchia, devastata dal terremoto.
Christian Atsu, trentuno anni (nell’Hatayspor dal 2022) è infatti tra le vittime di quel terremoto. Il calciatore, dopo il sisma, risultava disperso. Il suo corpo è stato ritrovato sotto le macerie della sua abitazione ad Hatay, dalle quale hanno estratto anche il suo telefono cellulare. Che poi magari vai a scoprire che tra gli ultimi messaggi c’era un pensiero per un suo caro o un progetto per un futuro immediato o un banalissimo cazzeggio spensierato.
Non sapeva Atsu, non poteva sapere che quel gol avrebbe presto cancellato la sua vita, travolta da calcinacci, ferraglia, legno e montagne di morti. Un gol realizzato poche ore prima del sisma. 
Siamo al 97’ minuto, la pioggia battente inzuppa le maglie e appesantisce le gambe. E bagna i quasi venticinque mila spettatori, pieni di speranza e d’inconsapevolezza. Così scrisse Plinio il Giovane della gente di Pompei; e la scena sembra uguale, come il remake di un film girato duemila e rotti anni prima. 

L’Hatayspor gioca in casa, contro il Kasımpaşa: uno scontro nei bassifondi di una classifica da migliorare a tutti i costi. La partita non si schioda dal risultato di 0-0, lo Stadio nuovo di Hatay è un’arena ormai ammutolita dalla rassegnazione all’ennesima vittoria mancata. Ma stanno tutti lì, nonostante la pioggia. E sotto la poggia, lacrime del cielo evidentemente consapevole (Lui sì), assistono senza tanto entusiasmo all’ultimo tentativo della loro squadra di far gol: un calcio di punizione, neppure dal limite e da una posizione un tantino defilata, è affidato ai piedi, fino a quel momento dormienti, del subentrato Atsu. Troppo lontano perché l’esterno ex Chelsea possa far gol da lì, pensano tutti. Compreso l’allenatore, Volkan Demirel, il quale gli si fa ampi gesti, come a dirgli di metterla in mezzo.
Ma Atsu ha un macabro appuntamento, glielo ha fissato il destino, che quando ci si mette è davvero infame. Il destino di un gol maledetto, all’ultimo maledetto secondo dell’ultimo maledetto minuto. E dire che su quel pallone, accanto a lui, c’è pure il compagno dalla chioma ossigenata, numero 7 sulla maglia, Rúben Ribeiro, mediano portoghese dai piedi buoni. Molti si aspettano che sia proprio lui a calciare verso la porta avversaria o, come preferirebbe il mister e tanti altri, verso l’area di rigore. Ma Atsu ha quell’appuntamento, con il gol e col destino. Perciò, tira. Il pallone al contatto col suo piede sinistro rilascia un generoso schizzo d’acqua e va verso la porta. Non è veloce, ma prende una traiettoria perfetta, rimbalza, infida, davanti alle mani inguantate  del portiere e s’infila all’angolo opposto rispetto al punto da cui è partito, insaccandosi alle spalle del tedesco Erdem Canpolat. Colpevole d’una colpa gravissima e inconsapevole. Avrebbe voluto pararlo, quel tiro. Avrebbe dovuto! E invece, niente. 

Gol

Lo stadio esulta mischiando abbracci e giubilo all’acqua piovana, l’allenatore ha un sorriso a trentasei denti stampato sulla faccia, il telecronista impazzisce di gioia e urla più e più volte il nome del marcatore alla maniera sudamericana, mentre i compagni si catapultano festosi sul loro eroe di giornata. Nessuno può sapere, solo il cielo sa e per questo continua a compatire, lacrimevole, gli sciocchi buffoni d’un circo triste, che ridono alla giostra musicata della vita. Ridono alla morte, che tra qualche ora calerà, come una scure impietosa, sulla testa di migliaia di donne, uomini, bambini e su quella di Christian Atsu.

Tutta colpa di quel gol! Maledetto. 

La sua stagione era infatti stata deludente (appena tre presenze) e Atsu aveva deciso di partire per raggiungere la famiglia. Ma la rete lo convince ad annullare il volo e a rinviare il viaggio. 

Magnitudo 7.8  é la scossa massima, è la rabbia d’un gigante invisibile, chiamato Natura, che si ribella all’uomo, spezza le catene di cemento e ferro e non lascia scampo. Solo il senso del miracolo, quando qualcuno viene estratto vivo dalle spelonche innaturali, createsi tra tonnellate di materia e materiale affastellate a casaccio. Solo il senso della beffa, quando quel miracolo è in realtà un’illusione: ce l'aveva fatta İbrahim Halil Ölmez, (allenatore dell'Iskenderunspor, squadra che milita nella seconda divisione del campionato turco), estratto ancora vivo, ma con ferite evidentemente troppo gravi perché potesse farcela per davvero. 

Un’illusione che per giorni ha alimentato la fiammella della speranza, di ritrovare vivo anche Atsu. Fino a quando il soffio del destino non l’ha inesorabilmente spenta. 
Undici giorni dopo quel nefasto 6 Febbraio, il suo corpo è stato ritrovato sotto le macerie della residenza dei Rönesans, una torre di dodici piani sbriciolata dal sisma, dove si ritiene siano sepolte 800 persone. Il costruttore della residenza è stato arrestato la scorsa settimana, mentre tentava di lasciare la Turchia. 

Christian, invece, è rimasto.

Per un po’ era stato dato per disperso, perciò la moglie, Claire Rupio, e l’agente avevano lanciato appelli disperati, confidando nella sua riconoscibilità. Non l’hanno riconosciuto, semplicemente perché chi doveva soccorrerlo sarebbe dovuto arrivare prima o forse perché era scritto così. Il destino è stato l’unico a riconoscerlo e non ha avuto nessuna pietà, aveva un piano ben preciso per Atsu e lo ha attuato. 
A svelare quel piano è stato il presidente del club, Fatih Ilek, che non si dà pace: “Dopo aver segnato la rete della vittoria, ha voluto festeggiare. Aveva un volo prenotato per le 23, il biglietto già in mano per tornare in Francia dalla sua famiglia, ma lo ha annullato decidendo di partire il giorno dopo. Poi, alle 4 c’è stato il terremoto che lo ha colpito nel suo giorno più felice”.

Ex grande promessa di Porto, Newcastle e Chelsea, vantava 65 presenze e 10 gol con la nazionale ghanese (prese parte a quattro edizioni della Coppa d'Africa - miglior giocatore del torneo nell’edizione 2015 - e al campionato del mondo 2014).
Era un esterno di sinistra o, all’occorrenza, un trequartista, insomma uno che con la palla tra i piedi ci sapeva fare. I suoi piedi educati, però, almeno quel giorno, avrebbero dovuto avere la mala educazione di ribellarsi ai voleri del Fato e sparlarlo in curva, quel pallone. 
Sì, era bravo col pallone, a vent’anni l’avevano paragonato a Messi e, a quanto pare, Mourinho stravedeva per lui. Ed era una “bravissima persona”: formula semantica, questa, che sempre, di default, si affibbia a chi perde la vita; ma quando a ripeterla sono in tanti, e con le stesse parole e con la stessa intensità, vuol dire che non si tratta di una semplice etichetta di circostanza, bensì di una verità percepita. 

Era un bravissima persona, Christian. Uno che (testimonianza diretta dello juventino Danilo, suo compagno al Porto) a pranzo mangiava il pollo con tutto l’osso, perché, spiegava ai suoi increduli compagni, nell'infanzia aveva imparato a non sprecare nulla di quello che si doveva mangiare, non sapendo quando e quale sarebbe stato il prossimo pasto. Uno che, prima di lasciare il Porto, proprio al compagno brasiliano aveva chiesto la maglia, per raccontare, un giorno, ai suoi figli di aver giocato con Danilo. Danilo, che così lo ha ricordato: “Dirò ai miei figli che ho giocato e conosciuto un essere umano come te. Riposa in pace fratello".
Di figli, ne lascia 3. Li lascia ricolmi di dolore, nel silenzio di una rabbia che col tempo impareranno a metabolizzare e con la maglia di Danilo. Li lascia senza un padre, così speciale da continuare a mangiare il pollo con l’osso perché mai dimentico di ciò che la vita gli aveva insegnato. 
Lo conosceva bene Antonio Conte, attuale allenatore del Tottenham, il quale gli ha dedicato un pensiero attraverso i social network: "Ho avuto la possibilità di incontrarti e di lavorare con te. Questo tremendo terremoto ha portato via una persona bellissima ... riposa in pace Atsu. I miei pensieri vanno alla famiglia e a tutti i suoi amici. In questi terribili giorni sono vicino a voi".

Lo piange il nostro Antonio, lo piangono i Blues (col lutto al braccio nella partita successiva alla notizia), lo piangono il Vitesse, il Malaga, il Rio Ave, l’Everton, il Bournemouth, l’Al-Ra'ed Saudi (altre squadre in cui ha militato), lo piange tutto in mondo del calcio. Lo piangiamo tutti noi; e con lui piangiamo tutte le vittime del sisma. 

Lo piange Wikipedia, scrivendo, sopra la sua faccia bella ed eburnea e la divisa rossa dell’Hatayaspor, quelle maledette due date: Christian Twasam Atsu (Accra, 10 gennaio 1992 – Antiochia, febbraio 2023) è stato un calciatore ghanese, di ruolo attaccante.