Ci sono domande, in ambito calcistico, che restano attuali anche con il passare del tempo. Quelle che erano al centro di piacevoli discussioni al bar, che per quanto frivole ed apparentemente inutili, rafforzavano il desiderio di stare insieme, di incontrarsi e raffrontarsi, nella consapevolezza che, attraverso il Calcio, ci si poteva distrarre dalle problematiche della vita quotidiana, sempre più stressanti e troppo distanti da un modo di vivere più adatto a "robot", che al genere umano.

I tempi cambiano ed è evidente che ne siamo più travolti, che in grado di gestirli. Anche relazionarsi con il prossimo diventa sempre più difficile, al punto che è difficile anche relazionarsi con il vicino di casa. Logico che anche il tempo trascorso al bar, sia sempre meno e con esso riuscire a rivivere quelle situazioni che un tempo erano abituali. Gli "Amici al Bar " ora nel migliore dei casi si possono incontrare sulle piattaforme digitali, dove giovani appassionati mostrano conoscenze che spesso superano le Nostre. Quelle di "Dinosauri" di un calcio che facciamo fatica a comprendere totalmente. Certo, si gioca sempre undici contro undici, ma oggi, le squadre che vogliono essere al Top, devono essere formate da rose di almeno 26 giocatori. Essere in grado di gestire gli infortuni, sempre più numerosi visto la quantità di partite che i calciatori più forti disputano in una stagione, i rapporti umani e, non ultimi, le aspettative economiche che oggi incidono ben più del piacere di giocare. Grazie a tre giovani amici ho ritrovato, su WhatsApp, il piacere di parlare di calcio. Essere loro ospite non mi ha solo gratificato per la considerazione mostratami, ma specialmente mi ha permesso di confrontarmi con persone che per quanto molto più giovani di me, si mostrano preparatissimi e più bravi di commentatori televisi più famosi che meritevoli del ruolo.

Ecco perchè vi invito a seguire su Instagram "3amicialvar " certo che non resterete delusi. Mattia Rivelli, tifoso milanista, come Pardo, Alessandro Mosco, interista, come Pistocchi e Marco Arena, tifosissimo della Roma, nei panni del Mughini della situazione, non sempre facile da decifrare, ma ugualmente interessante. Sempre precisi, tecnici e aggiornati, riuscendo ad essere piacevolissimi e mai banali.

Tornando alla domanda argomento del giorno, questione di Gioco o di Giocatori?, non serve essere grandi esperti per sapere che con giocatori "forti", vincere le partite è molto più facile. Avere Van Basten in attacco o Gilardino, Blisset o Calloni, tanto per restare in ambito Milanista, non è sicuramente la stessa cosa ed obbliga l'allenatore a cercare di supplire con il gioco di squadra, le eventuali lacune dei singoli. Se Sacchi insiste sulla necessità per ogni squadra di transitare prima attraverso un gioco, chiaro e preciso, per poi completarlo con i giocatori più forti ed utili è perchè la sua esperienza professionale non conosce altro percorso che quello. Senza entrare in dettagli è risaputo che Arrigo Sacchi abbia proposto un calcio bello, divertente e vincente, eppure era troppo faticoso, meticoloso, indigesto a molti calciatori, con un dato statistico che ne riduce tutto il suo inestimabile valore, quello di vedersi superato sia da Ancellotti che da Capello, per numero di vittorie, Nazionali o Internazionali.

Erano comunque formazioni talmente ricche di talenti che vincere diventava obbligatorio, con o senza un gioco e uno spartito. Capello, il meno spettacolare, lascaiava spesso Papin o Savicevic in panchina, affidandosi ad una difesa insuperabile e a Desailly, piazzato davanti alla difesa. Quattro scudetti in cinque anni, eppure l'unica "notte magica" è stata contro il Barcellona, quando da sfavoriti si vinse la Coppa dei Campioni. Il suo calcio lasciava poco allo spettacolo, era concretezza allo stato puro, stile Allegri. Tutt'altro discorso per Carletto Ancellotti che prima metteva i calciatori e poi gli confezionava intorno il modulo più adatto. Allenatori al passo coi tempi. Gioco, giocatori e moduli, tutto transita inesorabilmente per questo percorso perchè senza vittorie e risultati positivi, ogni argomento perde di valore.
Ed è in questa ottica che il calcio proposto da Mister Pioli, che oggi a Parigi taglia il traguardo delle 200 panchine alla guida del Milan, non ha saputo ancora dare risposte chiare e certe. Eppure dopo quattro anni e uno scudetto, totalmente insperato, conquistato superando la rivale cittadina, dovrebbe vedere la mano dell'allenatore su una formazione che qualitativamente è migliorata notevolmente. Il suo 4-2-3-1, artefice dello scudetto è stato abbandonato per preferire un 4-3-3 che ne ha gli interpreti adatti, ma non cero i movimenti e lo sviluppo.

Eppure parliamo dell'allenatore che per punti fatti in campionato sta scalando tutte le posizioni fra chi lo ha preceduto alla guida del Milan. E' giusto lamentarsi? Per me, sì, perchè vincere le partite solo per il fatto che si è più forti dell'avversario, non è un grande merito. Serve altro. Serve saper leggere l'andamento della partita, saper effettuare i cambi giusti, quando servono e non solo per dare minutaggio a tutti e non avere giocatori scontenti. Serve saper proporre anche soluzioni diverse tatticamente per mettere gli avversari in difficoltà. Tutte cose che non vedo, compreso provare a mettere Pulisic a sinistra, zona dove garantirebbe un rendimento ben superiore all'attuale e Leao a destra. Un semplice tentativo, magari inutile, ma da verificare.
Lunedì sera guardando Fiorentina contro l'Empoli sono rimasto impressionato dalla semplicità e tranquillità con cui la squadra ospite ha saputo interpretare e vincere la partita, merito di Mister Andreazzoli che subentrando a Zanetti è riuscito in poco tempo a mostrare la sua proposta di Calcio. L'allenatore bravo è quello che sa essere un valore aggiunto, che sa cogliere le debolezze avversarie e attraverso la sua idea di gioco, migliora i giocatori a sua disposizione, riuscendo a metterli nelle migliori condizioni, fisiche, atletiche e tattiche. Anche i troppi infortuni muscolari che da anni limitano il numero di giocatori a disposizione sarebbe argomento di discussione da approfondire, perchè anche lo Staff di collaboratori sono di pertinenza dell'Allenatore.

Concludendo, resto convinto che solo attraverso il gioco si possano sopperire i propri limiti, ma avere tutti giocatori forti, semplifica notevolmente il compito dell'allenatore.
Per ora sostengo Pioli, un allenatore che mi entusiasmava prima di vincere lo scudetto, ma che oggi non mi soddisfa.