Sono cose da campo, si dice. Certo. Cose legate ad una memoria che non tradisce e infierisce al momento giusto. Si dà dell’asino ad un giocatore, lo si insulta giocando su una cosa delicata a livello famigliare, personale. Come se qualcuno insultasse Nadal per i suoi riti. Ma è una cosa da campo, si dice. E la reazione di Lukaku è stata istintiva, una conseguenza della provocazione dello svedese che cammina sul filo del rasoio sul binario del razzismo. Cose da campo hanno detto diversi commentatori, giocatori, calciatori, opinionisti. Continuiamo ancora a credere nel mito che dei ragazzotti con il loro comportamento debbano essere da esempio per i più piccoli. La società è mutata, viviamo in un mondo violento, aggressivo, individualista, competitivo. A molti il duello tra Ibra e Lukaku non è dispiaciuto, anzi, son certo che nel secondo tempo speravano che si menassero in campo. Son rimasti delusi. Non se le sono date. Inutile girarci attorno. Caricare di responsabilità con moralità oramai spicciola i giocatori ultra pagati è una presa in giro. Vivono nel loro mondo, quello del calcio, con tanto di regole, di contratti e codici etici. Saranno le società a dover intervenire. Se non lo faranno significa che legittimeranno questo comportamento per il futuro. Anzi c’è chi è rimasto piacevolmente colpito ad esempio dalla reazione di Lukaku. Ha tirato fuori le palle, per dirla in modo maschilista. Era ora. Finalmente è un uomo. Questa la sintesi.
Il duello tra Ibra e Lukaku, due giganti a livello fisico, non si può dire altrettanto del loro essere giganti nella reazione, nel comportamento. Lukaku ne è stata la vittima e va trattata come tale, Ibra, un provocatore, e giustificato come tale, ma caduto in basso e l’uscita a testa bassa dal campo dopo la sua espulsione per il fallo da gioco è stato il giusto coronamento a questa pessima immagine del calcio italiano. A chi piace il calcio da uomini, maschilista, da forzuti, da lottatori, quasi da bestie, quanto accaduto in campo, non sarà dispiaciuto, anzi, benzina sul fuoco. Ma chi vuole un calcio contro il razzismo, per il rispetto, non può considerare come cose da campo quanto successo. Ma non stupiamoci, il nervosismo in campo è anche un po’ anche lo specchio di quel nervosismo che c’è nella nostra società. Dove le risse sono all’ordine del giorno, gli insulti, le violenze, le aggressioni. Siamo una società entrata in una sfera violenta esasperata dall’emergenza del coronavirus. E non si può fare finta di non vedere.