"Alea Iacta Est". Secondo lo storico romano Svetonio fu il Divo Giulio Cesare a pronunciare queste parole quando, attraversando in armi il Rubicone senza il consenso senatorio, sentenziò che non ci sarebbe stato ritorno da quella sfida e alla testa delle sue legioni si diresse verso Roma per sfidare Pompeo. Allo stesso modo Inzaghi, uscito trionfante dall'attesissimo derby d'Italia, traccia un netto solco tra la sua Inter e le contendenti, ora sempre più lontane e non all'altezza dell'armata neroazzurra, che marcia implacabilmente verso il trono della seconda stella. 

Settimane molto diverse avevano accompagnato le due squadre alla partita dell'anno: i nerazzurri, impegnati in terre saudite a conquistare la loro terza Supercoppa Italiana consecutiva, sono tornati in Italia stanchi della dispendiosa trasferta, sfiancati dal doppio incontro con Lazio e Napoli a soli 3 giorni di distanza e appesantiti dalle diffide di Barella e Calhanoglu, imprescindibili per gli ingranaggi e costretti a guardare da fuori il nevralgico match di Firenze; i bianconeri al contrario, in occasione della lontananza dei capolista, hanno avuto una preparazione mirata al sorpasso in campionato e che avrebbe avuto nello scontro diretto il massimo punto di tensione, nonché la vera occasione di mettere pressione agli uomini di Inzaghi. Quando settimana scorsa la Vecchia Signora inciampò nell'ostacolo Empoli, complice la folle espulsione di Milik al 18', mentre l'Inter usciva indenne dalla insidiosa trasferta del "Franchi" fu immediatamente lampante che nel piano di Allegri si era aperta la prima falla: arrivare in casa della più accerrima e accreditata rivale con un punto di svantaggio ed una partita in più era l'ultima e la peggiore delle ipotesi per il tecnico livornese, chiamato quindi a dover fare la partita per potersi giocare le sue carte. 

Sin dai primi momenti di partita si è capito di come i padroni di casa, spinti da un San Siro indiavolato, fossero determinati ad aumentare quel margine rassicurante che separa i primi e i secondi classificati, mettendo in atto un veloce giro palla per scardinare il rigido assetto tattico dei ragazzi di Allegri. I bianconeri, come ci si aspettava, hanno lasciato il pallone ai costruttori di gioco interisti, limitandosi a un pressing disorganizzato e impetuoso degli attaccanti e alla presa a uomo degli uomini chiave nerazzurri, cercando di bloccare i rifornimenti alle punte e di schermare gli inserimenti delle mezzali con il classico blocco basso e stretto "allegriano". Lautaro e compagni, completamente a loro agio e per nulla scomposti, hanno preso in mano la situazione ed hanno iniziato a tessere copiosamente la tela attorno alla rocciosa retroguardia torinese, cercando il pertugio dove infilarsi per colpire Sczesny. La palla, mossa rapida e precisa, iniziava il suo giro dai piedi di Sommer, per poi passare immediatamente a Pavard e Bastoni, ai lati del portiere svizzero in fase di costruzione dal basso. Una volta che i due braccetti ne entravano in possesso, ecco che gli attaccanti della Juventus si lanciavano furiosamente contro di loro per prevenire la risalita del pallone ed eventualmente colpire recuperando un pallone sanguinoso nei primi 30 meri di campo nerazzurro e così, attirate fuori le giovani punte sabaude, si creava lo spazio per servire il mediano, libero dalla marcatura a uomo in quanto Locatelli fosse maggiormente a protezione della sua difesa. 

Il trio di centrocampo, perfetto come al solito, stravince il duello con il reparto zebrato, con Calhanoglu, autore di una partita straordinaria, indiscutibilmente portato sugli scudi. Le sventagliate da un esterno all'altro con cui ha allargato le maglie della rete bianconera, le imbucate fantascientifiche con cui ha ripetutamente mandato in profondità i compagni (da palati fini quella per Dimarco al 25') e persino l'incrocio dei pali colpito con una conclusione non troppo convinta fanno parte di un repertorio di giocate di alta scuola con cui il mediano turco ha incantanto il pubblico nerazzurro domenica sera. 126 tocchi del pallone, 100 passaggi eseguiti correttamente su 106 provati (94%), 9 palle lunghe riuscite su 12: il numero 20 è stato ai limiti dell'impeccabilità e si aggiudica la palma del migliore in campo. Di fianco a lui i soliti Barella e Mkhitaryan, meno evidenti all'occhio ma ugualmente indispensabili in quanto direttori dell'armonica orchestra che è la squadra di Inzaghi. La mezzala sarda, al ritorno dalla squalifica, ingaggia il solito duello a tutto campo con Rabiot, dimostrando di soffrire meno rispetto alle sfide passate lo strapotere fisico del francese, mentre il numero 22 si trova davanti a turno Cambiaso e McKennie, molto bravi a scambiarsi continuamente posizioni e movimenti e spesso cogliendo di sorpresa l'esperto centrocampista armeno. Infatti, mentre a destra i duelli fossero ben delineati uomo a uomo (Rabiot-Barella, Kostic-Darmian), a sinistra l'accentrarsi del laterale ex-Bologna e le sovrapposizioni esterne, o comunque l'allargarsi, del nazionale statunitense hanno funzionato molto bene, mandando in difficoltà la catena composta da Dimarco e Mkhitaryan.

Proprio McKennie, il migliore tra i suoi, è stato l'artefice della più grande occasione bianconera: sgattaiolato in mezzo a una moltitudine di maglie nerazzurre con una scorribanda delle sue, è riuscito a servire Vlahovic, ben appostato in area di rigore, sul lato opposto ma lo stop sbagliato del numero 9 serbo favorisce il rientro di Pavard, che chiude in calcio d'angolo e sventa il pericolo (32'). Il campione del mondo francese, autore di una prestazione straordinaria tanto in attacco quanto in difesa, ha svolto alla perfezione i compiti che vengono richiesti ai braccetti di Inzaghi: solido nelle marcature, agile nel recuperare palla, preciso in impostazione, spregiudicato in attacco. Il cross al bacio per la conclusione al volo di Dimarco, strozzata dallo stesso esterno italiano, è stato un capolavoro balistico, la sopracitata chiusura su Vlahovic un intervento decisivo, la sforbiciata con cui prova a impattare il pallone carambolato in porta dopo la deviazione di Gatti una copertina degna del leggendario logo Panini: dopo Calhanoglu, il migliore è stato lui. 

La proverbiale sicurezza in fase di palleggio dei nerazzurri solo raramente è stata minata dal pressing bianconero, e da un'azione manovrata sul fronte destro nasce il gol vittoria (37'): il solito Pavard scarica su Barella che, dopo un breve uno-due con Darmian, mette in mezzo un pallone su cui si avventano il numero 28 (dopo aver preso posizione tra Danilo e Bremer, l'ex-Bayern prova in rovesciata il gol dell'anno) e Thuram, marcato strettissimo da Gatti. La sfera viene prima cercata in tuffo di testa dall'attaccante francese, che non la tocca, e poi rimbalza sul petto dell'arcigno difensore juventino, che causa una deviazione fatale per Sczesny, incolpevole sul gol. Il nuovo socio di Lautaro gioca una partita di livello e di sacrificio, spendendo tanto in fase di impostazione e di ripartenza e sobbarcandosi il lavoro sporco con la sua falcata impetuosa, arrivando stremato al cambio per Arnautovic, arrivato al minuto 77'. Prima di causare l'autogol di Gatti, "Tikus" aveva avuto un'altra clamorosa occasione al 25', quando la spettacolare apertura di Calhanoglu per Dimarco aveva permesso al ragazzo cresciuto nelle giovanili dell'Inter di servire al centro l'accorrente numero 9 ma un prodigioso intervento in scivolata di Bremer ha negato l'esultanza a un San Siro pronto a esplodere. 

Dopo aver dominato in lungo e in largo la prima frazione di gioco (a tratti caotica e sicuramente molto maschia) al rientro dagli spogliatoi l'Inter prova a legittimare il vantaggio ottenuto cercando il raddoppio in avvio ma il tiro di Dimarco (55') si spegne sul fondo senza causare grattacapi al portiere bianconero. Un minuto più tardi è Calhanoglu a provarci da fuori area ma questa volta è il palo a negare il decimo gol in campionato al centrocampista turco, specialista del tiro da lontano. Gli equilibri variano molto nel secondo tempo: con il passare dei minuti la Juventus alza il baricentro e spinge l'Inter dentro la sua metacampo ma, salvo un tiro cross di Kostic allontanato da Mkhitaryan e un destro di potenza dalla distanza di Gatti terminato a lato (60' e 67'), nessun vero pericolo arriva dalle parti di Sommer, che resta inoperoso e porta a casa la 14a (quattordicesima!) porta inviolata in 22 partite senza scomporsi più di tanto. 

L'Inter decide di cambiare tattica e sfrutta le ripartenze per cogliere la Juventus con la linea difensiva alta, con i torinesi all'attacco per trovare il gol del pareggio, e seppur riuscendoci non trova il colpo del KO a causa di due interventi strepitosi di Sczesny che mostra tutto il suo valore. Prima su un tentativo al volo ravvicinato di Barella respinge il pallone con i piedi, coprendo magistralmente la porta, poi mura in uscita ad Arnautovic un tap-in semplice e mantiene in partita i torinesi, per la disperazione del 34enne austriaco. Nonostante l'ingresso di Chiesa, Weah e nel finale persino del nuovo arrivato Alcaraz, i ragazzi di Allegri non riescono più a farsi vivi dalle parti di Sommer e si arrendono a un'Inter che tutto sommato merita i tre punti e allunga ulteriormente in classifica.  

Le due squadre rimangono impegnate in una lotta senza esclusione di colpi, ma adesso fortemente indirizzata in favore del Biscione, volato a +4 (al netto del recupero Inter-Atalanta, in programma il 28 Febbraio a San Siro) e con il vantaggio degli scontri diretti. Adesso tutte le carte sono nelle mani di Inzaghi, che ha l'occasione di riscrivere la Storia del calcio italiano.


NOTA DELLA REDAZIONE: per il mese di febbraio abbiamo sospeso la votazione agli articoli, per questo vede voto 1, ma non è riferito come valutazione al suo pezzo.