Vincere è lo scopo ultimo di qualsiasi competizione, sportiva e non, ed esistono tanti fattori che possono alimentare le emozioni che ruotano attorno a questo grande obbiettivo.
Degli esempi possono essere il giocare contro la rivale storica, oppure giocare contro una squadra più forte, oppure il sentirsi sottovalutati e riuscire a sorprendere con il proprio valore avversari e addetti ai lavori, oppure ancora tagliare il traguardo in extremis dopo un testa a testa entusiasmante e senza esclusioni di colpi.
Oppure tutte le ipotesi sopracitate, come nel caso dello Scudetto milanista della scorsa stagione, in cui i rossoneri chiudono il campionato con 2 punti di vantaggio sui rivali dell'Inter all'ultima giornata grazie alla vittoria sul Sassuolo, caduto sotto le stilettate della coppia Leao-Giroud.
A Reggio Emilia la festa è grande, i tifosi invadono il campo invocando i loro beniamini che li risollevano da un digiuno decennale e finalmente il Diavolo si laurea Campione d'Italia. Il giorno successivo la squadra, come da usanza per i festeggiamenti, compie il famoso giro della città appartenente (in questo caso Milano) sul pullman scoperto per poter condividere la gioia con i propri sostenitori ed esibire il trofeo per cui si è lottato. 

La capacità di saper perdere con onore è una qualità universalmente riconosciuta: lo sconfitto che rende gli onori al trionfante in segno di sportività e correttezza è un'immagine che ci auspichiamo sempre di poter vedere indifferentemente dai colori scesi in campo, perchè è un gesto in cui sta rinchiusa l'essenza stessa dello sport. La massima espressa dal leggendario Barone De Coubertin "L'importante non è vincere ma partecipare", anche se probabilmente eccessiva per il cuore e la passione di ogni singolo tifoso, riassume bene quale debba essere il comportamento e la mentalità da tenere sia nel bene che nel male dagli atleti. Viene impossibile non ripensare allora agli sgraziati e assolutamente inesemplari festeggiamenti rossoneri dello scorso maggio, dove un Ibrahimovic versione capopopolo aizzava i tifosi contro Calhanoglu, reo di aver cambiato sponda della Milano calcistica, e tra urla e fumogeni invitava la tifoseria milanista a "mandare un messaggio ad Hakan".

Dicono che la vendetta sia un piatto che va servito freddo e quale migliore occasione della prima neve di Gennaio? E così Cahlanoglu si è preso la sua rivincita, a suo modo, giocando una partita da centrocampista completo, cardine degli ingranaggi interisti e vincendo la Supercoppa con un sonoro 3-0 nel momento peggiore della stagione del Milan.
A fine partita è lui stesso ai microfoni a ricordare gli eccessivi sfottò in suo "onore" alla festa del Diavolo, causa di dolore e incredulità per il centrocampista turco e nelle sue parole successive traspare soddisfazione per l'essersi preso la rivincita sul campo. 

Ritornando alla festa Scudetto milanista lo striscione esibito dai giocatori sul pullman, la cui frase "La Coppa Italia mettitela nel c**o",  ha rappresentato l'apice del non saper separare una rivalità che per quanto sia accentuata in campo, lì deve rimanere e non trasbordare in atteggiamenti irrispettosi per l'avversario, ancor di più se extracalcistici. 
Nel post partita Bastoni ha fatto intendere come il gesto al tempo non sia stato per niente apprezzato nella sponda nerazzura del capoluogo lombardo e che i giocatori del Biscione si erano ripromessi di far rimangiare quelle parole fuori luogo ai Campioni d'Italia in carica, come poi è successo.
La lezione, oltre che ancora una volta durante l'arco dei 90', l'ha voluta dare Edin Dzeko, con il suo serafico modo di fare ai microfoni ricordando che bisogna saper vincere tanto quanto perdere e che i festeggiamenti sono legittimi, ma sempre nel rispetto degli avversari, perchè alla fine il calcio è solo uno sport. 

Grazie Cigno per avercelo ricordato, con la tua semplice maniera di essere un Campione.
Chapeau.