Mio figlio gioca a calcio. Ha nove anni, la sua squadra gioca nella categoria Primi Calci. Quando fanno una bella azione, il mister si esalta ed esclama: "Mamma mia, sembrate il Barcellona". Quando non indossano il completino ufficiale della scuola calcio, i bambini attingono ai loro cassetti: eccezion fatta per quelle delle squadre italiane - di cui magari sono tifosi - le magliette più usate sono quelle del Barcellona. Non è raro trovare tre o quattro Messi di nove anni correre dietro al pallone.

Il Barcellona è stato, negli ultimi quindici, forse vent'anni, un riferimento costante per gli amanti del calcio. Giovani e anziani, italiani e stranieri, patrizi e plebei, borghesi e proletari, tutti abbiamo adorato il gioco espresso dal club catalano. Prima Rijkaard, poi Guardiola, infine Luis Enrique: ogni entrenador ha guardato a loro come al massimo che il calcio contemporaneo potesse esprimere. Il termine "Tiki Taka", che può entusiasmare o annoiare, è entrato talmente nel quotidiano che ormai viene usato anche in ambiti extracalcistici. La Masia, ovvero la struttura in cui i giovani blaugrana apprendono le nozioni del calcio barcelonista, è diventata sinonimo di "settore giovanile d'elite": se un giocatore esce dalla Masia sarà sicuramente un ottimo calciatore. E il modulo? Il quattrotretre "all'olandese" è il marchio di fabbrica del Barcellona, sin dai tempi di Cruijff. Come se non bastasse, quando si parla del Barcellona si sconfina anche nella politica: club notoriamente antifranchista, antifascista e vicino ai separatisti catalani. Sugli spalti del Camp Nou c'è una scritta che campeggia sui sediolini: Més que un club, più che un club. Per quelli della mia generazione, il messaggio espresso da queste quattro semplici parole è chiarissimo e potente.

Cos'è rimasto, oggi, del Barcellona? L'indecorosa sconfitta interna di ieri sera, contro un'ottima Juventus, è forse l'ultima, lampante dimostrazione di una crisi drammatica. L'anno passato si era concluso con "zeru tituli" (cit. Mourinho), ma questo è il meno. Negli occhi abbiamo ancora l'umiliazione subita contro il Bayern Monaco, che ha strapazzato Messi e compagni come di solito si fa nelle amichevoli estive contro le squadre di quarta serie. A ciò si aggiunga tutto l'affaire Messi, con la Pulce che prima comunica al club di voler abbandonare la camiseta blaugrana, poi torna sui suoi passi - soprattutto perché, dal punto di vista contrattuale e legale, il coltello dalla parte del manico era in mano alla società e non al campione argentino. Come se non bastasse, il presidente e la dirigenza hanno rassegnato le dimissioni, lasciando de facto il club in una navigazione a vista resa ancor più pericolosa dai venti burrascosi e dalle onde titaniche del calcio in tempo di pandemia. Infine si è scelto un nuovo allenatore, Ronald Koeman, ma ciò non è servito per tornare sugli antichi binari, anzi: ad oggi il Barcellona è a 12 (dodici!!!) punti di distanza dalla capolista in Liga. Non può essere sufficiente constatare che anche gli eterni rivali del Real Madrid vivano una crisi simile.

Si arriva, così, a ieri sera. A Barcellona - Juventus. Alla sfida tra Messi e Cristiano Ronaldo, undici palloni d'oro in due. Se una rondine non fa primavera, una partita non fa storia, eppure sembra che ieri sera si sia disputata, in un certo senso, una partita storica. Mai si era visto, in questo nuovo millennio, il Barcellona essere letteralmente surclassato al Camp Nou. A ciò si aggiunga un carico a bastoni: a compiere l'impresa non è stata una squadra col vento in poppa, ma la Juventus di Pirlo, ossia una squadra che ha avuto e, forse, ha ancora parecchi problemi di assetto e di gioco. Il Barcellona è stato inferiore in tutto: nella manovra collettiva, nello spirito di squadra, nel gioco dei singoli. La formazione messa in campo da Koeman, che prevedeva molti giovani e comprimari, non può e non deve giustificare una prestazione così incolore. Né si può parlare di partita storta, perché sarebbe l'ennesima: non più di quattro giorni fa, il Cadice ha battuto i blaugrana per due a uno.

Nel vedere la partita di ieri, nelle mie orecchie è risuonata una triste e solenne sinfonia. Non ho visto un Sigfrido, ieri sera, al Camp Nou. Non vi erano nibelunghi sul rettangolo verde. Eppure nell'assistere a quello scempio, riecheggiavano nel mio salotto, limpide e imponenti, le struggenti note di un dramma musicale, andato in scena per la prima volta il 17 agosto 1876 al Festival di Bayreuth, in Germania. Spartito e libretto di Richard Wagner.  Il titolo dell'opera era "Il crepuscolo degli Dei".