Che succederebbe se i nostri governanti si scambiassero auguri invece di ultimatum? Canzoni invece di insulti? Doni al posto di rappresaglie?
Non finirebbero tutte le guerre?

Sono, queste, le ultime righe di una lettera dal fronte della prima guerra mondiale, quando a Natale si disputò una favolosa partita di calcio …
Il calcio a Natale non è comunque solo un avvenimento da favola vera. C’è stato un tempo in cui si giocava anche il giorno in cui è nato Cristo.
Accadeva nella Terra d’Albione, progenitrice del calcio. Le festività natalizie da quelle parti erano permeate dall’atmosfera tratteggiata da Charles Dickens, il quale aveva contribuito a creare abitudini e folklore, alimentati dall’intreccio con le tradizioni del nord Europa. A metà Ottocento l’albero di Natale (il Tannenbaum germanico) aveva fatto il suo ingresso a Buckingham Palace, per volere del Principe Alberto, marito della Regina Vittoria, e da lì si era diffuso in tutte le case.
Il calcio non faceva eccezione. Già allora era lo svago primario degli inglesi, che di svagarsi, dopo gli stravolgimenti della Rivoluzione industriale, sentivano un gran bisogno. Perciò, a Natale indossavano il cappello, chi a cilindro chi di altre forme a seconda della scala sociale, s’ammantavano a dovere e andavano a guardare la partita di pallone.
È il 1888, quando l’Everton (il club più antico della città di Liverpool, fondato nel 1878) giocò addirittura due gare il giorno di Natale: la prima, contro il Blackburn, per la Lancashire Cup nella mattina del 25 dicembre (vinsero i bianco blu 2 a 1) e la seconda nel pomeriggio, un’amichevole contro l’Ulster (3 a 0 sui nord irlandesi, con gol anche del portiere Charles Jolliffe). Le partite si disputarono ad Anfield, era lì che allora giocavano i Toffees (si trasferirono al Goodison Park, nell'area nord di Stanley Park, nel 1892). La prima partita ufficiale di campionato giocata il 25 dicembre, fu Preston North End-Aston Villa, nel 1889, davanti a 9mila spettatori, incuranti del gelo (una delle affluenze di pubblico più grandi dell’epoca). In quel periodo era in uso disputare i derby e le partite più attese proprio il giorno di Natale, per ottenere il massimo coinvolgimento da parte dei tifosi.
Nel 1890 si disputò, a Ewood Park, il sentitissimo derby tra Blackburn Rovers e Darwen, divenuto famoso come “The Cristhmas Day Riot” (letteralmente “La rivolta del giorno di Natale”): i Rovers mandarono in campo le riserve per far riposare i titolari in vista della gara successiva, il Darwen invece schierò i migliori con l’intenzione di umiliarli. I tifosi dei Rovers invasero il campo distruggendo porte e tribune e la partita fu sospesa (alla faccia di Dickens e dell’atmosfera natalizia).
Curiosità. Quando cominciarono le lunghe trasferte, concomitanti con l’affermazione del calcio e con la graduale espansione della Football League, club e tifosi iniziarono a viaggiare su lunghe distanze. Diventò abituale, quindi, organizzare le partite di andata e ritorno nelle giornate del 25 e 26 dicembre, così da assicurare equità per entrambe le squadre nei disagi di viaggio. E si verificarono anche dei particolari risultati a specchio, tipo Manchester City-Chelsea 2-1 il 25 dicembre 1908, e Chelsea-Manchester City 2-1, il giorno dopo. Altra curiosità.
Ad alcuni club veniva impedito di giocare a Natale. L’Arsenal non ebbe il permesso per tutto il periodo compreso fra il 1913 e il 1925, perché il terreno di gioco di Highbury era di proprietà del collegio religioso St. John’s College of Divinity. Curiosissima curiosità. Nella partita di Natale del 1937, a Stamford Bridge, Chelsea e Charlton si trovavano sul risultato di 1 a 1, finché la nebbia non cominciò ad infittirsi, tanto che l’arbitro dovette sospendere la partita. Nulla di strano, se non per il fatto che il portiere del Charlton, Sam Bartram, rimase per ben 11 minuti nella sua porta, chiedendosi come mai nessun giocatore attaccasse la sua area di rigore. Glielo spiegò un poliziotto che lo recuperò poco dopo. E Bartram passò alla storia come il portiere nella nebbia. ll calcio inglese continuò a giocare nel giorno di Natale anche durante la Seconda Guerra Mondiale e, soprattutto, nel secondo dopoguerra, quando lo sport diventò un fenomeno di massa. Viaggiare nei giorni di festa, comunque, rimaneva una questione complicata. Nel 1957 si disputò l’ultimo turno di campionato organizzato interamente nel giorno di Natale. L’avvento dei riflettori iniziò a rendere possibili le partite in notturna, eliminando la necessità di incastrare gli impegni nei periodi di festa pur di giocare di giorno. Il 25 dicembre 1958 si ricordano in programma solo tre gare di First Division e nel 1959 soltanto una. L’ultimo Christmas match fu disputato nel 1965, allo stadio Bloomfield Road di Blackpool, tra il Blackpool e il Blackburn Rovers. A dire il vero, Nel 1983 venne fatto un tentativo per riportare in auge la tradizione: il Brentford, all’epoca in Terza Divisione, organizzò la partita di campionato contro il Wimbledon alle 11 di mattina del 25 dicembre: protestarono tutti, calciatori e tifosi e la partita venne anticipata al giorno della vigilia (vinse il Wimbledon 4-3).

Lasciamo l’Inghilterra, ma rimaniamo nei paraggi. In Scozia si ricorda una partita nel giorno di Natale del 1909, quella tra Hibernians e Partick Thistle, giocata su un campo totalmente ricoperto di ghiaccio. Una partita funesta: James Main, giocatore degli Hibs, scivolò, scontrandosi con Frank Branscombe, che gli cadde addosso. Tornato a casa, dopo la partita venne portato in ospedale a causa di fortissimi dolori addominali: i medici l’operarono d’urgenza all’intestino danneggiato, ma non ci fu nulla da fare: James Main morì il 26 dicembre per una grossa emorragia.

C’è stata anche la Coppa delle Fiere, antenata della Coppa Uefa, oggi Europa League: il 25 dicembre del 1955 si giocò Barcellona-Staevnet al Camp Nou, vinta 6-2 dai blaugrana. Lo stesso giorno giocarono anche i rivali del Real Madrid che, al Santiago Bernabeu, affrontarono il Partizan Belgrado in Coppa dei Campioni, vincendo 4-0 (quell’anno il Barça vinse la Coppa delle Fiere e il Real quella dei Campioni).
E a Natale si disputò una favolosa partita di calcio…
Il calcio a Natale vuol dire prima di tutto e soprattutto la famosissima partita del ‘14, la partita della tregua.

La tregua di Natale
Ad essa han dedicato libri, documentari, film e canzoni. È una favola vera, è “la parte vera che ogni favola racchiude in sé ”. Perché dentro ogni uomo e dentro ogni donna, sante o peccatori, soldati o puttane, madri o mascalzoni, figli di Dio o blasfeme, figlie ucraine o padri russi, dentro ognuno di noi c’è un cuore che pulsa d’emozioni univoche, ci sono lacrime che sgorgano dagli stessi occhi, c’è vita che anela solo vita. E dentro ogni guerra c’è un Natale e dentro ogni Natale c’è un alito invisibile che sfiora i sentimenti e li sublima.
Quel giorno, nel cuore di un’Europa sferzata dal freddo, su un terreno intriso di sangue e fango, mentre le cancellerie architettavano piani di distruzione, una partita di calcio sancì una tregua. Spontanea, umana, vera.
Tutto ebbe inizio la notte del 24 Dicembre del 1914. La grande guerra impazza, seminando odio e morti in mezza Europa. I soldati tedeschi e inglesi, impiegati sul fronte, fermarono le ostilità e gli orrori della guerra, per scambiarsi doni e giocare a calcio.
E non era un ordine! Fu una spontanea resa al senso di umanità e alla voglia di pace che accomuna tutti i popoli, d’ogni razza, sesso e religione. Le Fiandre concessero il perfetto luogo neutro, il no man’s land per l’incredibile tregua.

È bene ricordare che quella avrebbe dovuto essere una sorta di guerra lampo e invece si protrasse a lungo, fiaccando i soldati d’ogni fronte, nel corpo e nello spirito. Accadde così che in quella gelida notte di Natale, i combattenti tedeschi al fronte occidentale vicino alla cittadina belga di Ypres (precisamente tra il Belgio e il nord della Francia) addobbarono le proprie postazioni, intonando delle nenie natalizie (pare che tra i tedeschi vi fosse un certo Kirchhoff, cantante lirico formidabile); a tali canti risposero i soldati britannici con canti nelle loro lingue. Seppur con qualche iniziale timore, i soldati tedeschi e le truppe inglesi iniziarono a uscire delle proprie trincee e a fraternizzare, scambiandosi piccoli doni e raccontandosi delle reciproche famiglie lontane. Insomma, si spogliarono delle divise e si riscoprirono semplicemente esseri umani. E l’indomani quell’infame guerra se la giocarono a pallone; o almeno se la immaginarono così.
Ben presto la notizia della tregua si diffuse, contagiando (si dice) oltre centomila soldati, che smisero di combattere, uscendo dai propri ripari per conoscersi, scambiarsi piccoli regali e intonando cori natalizi; e organizzando partite con palloni arrangiati e porte improvvisate. Così si narra.
In realtà l’evento è impregnato di racconti fantasiosi, di aneddoti immaginifici, di particolari arricchenti. Ciò è dovuto al periodo storico, ancora privo dei moderni strumenti immortalanti, alla volontà dei potenti di non ufficializzare la partita e tutto ciò che era successo, nonché alla straordinarietà dell’accaduto. Che passò di bocca in bocca, come un antico racconto epico tramandato oralmente, infarcendosi di leggende popolari. E forse è anche meglio così, altrimenti che favola di Natale sarebbe? Una favola speciale, accaduta veramente! Una partita giocata veramente.

La partita fu vinta per 3 a 2 dalla squadra dei tedeschi. O almeno così pare. Ma che importanza ha il punteggio? Quel giorno vinsero tutti. E persero i governanti, i comandanti, le diplomazie, i signori della guerra.
La notizia di questi armistizi spontanei a costoro non piacque affatto, i generali immediatamente fecero spostare i reparti coinvolti su altri fronti e cercarono di tenere tutto sottaciuto. I giornali dell’epoca all’inizio non pubblicarono nulla al riguardo, fino al 31 dicembre, quando ne diede notizia il New York Times, che ricevette una lettera da un medico inglese al fronte. Soltanto allora anche alcune testate britanniche e francesi accennarono ai fatti del giorno di Natale sul fronte occidentale, ma senza darvi troppo risalto, tanto che questi avvenimenti ben presto furono dimenticati. Prova ne è che non vi è traccia nei libri di scuola.

Ma se la verità è tenace, una favola vera lo è di più. Nei versi della canzone “Christmas 1914” dell’inglese Mike Harding, sono ben descritti proprio gli avvenimenti di quel giorno: “I fucili rimasero in silenzio, senza disturbare la notte. Parlammo, cantammo, ridemmo e a Natale giocammo a calcio insieme, nel fango della terra di nessuno”.
Negli anni ’80, poi, lo  storico americano Stanley Weintraub ripercorse i fatti nel libro “Silent Night: the story of the world war I Christmas truce”.
Recentemente sono emerse dagli archivi militari di tutta Europa, lettere, diari e anche qualche fotografia, che sanciscono inequivocabilmente che la tregua, anche se non ufficiale, avvenne realmente e si protrasse addirittura per più giorni, nel periodo Natalizio del 1914. Non solo, è stato pure realizzato un lugometraggio dal titolo "Joeux Noel" ("Merry Christmas" nella versione Internazionale), che ha vinto il Leone d'Oro al Festival del cinema di Berlino.
Ma c’è soprattutto una preziosissima testimonianza di un soldato inglese, il quale ebbe modo di assistere di persona alla favolosa partita e alla tregua di Natale.

Janet, sorella cara, sono le due del mattino e la maggior parte degli uomini dormono nelle loro buche, ma io non posso addormentarmi se prima non ti scrivo dei meravigliosi avvenimenti della vigilia di Natale. In verità, ciò che è avvenuto è quasi una fiaba, e se non l'avessi visto coi miei occhi non ci crederei.
Prova a immaginare: mentre tu e la famiglia cantavate gli inni davanti al focolare a Londra, io ho fatto lo stesso con i soldati nemici qui, nei campi di battaglia di Francia! Le prime battaglie hanno fatto tanti morti, che entrambe le parti si sono trincerate, in attesa dei rincalzi. Sicché per lo più siamo rimasti nelle trincee ad aspettare. Ma che attesa tremenda! Ci aspettiamo ogni momento che un obice d'artiglieria ci cada addosso, ammazzando e mutilando uomini. E di giorno non osiamo alzare la testa fuori dalla terra, per paura del cecchino. E poi la pioggia: cade quasi ogni giorno. Naturalmente si raccoglie proprio nelle trincee, da cui dobbiamo aggottarla con pentole e padelle. E con la pioggia è venuto il fango, profondo un piede e più. S'appiccica e sporca tutto, e ci risucchia gli scarponi. Una recluta ha avuto i piedi bloccati nel fango, e poi anche le mani quando ha cercato di liberarsi. Con tutto questo, non potevamo fare a meno di provare curiosità per i soldati tedeschi di fronte a noi. Dopotutto affrontano gli stessi nostri pericoli, e anche loro sciaguattano nello stesso fango. E la loro trincea è solo cinquanta metri davanti a noi. Tra noi c'è la terra di nessuno, orlata da entrambe le parti di filo spinato, ma sono così vicini che ne sentiamo le voci. Ovviamente li odiamo quando uccidono i nostri compagni. Ma altre volte scherziamo su di loro e sentiamo di avere qualcosa in comune. E ora risulta che loro hanno gli stessi sentimenti. Ieri mattina, la vigilia, abbiamo avuto la nostra prima gelata. Benché infreddoliti l'abbiamo salutata con gioia, perché almeno ha indurito il fango. Durante la giornata ci sono stati scambi di fucileria. Ma quando la sera è scesa sulla vigilia, la sparatoria ha smesso interamente. Il nostro primo silenzio totale da mesi! Speravamo che promettesse una festa tranquilla, ma non ci contavamo. Di colpo un camerata mi scuote e mi grida: “Vieni a vedere cosa fanno i tedeschi!”. Ho preso il fucile, sono andato alla trincea e, con cautela, ho alzato la testa sopra i sacchetti di sabbia. Non ho mai creduto di poter vedere una cosa più strana e più commovente. Grappoli di piccole luci brillavano lungo tutta la linea tedesca, a destra e a sinistra, a perdita d'occhio.“Che cos'è?”, ho chiesto al compagno e John ha risposto: “Alberi di Natale!”. Era vero. I tedeschi avevano disposto degli alberi di Natale di fronte alla loro trincea, illuminati con candele e lumini. E poi abbiamo sentito le loro voci che si levavano in una canzone: “Stille nacht, heilige nacht…”. Il canto in Inghilterra non lo conosciamo, ma John lo conosce e l'ha tradotto: “Notte silente, notte santa”. Non ho mai sentito un canto più bello e più significativo in quella notte chiara e silenziosa. Quando il canto è finito, gli uomini nella nostra trincea hanno applaudito. Sì, soldati inglesi che applaudivano i tedeschi! Poi uno di noi ha cominciato a cantare, e ci siamo tutti uniti a lui. Per la verità non eravamo bravi a cantare come i tedeschi, con le loro belle armonie. Ma hanno risposto con applausi entusiasti e poi ne hanno attaccato un'altra: “O tannenbaum, o tannenbaum…'”. A cui noi abbiamo risposto: “O come all ye faithful …”. E questa volta si sono uniti al nostro coro, cantando la stessa canzone, ma in latino: “Adeste fideles”. Inglesi e tedeschi che s'intonano in coro attraverso la terra di nessuno! Non potevo pensare a niente di più stupefacente, ma quello che è avvenuto dopo lo è stato di più. “Inglesi, uscite fuori!”, li abbiamo sentiti gridare, “Voi non spara, noi non spara!”. Nella trincea ci siamo guardati non sapendo che fare. Poi uno ha gridato per scherzo: “Venite fuori voi!”. Con nostro stupore, abbiamo visto due figure levarsi dalla trincea di fronte, scavalcare il filo spinato e avanzare allo scoperto. Uno di loro ha detto: “Manda ufficiale per parlamentare”. Ho visto uno dei nostri con il fucile puntato, e senza dubbio anche altri l'hanno fatto, ma il capitano ha gridato “Non sparate!”. Poi s'è arrampicato fuori dalla trincea ed è andato incontro ai tedeschi a mezza strada. Li abbiamo sentiti parlare e pochi minuti dopo il capitano è tornato, con un sigaro tedesco in bocca. Nel frattempo gruppi di due o tre uomini uscivano dalle trincee e venivano verso di noi. Alcuni di noi sono usciti anch'essi e in pochi minuti eravamo nella terra di nessuno, stringendo le mani a uomini che avevamo cercato di ammazzare poche ore prima. Abbiamo acceso un gran falò, e noi tutti attorno, inglesi in kaki e tedeschi in grigio. Devo dire che i tedeschi erano vestiti meglio, con le divise pulite per la festa. Solo un paio di noi parlano il tedesco, ma molti tedeschi sapevano l'inglese. Ad uno di loro ho chiesto come mai. “Molti di noi hanno lavorato in Inghilterra”, ha risposto.“Prima di questo sono stato cameriere all'Hotel Cecil." "Forse ho servito alla tua tavola!” “Forse!”, ho risposto ridendo. Mi ha raccontato che aveva la ragazza a Londra e che la guerra ha interrotto il loro progetto di matrimonio. E io gli ho detto: “Non ti preoccupare, prima di Pasqua vi avremo battuti e tu puoi tornare a sposarla”. Si è messo a ridere, poi mi ha chiesto se potevo mandare una cartolina alla ragazza, ed io ho promesso. Un altro tedesco è stato portabagagli alla Victoria Station. Mi ha fatto vedere le foto della sua famiglia che sta a Monaco. Anche quelli che non riuscivano a parlare si scambiavano doni, i loro sigari con le nostre sigarette, noi il tè e loro il caffè, noi la carne in scatola e loro le salsicce. Ci siamo scambiati mostrine e bottoni, e uno dei nostri se n'è uscito con il tremendo elmetto col chiodo! Anch'io ho cambiato un coltello pieghevole con un cinturame di cuoio, un bel ricordo che ti mostrerò quando torno a casa. Ci hanno dato per certo che la Francia è alle corde e la Russia quasi disfatta. Noi gli abbiamo ribattuto che non era vero, e loro:“Va bene, voi credete ai vostri giornali e noi ai nostri”. E' chiaro che gli raccontano delle balle, ma dopo averli incontrati anch'io mi chiedo fino a che punto i nostri giornali dicano la verità. Questi non sono i barbari selvaggi di cui abbiamo tanto letto. Sono uomini con case e famiglie, paure e speranze e, sì, amor di patria.
Insomma, sono uomini come noi. Come hanno potuto indurci a credere altrimenti? Siccome si faceva tardi abbiamo cantato insieme qualche altra canzone attorno al falò. Poi ci siamo separati con la promessa di rincontraci l'indomani, e magari organizzare una partita di calcio.
E insomma, sorella mia, c'è mai stata una vigilia di Natale come questa nella storia?
Per i combattimenti qui, naturalmente, significa poco purtroppo. Questi soldati sono simpatici, ma eseguono gli ordini e noi facciamo lo stesso. A parte che siamo qui per fermare il loro esercito e rimandarlo a casa, e non verremo meno a questo compito. Eppure non si può fare a meno d’immaginare cosa accadrebbe se lo spirito che si è rivelato qui fosse colto dalle nazioni del mondo. Ovviamente, conflitti devono sempre sorgere. Ma che succederebbe se i nostri governanti si scambiassero auguri invece di ultimatum? Canzoni invece di insulti? Doni al posto di rappresaglie? Non finirebbero tutte le guerre?