Qual è il bello del calcio?” Quanti di voi si saranno posti, almeno una volta nella vita, questa fatidica domanda che spinge ognuno di noi a cercare una risposta in grado di circoscrivere tutto il fascino del calcio all’interno di un unico grande cassetto, un cassetto che non esiste ma del quale conosciamo l’esistenza? Tanti, anzi, tantissimi! Una domanda apparentemente semplice, ma che nei suoi lati più nascosti ed oscuri, racchiude tantissime consuetudini che, inconsapevolmente, ci indirizzano al calcio senza che il nostro inconscio se ne renda conto.È tutta una questione di passione” dicono alcuni, “Il calcio è nel nostro DNA” affermano altri anche se, ad oggi, né la scienza né qualsiasi altra disciplina finalizzata alla spiegazione dei fenomeni che caratterizzano la nostra società sono riuscite a proporre una teoria che sia in grado di riassumere, per filo e per segno, le strane reazioni chimiche che avvengono nel nostro corpo e che ci portano, involontariamente o meno, ad amare il calcio più di ogni altra cosa al mondo. Una congettura alquanto strana e, soprattutto, inspiegabile, un dilemma sceso dal cielo per interporsi tra la mente umana e l’assoluta conoscenza del mondo.
Il calcio è uno sport indescrivibile a parole, solo vivendolo si può comprendere la mole di emozioni che porta via con sé. Alessio Dellinja nel suo ultimo articolo parlava di un calcio sempre più diverso, sempre più tecnologizzato, un calcio compresso e sintetico, a causa della frenesia delle nuove generazioni di sapere tutto nel minor tempo possibile indotta da uno sviluppo repentino della società alla quale, i giovani di oggi, ci si sono abituati. Il tasso d’età dei tifosi allo stadio è sensibilmente aumentato, gli highlights e i momenti salienti delle partite sono diventati più importanti delle partite stesse. Ma il vero calcio, come dicevo prima, presenta lati nascosti dai quali possono essere affascinati solo i cuori puri, i veri amanti del calcio, che ricordano le mirabolanti giocate di un giocatore come se fosse l’eroe della patria o che magari sviscerano i propri ricordi legati al mondo del pallone come se fossero fili di cotone intrecciati che aspettano di essere sciolti. 

Emozioni da stadio
L’amore per il calcio ti parte dal cuore, è un’emozione fantastica ogni qualvolta vedi scendere in campo una squadra, indipendentemente dal fatto che si tratti della nostra squadra del cuore, ma lo stadio è un concentrato di passione e calore allo stato puro che attraversano in un battibaleno il tuo corpo, dalla testa ai piedi, enfatizzando tutti i nostri pensieri, tutte le nostre fantasie.
Lo stadio è la perfetta manifestazione dell’amore per il calcio, un qualcosa che si presenta ai nostri occhi in tutta la sua bellezza, colorato, carico di tensione. I cori provenienti dalle curve accompagnano musicalmente una partita, scolpendola nel cuore di chi, in quell’occasione, c’è stato e dipingono le anime dei tifosi trasformatisi, almeno per quell’occasione, in sognatori. Lo stadio è un agglomerato di emozioni forti, ravvicinate, condivisibili con chiunque. La rabbia, la passione per gli stessi colori, l’abbraccio improvviso per festeggiare un gol, la felicità, un’avventura che resterà per sempre impressa nel cuore di chi l’ha vissuta. Tutte le nostre emozioni positive però, hanno iniziato a dissolversi quando i casi di coronavirus in Italia hanno subito un notevole incremento, scombussolando le nostre idee, i nostri piani futuri. La presunzione di poter sconfiggere questo grande nemico ha amplificato i danni che comunque questo virus avrebbe dovuto portare. L’incremento dei decessi, il lockdown nazionale, l’impossibilità di fare qualsiasi cosa ritenuta normale fino a qualche mese prima non hanno facilitato il nostro processo di adattamento a questa nuova realtà, motivo per il quale ci siamo ritrovati, da un giorno all’altro, chiusi in casa a vivere le interminabili ore della nostra vita con una paura angosciante che non ha mai smesso di tormentare i nostri cuori, incessantemente preoccupati e terrorizzati per la sorte di ognuno di noi. Le nostre vite erano in mano al destino e tutto ciò che avevamo più a cuore, compresi i luoghi più preziosi della nostra quotidianità, furono bloccati. Lo stadio, fonte di immensa gioia per noi tifosi, chiuse i battenti. Niente più emozioni da stadio! Niente più emozioni! Dov’erano finiti tutti i sentimenti positivi che contraddistinguevano il nostro amore per il calcio? Chi lo sa! Forse, sono stati spazzati via da una violentissima folata di vento oppure abbiamo semplicemente dimenticato che esistessero. L’unica cosa certa è che rimanemmo imbambolati, senza nulla da dire o da fare, la nostra mente s’era d’un tratto svuotata e tutto ciò che conservava con premura era andato via con le nostre emozioni. Neanche l’estate è riuscita a placare la forza di questo virus, neanche la nostra voglia di rivalsa su un nemico che ha gettato all’aria tanti mesi di questo 2020, motivo per il quale siamo nuovamente in lockdown, chiusi in casa e privati della nostra libertà come se fossimo prigionieri con l’unica colpa di aver sottovalutato questa situazione con la presunzione di essere imbattibili, nonostante non conoscessimo chi ci fosse davanti a noi. Il Covid-19 ha estirpato tutta la bellezza che solo un luogo come lo stadio può regalare, spostando il tifo nelle nostre abitazioni in cui osserviamo inermi una partita con lo smartphone o la televisione di fronte, nella speranza che tra qualche mese si possa tornare ad abbracciarsi più forte che mai negli stadi, i luoghi sacri del calcio che incarnano maestosamente la fede e la passione per questo sport.

La prodezza, la magia
Il calcio è bello perché è vario.” Sì, il calcio! So perfettamente che il proverbio originale è leggermente diverso, chiedo venia, ma il calcio è la colonna portante del nostro Paese che smuove gli equilibri, una virtuosa rappresentazione degli ideali dello sport. La bellezza del calcio è conservata nella singola giocata, nel colpo di genio di un giocatore, nella prodezza che sbalordisce i tifosi presenti sugli spalti, nelle magie e nello spettacolo di cui solo i grandi maestri si rendono protagonisti. Il calcio è un teatro, in cui compare un protagonista aiutato dai suoi compagni d’avventure e da un antagonista accompagnato dai suoi scagnozzi, senza dimenticare della presenza delle comparse che, seppur non coinvolti direttamente, influenzano l’andazzo dello spettacolo. Le giocate si susseguono come vicende, ogni momento avrà una specifica ripercussione sui minuti successivi della partita, la dinamicità delle azioni ci porta a non scollare gli occhi dalla palla che rotola qua e là, che fugge, salta e gironzola per tutto il campo. Questo è il calcio! Quante volte siamo rimasti affascinati da un giocatore che danza amorevolmente sulla palla confondendo gli avversari con delle vivaci ed esaltanti skills? Quante volte ci siamo fermati per applaudire un grande disimpegno rimanendo a bocca aperta per ciò che avevamo appena visto? Sarà capitato un centinaio di volte, o forse, di più! Siamo così abituati allo spettacolo che non ci rendiamo più conto di ciò che passa davanti ai nostri occhi anche se dovremmo imparare a soffermarci di più sulle piccole cose, perché, molto spesso, sono proprio quelle che si tramutano in capolavori mai visti prima. Non so se si possa parlare di arte contemporanea o semplicemente di arte, ma il flusso di positività e di emozioni che il calcio riesce a trasmettere ai suoi spettatori è davvero incontrollabile, incontenibile, un fenomeno paranormale che però, va avanti senza sosta da oltre cent’anni. Non si può parlare nemmeno di semplice passione, perché una volta risucchiato dal vortice in cui regna il calcio, un mondo parallelo al nostro, non puoi più farne a meno e, che si venga a sapere oppure no, il tuo cuore è lì, in quel mondo, su quella terra conosciuta e sconosciuta allo stesso tempo.

Il fascino non è conoscibile, né dimostrabile “scientificamente”, ma è universalmente condiviso: evidente sotto gli occhi di tutti. Si riconosce subito. Si impone anzi. E soggioga.” Impossibile resistere alle parole di Giovanni Gurisatti, noto insegnante dell’Università di Padova, a cui è bastato poco, anzi pochissimo per condurre alla riflessione sul fascino e sulla bellezza di un qualcosa. Il calcio ha fascino, ma non è mai stato dimostrato! È, molto più semplicemente, universalmente condiviso. Dove voleva arrivare Gurisatti con questa sua frase? Beh, la risposta è rintracciabile nelle sue ultime parole… il fascino, nel nostro caso del calcio, dopo esser stato riconosciuto da tutti s’impone, diventando l’unica cosa che conta.