Quest’incombente periodo di asfissiante malinconia, rafforzata dalla monotonia di queste fredde e cupe giornate dicembrine, sta alimentando in noi il senso di repulsione da questa crudele realtà che sta assumendo sempre più le sembianze di una brutalità disumana, che sovrasta senza scrupoli il lume della ragione, sovvertendolo, sopprimendolo.
Le notizie incoraggianti viaggiano in corrente alternata con quelle sconfortanti anche se, le più frequenti, sono proprio queste ultime. Non c’è cosa più infausta che rimanere incollati alla TV ad ascoltare notizie che, al solo pensiero, fanno venire la pelle d’oca, nella speranza che venga annunciato qualcosa di positivo, di enfatizzante, ma che, molto probabilmente, non arriverà.
Oh calcio! Ti prego…distogli il mio sguardo da tutto questo! Dissolvi il mio pensiero nella tua sconfinata potenza! Per quanto questo possa sembrare un assurdo ronzio di parole miscelate senza criterio, il calcio, per me, rappresenta l’arma più efficace per sconfiggere qualsiasi nemico provi a sfidarmi. Il calcio è vita! L’incontenibile esultanza per un gol, il ritmo forsennato del cuore al solo sguardo rivolto verso un grande giocatore, la rabbia per una sconfitta, lo spirito duro a morire di chi, pur sapendo che la propria squadra abbia ancora molto su cui lavorare, non smette mai di sognare. Già, il calcio non è un elemento disperso nella massa, bensì l’elemento, che unisce, fortifica legami, nutre l’ardore del fuoco della passione per questo sport. Eppure c’è qualcosa che non va, qualcosa che non mi torna. Giusto, quasi dimenticavo…

Due giorni fa, poco prima di andare a dormire, dopo una cena all’insegna di Barcellona-Juventus, svolazzando qua e là tra un articolo e l’altro inerenti all’ultima giornata della fase a gironi di Champions, ho letto di un episodio che ha dell’incredibile, accaduto a Parigi, più precisamente al Parc des Princes dove il Paris Saint-Germain ospitava i turchi dell’Istanbul Başakşehir. Un episodio inconcepibile al giorno d’oggi, presumibilmente la causa del nodo allo stomaco che non mi ha fatto dormire sogni tranquilli quella notte.
Veniamo al dunque. Al 13’ minuto del primo tempo, in seguito ad una scorrettezza di Kimpembe, la panchina dell’Istanbul ha perso la testa dal momento che l’arbitro aveva ritenuto regolare l’intervento col braccio da parte del centrale francese. Il vice-allenatore ospite, Pierre Webó, ha contestato la scelta arbitrale nei confronti del direttore di gara che, dopo essersi fulmineamente confrontato con il quarto uomo per riconoscere chi, dalla panchina, avesse protestato eccessivamente, ha espulso Webó. Ciò che ha scatenato l’indignazione dei giocatori in campo però, non è stata l’espulsione del vice-allenatore camerunense, bensì come il quarto uomo lo ha definito, vale a dire “negru” che, in italiano, sta per negro. Un’offesa bella e buona! A quel punto, i giocatori di entrambe le squadre, le panchine, tutti quanti, improvvisamente, come se dal nulla si fosse appiccato un incendio, hanno iniziato a protestare contro il quarto uomo, indignati a causa di un episodio spiacevole, indescrivibile. Ancora una volta, l’incubo del razzismo aveva colpito il calcio, ma, mai come in questa occasione, in una gara di una competizione europea in cui si sfidano calciatori di ogni nazionalità con un unico grande obiettivo, questa parola ha risvegliato in me qualcosa che non sentivo da tempo, che era caduto in un sonno profondo e del quale io avevo dimenticato l’esistenza.
Il razzismo, l’odio… i lati oscuri della nostra società. In quel preciso istante, ho spento il mio telefono e, dopo aver cortesemente dato la buonanotte ai miei genitori, mi sono infilato sotto le coperte, raggomitolato, con una rabbia tale da distruggere ogni cosa che mi capitasse a tiro. Ho riflettuto. Ero terribilmente infuriato.
Molto spesso mi chiedo se ciò di cui parliamo a scuola servisse veramente a migliorare il mondo oppure si tratti solo di semplici frasi pronunciate per compiacere un professore, dal momento che questo mondo non è cambiato di una virgola. Lo sport, come dicevo prima, dovrebbe essere l’elemento comune a tutti, fonte di benessere non solo fisico, ma soprattutto sociale. Lo sport unisce! O, perlomeno, dovrebbe farlo. La bellezza incommensurabile del calcio è onnipotente, non è descrivibile a parole, ma sono proprio questi episodi che rovinano il calcio, trasformandolo in qualcosa di sporco, impuro. Negli ultimi anni, episodi di questo genere sono stati particolarmente ricorrenti, vedasi Lukaku nel match contro il Cagliari, Balotelli in occasione della sfida contro l’Hellas Verona quando ancora vestiva la maglia del Brescia, ancora Lukaku in Champions contro lo Slavia Praga e tanto, tanto altro ancora. Il razzismo è la peggior cosa che si sia mai vista sulla faccia della terra! Colore della pelle, che differenza fa? Ciò che sposta gli equilibri, ciò che dovrebbe essere messo prima di ogni cosa è l’aspetto interiore, un bagaglio di emozioni, sentimenti che caratterizzano ognuno di noi rendendolo speciale, nel bene e nel male, perché l’aspetto esteriore viene dopo. Sempre!

Il passare del tempo mi sta facendo comprendere sempre più cose della vita, ponendo dinanzi a me degli ostacoli che, sole se superati, possono condurre ad un futuro responsabile, decoroso. Ahimè, molto spesso, le sfide che la vita ha in serbo per noi non sono sempre tutto rose e fiori e ci vuole una consistente dose di coraggio per affrontarle, ma io sono convinto che ognuno di noi, con lo spirito giusto, può farcela. Sono dell’idea che quest’anno sia stato particolarmente intenso, ma, soprattutto, difficile per i tragici eventi a cui, sfortunatamente, abbiamo dovuto assistere direttamente o indirettamente. Questi ultimi due mesi sono stati, per me, una tortura morale non da poco. La chiusura della scuola ha stravolto completamente la realtà, l’ignobile episodio di Parigi mi ha fatto capire quanto ci sia ancora da lavorare sulla mentalità retrograda della nostra società, le strazianti perdite di Maradona e di Paolo Rossi mi hanno toccato profondamente e l’impossibilità di trascorrere ore spensierate in compagnia dei miei nonni, dei miei cugini, dei miei zii, dei miei amici non hanno di certo facilitato il mio percorso.
Che 2021 ci attende? Saremo cambiati, diversi?
La risposta è scritta nel futuro che non aspetta altro che essere vissuto sapientemente, nella speranza che ciò che ci attende sia… un mondo migliore!