In termini scacchistici si definisce scacco al re.

E a confezionarlo, ancora una volta, è Zlatan Ibrahimovic che ha capito da tempo l'antifona e non si fida della proprietà che prima ha fatto fuori Boban con pretesti infantili, ora incalza Maldini addossandogli responsabilità che non sono solo sue.

Ora che coloro che lo avevano fortemente voluto, consapevoli del fatto che in una squadra di smidollati almeno quattro anziani lupi di mare sono essenziali, sono de facto esautorati, è lo svedese a mettere virtualmente questa proprietà sconcertante che non è nemmeno capace di comunicare, spalle al muro. Il nodo è al pettine da quando i Singer ci hanno rilevati, e la domanda, sistematicamente priva di risposta è la stessa da due anni: volete formare una squadra competitiva o costruire uno stadio?

Siccome il sospetto di Ibra e del 70 per cento dei tifosi ricade sulla seconda risposta, ecco che lo svedese, che risulterebbe determinante anche l'anno prossimo, lo dice a Gazidis a muso duro, in modo che lo yesman riferisca quanto prima al paparino.

Quali saranno le reazioni degli asettici americani incapaci di provare e di esternare emozioni, è facilmente intuibile: faranno in modo di tirar fuori la scusa della mancata qualificazione all'Europa League (che avrebbero ancora barattato in cambio di una pacca sulle spalle), per dare un salutone al gladiatore, scomodo come e più di Boban.

Va compreso e digerito definitivamente che, quando il tuo interlocutore è uno squalo, peggio se a stelle e strisce, finisce ogni forma di critica quand'anche in forma e sostanza costruttiva.

Il dogma assoluto è e rimarrà sempre l'incondizionato asservimento ai capricci degli azionisti.

Pazienza se questi stanno portando il Milan nel periodo più buio della sua storia.