Devo fare ammenda, perchè nell'ultimo blog non ho citato l'anno dei mondiali di Svezia, il 1958. Ho poi percorso il 1962 e il 1966, finiti senza gloria per la nostra Nazionale. Ma prima di addentrarmi nei mondiali del 1970, voglio descrivere  un quadro esauriente del momento storico-calcistico, e della mia situazione personale dell'epoca.

Nel 1970 ero andato a vivere in una zona nuova di Torino. la zona si chiamava Mirafori, ed era l'espansione ormai viva di quella che vent'anni prima si considerava una sperduta periferia. Provenivo dal centro, Porta Palazzo, al limite del "Balùn", dove era fiorente il mercato delle pulci, ed il contrabbando di sigarette. 
Mi adeguai subito al nuovo quartiere, era pieno di vita, con tanta gente di diverse estrazioni sociali, e a poche centinaia di metri da casa mia c'era proprio la Fabbrica Fiat  di Mirafiori, con un grande viavai di persone che entravano ed uscivano a diverse ore, secondo i loro turni di lavoro. C'erano molti ragazzi nei dintorni, e non ci misi molto a farmi tanti amici, anche quei ragazzi che vivevano ai margini della legalità. Costoro erano comunque dei bravi ragazzi, seppure si dedicassero a piccoli furti ed altre attività delle quali non volli mai sapere oltre. Il capo di questa banda, era un certo Loris, che mi prese in simpatia, ed un giorno mi disse: "Tu sei un buono, non puoi spartire nulla con noi, è meglio per te se stai lontano, per non cadere nei guai come noi, che ormai non ne usciamo più". Voleva salvarmi, e io a malincuore mi tenni sempre a distanza, ma il rispetto non mancava mai, anche se qualcuno di loro, qualche volta finiva in riformatorio per alcuni mesi, e ne perdevamo momentaneamente le tracce. Vicino a casa mia c'era l'oratorio "Agnelli", un'area molto vasta, dove si trovavano alcuni edifici adibiti a scuole professionali per la formazione di futuri lavoratori Fiat. Ma c'erano anche campi di calcio, basket, sale ping pong. In uno di questi campi, ogni settimana ci ritrovavamo in molti  ragazzi, soprattutto nel campo in cemento, per disputare delle partite di calcio. 

La cosa straordinaria era che molti di questi ragazzi facevano parte delle  giovanili della Juventus e del Torino, e le partite erano di livello tecnico e atletico piuttosto elevato. E questo mi migliorò molto, oltre ad avere come amici i capitani delle squadre giovanili più forti di Torino. Io giocavo in una squadra di un paesino limitrofo, non molto distante da casa mia. In famiglia le cose non andavano per il meglio. Mio padre aveva avuto problemi con il lavoro, perchè non andava d'accordo con i nuovi capiservizio, inoltre si stava ammalando per via di un fastidioso dolore alla schiena, dovuto agli sforzi fatti sul lavoro, ma invece di riconoscergli i meriti, ne acuirono i demeriti. Decise quindi di anticipare l'uscita in pensione. Ma questo avrebbe comportato la mancanza di stipendio per qualche anno, quindi dovette cercarsi un altro lavoro, distante da casa. In quei momenti fu la guida che mi mancò. Nel frattempo, mio fratello era andato militare, mentre il mio fratellino più piccolo si era rotto il gomito, e non l'avevano curato bene, tanto che ancora oggi ha il braccio storto, a distanza di cinquant'anni dal fatto. Nell'oratorio, si svolgevano manifestazioni di ogni tipo, c'era infatti una sala per il cinema o il teatro, e una sera d'estate si svolse una manifestazione per la promozione dell'attività calcistica della società Agnelli, che a sua volta aveva molte squadre giovanili. Quella stessa sera, aiutai il parroco a mettere a posto alcune cose in un piccolo magazzino, quando sentimmo delle voci alle nostre spalle: "Buonasera Don Sittia, siamo venuti appositamente a salutarla". Il tono era referente e umile, così quando mi girai rimasi a bocca aperta a vedere Giuseppe Furino e Rosario Rampanti. Si, erano stati ragazzi di quell'oratorio ed erano stati cresciuti da quel parroco. Furino era il capitano della Juventus, Rampanti l'ala destra del Torino, e mi era capitato di vederli giocare allo stadio. Lo stadio non era lontano da lì, e spesso ci andavo, perchè con solo trecento lire potevo vedere in curva le partite del Torino. La Juventus, invece, quando le partite non erano di cartello, riservava a tutti ragazzi fino a sedici anni di entrare gratis allo stadio, escludendoli solo dalle tribune. Rimaneva un terzo modo. La domenica pomeriggio, si andava all'oratorio, e capitava che spesso arrivava un sacerdote, ci prendeva e ci portava allo stadio, arrivati in biglietteria diceva:"Oratorio Agnelli" e si entrava gratis, anche in tribuna. 

E in questa atmosfera vissi i mondiali del 1970. Furono tra i mondiali più indimenticabili della nostra storia calcistica. In quella trasferta in Messico, l'unico giocatore della Juventus convocato fu proprio Furino, che giocò il secondo tempo contro l'Uruguay. La nazionale era formata da campioni ancora oggi ricordati, Mazzola, Rivera, Riva, Boninsegna, Albertosi, Domenghini che vorremmo averli ancora oggi. In realtà l'altro juventino della spedizione doveva essere Anastasi, ma un attacco di appendicite lo mise fuorigioco pochi giorni prima di partire e al suo posto fu convocato Boninsegna, che giocò un mondiale all'altezza dei migliori.
La prima partita giocata a Puebla ci vide vincere di misura sulla Svezia, con un goal di Domenghini. La seconda, contro l'Uruguay, che arrivò terzo, finì 0 a 0. L'ultima partita del girone, contro Israele, finì con lo stesso punteggio, ma con due reti annullate inspiegabilmente dal guardalinee africano, che fecero gridare al "negraccio etiopico" da parte di Niccolò Carosio, il telecronista, che per quell'insulto, dovette lasciare il posto a Nando Martellini. Passammo lo stesso il turno, e a Città del Messico, incontrammo la squadra di casa, liquidata con un secco 4 a 1. Per motivi televisivi, le partite in Messico si disputavano o a mezzogiorno, o alle quattro del pomeriggio, e questo significava alle 20 o alle 24 in Italia. ed alle ore 24 del 18 giugno, si disputò la più famosa delle partite dell'Italia ad un mondiale, Italia Germania, la semifinale. Si incontrarono allo stadio Azteca di Città del Messico e nella Germania giocavano Overath, Seeler, Beckenbauer, Schnellinger, Vogts, Maier, il portiere, insomma gran parte dei giocatori finalisti in Inghilterra. In più c'era Gerd Muller, il "fantasma dell'area" realizzatore di 13 reti nel mondiale, capocannoniere, mai più eguagliato. Segnammo subito con Boninsegna e tenemmo il risultato fino all'89', quando Schnellinger, un difensore compagno di squadra di rivera nel Milan, segnò in spaccata ricevendo un cross dal fondo.
Si andò ai supplementari. Da notare che quello era il mondiale della staffetta Mazzola/Rivera, il primo tempo giocava Mazzola, il secondo Rivera. L'Italia sostituì Rosato per infortunio, e considerando che fino a quel momento aveva annullato Muller, ci costò subito il vantaggio proprio ad opera  di Muller, con Poletti(sostituto di Rosato) che aveva pasticciato non poco. Ma subito Burgnich, nell'unico goal segnato nella sua vita, pareggiò, e poco dopo Gigi Riva segnò il 3 a 2 con un preciso diagonale. Il secondo tempo tenemmo il risultato per una decina di minuti, ma proprio al decimo, Muller di testa segnò il 3 a 3, colpendo di testa a due passi dal palo presidiato da Rivera. Il tempo di mettere la palla al centro, passaggio laterale a Boninsegna, il quale si butta nella sinistra del campo tenendo lontano Vogts a gomitate, mette il pallone al centro rasoterra, arriva Rivera e con la freddezza di cui era capace, depositò il pallone alla destra di Mayer, mentre lui si buttava a sinistra. Finì così, e fu un'apoteosi. Ma quella partita la pagammo cara, in finale trovammo il Brasile di Pelè, Rivelino, Jairzinho, Gerson, Everaldo, Clodoalco, Tostao, Carlos Alberto. Loro avevano passeggiato con l'Uruguay, vincendo 3 a 1 nei tempi regolamentari. 

Il 21 giugno alle ore 12 locali, sempre all'Azteca di Città del Messico, si disputò la finale, che avrebbe designato la squadra campione del mondo, ma anche il detentore definitivo della Coppa Rimet. Il Brasile partì bene, e per dire quanto erano scaltri e intelligenti, si accorsero del cambio di marcatura operata da Valcareggi, il nostro allenatore, il quale si era accorto che Bertini marcava Pelè, ma essendo un centrocampista non aveva senso. Dispose quindi che lo prendesse in consegna Burgnich; i Brasiliani si accorsero di questo e, con rapidità, effettuarono la rimessa in gioco con le mani su Rivelino, che in corsa crossò subito in mezzo all'area, Pelè riuscì a cogliere impreparato Burgnich, elevandosi di testa e trafiggendo Albertosi sulla sua sinistra.  Ma verso la fine del primo tempo, Boninsegna, intercettando un passagio in difesa dei Brasiliani, riuscì a presentarsi davanti a Felix, e lo infilò con un tocco  sotto il corpo. Il secondo tempo, si aspettava l'ingresso di Rivera, invece non avvenne. Per i primi venti minuti, l'Italia giocò anche meglio del Brasile, ma mancammo la rete per un niente. Ma alla fine, Gerson, dopo un dribbling dal limite, scagliò un tiro imparabile per Albertosi. La squadra accusò il colpo, ed i terzo goal di Jairzinho, fu dovuto più alla stanchezza e  alla confusine che per le reali abilità degli avversari. Il quarto goal arrivò quasi alla fine, Pelè danzò con la palla al limite dell'area, poi smarcò Carlos Alberto che tirò con precisone nell'altro angolo di Albertosi. Sul 4 a 1, a partita finita, con sei minuti da giocare, Valcareggi finalmente mise in campo Rivera, il quale senza protestare entrò, ma ormai poteva fare poco. Il Brasile vinse il suo terzo mondiale e si aggiudicò definitivamente la Coppa Jules Rimet. Sono tanti gli aneddoti da ricordare, alcuni curiosi, ad esempio si diceva che Gerson fumasse ottanta sigarette al giorno, eppure non lo prendevano mai. Che Zagalo, allenatore dei verdeoro, era il primo allenatore che aveva vinto il mondiale anche da giocatore, (nel 2018 il record fu uguagliato da Deschamps), che Pelè dava l'addio alla Nazionale, e poco più tardi al suo paese, trasferendosi in America del Nord, a New York. 
Le critiche non mancarono, soprattutto per quei 6 minuti finali a Rivera, per molti sembravano un'umiliazione. Si diceva che Valcareggi avesse poco polso, e che la formazione era fatta dai giornalisti al seguito, che Mandelli, capo stampa della Nazionale avesse molta voce in capitolo e preferisse vedere giocare Mazzola e non Rivera. Un comico, si divertì ad immaginare i Brasiliani, che le sera precedente erano preoccupati perchè avrebbero dovuto affrontare Rivera, ma quando conobbero la formazione fecero dei salti di gioia. 
Comunque l'Italia, dopo trentadue anni, era tornata a giocare una finale di Coppa del Mondo, anche se le canzoni di Jannacci "Messico a nuvole" e un'altra più triste, echeggiavano nelle radio... Mazzola, Riva e Rivera... in panchina.

Fine della terza puntata.